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Bullismo e psicologia scolastica: come interviene lo Psicologo scolastico?

L'articolo "Bullismo e psicologia scolastica: come interviene lo Psicologo scolastico?", parla di:

  • Osservazioni sul bullismo
    L'importanza del peer educator
    Il ruolo dello psicologo scolastico
Psico-Pratika:
Numero 202 Anno 2023

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Bullismo e psicologia scolastica: come interviene lo Psicologo scolastico?

A cura di: Luisa Fossati
Bullismo e psicologia scolastica: come interviene lo Psicologo scolastico?
Il bullismo è una delle piaghe più sottovalutate della storia dell'umanità. Non è raro che pazienti che lamentano disturbi di vario genere abbiano subito questa problematica sociale. Vediamo, quindi, in questo articolo quali sono i primi passi da muovere se lavoriamo come psicologi scolastici e ci scontriamo con questo fenomeno. Essendo la mia esperienza prevalentemente orientata alla scuola secondaria di secondo grado, il contesto sarà questo.
Cosa non è il bullismo
Sgombriamo il campo dai luoghi comuni che avvolgono questo fenomeno partendo da cosa NON è il bullismo. Il bullismo non è un innocuo fenomeno fra adolescenti da guardare con un misto di accondiscendenza e rassegnazione. Inoltre:
  • il bullismo non finisce con la scuola, i danni che ne derivano si possono trascinare per una vita;
  • il bullismo non colpisce necessariamente i più deboli come spesso si pensa.
L'intervento dello psicologo scolastico in ottica complessa
In molte occasioni è richiesto allo psicologo scolastico di intervenire sul fenomeno. Questo tipo di interventi può generare, talvolta, delle aspettative fuori dalla normalità. Lo psicologo scolastico, in alcuni casi, infatti, è purtroppo considerato "l'ultima spiaggia" a cui rivolgersi e da cui ci si aspetta il miracolo.

In realtà il fenomeno del bullismo può essere affrontato solo in un'ottica di "gruppo". Dirigenti scolastici, genitori, professori e ragazzi devono essere coinvolti nel processo di "debullizzazione".

Il bullismo è un problema complesso e le soluzioni non possono essere estemporanee e semplicistiche. Cerchiamo quindi di capire questo fenomeno per poterlo circoscrivere partendo da una serie di scomode osservazioni.
  • Si pensa che il bullo cattivo agisca in solitaria o a fianco dei suoi fedeli adepti. Ciò è sbagliato, in molti casi (e su diversi livelli) tutto il gruppo classe è coinvolto nel bullismo. Il bullo è in cima alla piramide, sotto ci sono i gregari, sotto ancora ci sono coloro che ridacchiano o colludono in modo indiretto. Questi ultimi sono aggressivi SOLO in presenza del bullo (o più semplicemente tendono a non includere nel gruppo classe i soggetti bullizzati).
  • Si pensa che le figure adulte siano un incrollabile baluardo contro il bullismo. Non è raro invece il contrario: talvolta gli insegnanti possono temere l'influenza dei bulli sulla classe e minimizzare le dinamiche che creano. Come possiamo immaginare, questo atteggiamento tende a generare un senso di onnipotenza nella mente del bullo, che diverrà sempre più aggressivo. Non accade sempre ovviamente; ci sono molti insegnanti attenti e proattivi, capaci di intervenire tempestivamente ed efficacemente. Tuttavia, può non essere la norma e lo psicologo deve tenerne conto.
  • Non dimentichiamoci che anche i genitori, in certi casi, possono vivere come fastidiosi gli interventi degli insegnanti (e degli psicologi) contro il bullismo. In alcune circostanze possono tendere a coprire i fatti per non smuovere troppo le acque. In certi casi addirittura i genitori dei soggetti bullizzati avranno questo approccio!
  • Contrariamente a ciò che si pensa, il cyber bullismo è più dannoso del bullismo classico. La dimensione multimediale del bullismo non conosce limiti di tempo o spazio! La vittima avrà la sensazione di non avere riparo alcuno nemmeno a casa, il bullo può raggiungerlo ovunque e a qualsiasi ora. Ciò genera l'impossibilità di sentirsi al sicuro, saremo sempre potenziali vittime.
  • Anche l'isolamento è un'azione bullizzante. Alcuni ragazzi vengono deliberatamente esclusi dalle dinamiche sociali della classe o vengono rilegati in qualche gruppo minore di soggetti considerati "sfigati". In certi casi ho visto con disappunto la dinamica di esclusione avvallata da alcuni genitori. Come pensano possa sentirsi l'unico ragazzino NON invitato alla festa di compleanno a casa del festeggiato?
Considerando questi punti, spero sia emersa la complessità di questo fenomeno che non può essere estirpato solo con sanzioni disciplinari e qualche brutto voto. Sarà importante anzitutto intercettare le classi nella quali il fenomeno crea un ambiente favorevole al bullismo.

Nella mia esperienza gli errori più comuni sono quelli di fare incontri nelle classi nei quali:
  • vengono evidenziati i danni psicologici che il bullismo può fare, peccato che, se abbiamo bulli in quella classe, l'idea di genare grandi danni li farà eccitare!
  • In certi casi parlare di bullismo tende a consolidare il ruolo di bullizzato.
Come intervenire: peer educator, rappresentanti di classe, professori, preside, psicologi scolastici
Prima di partire allo sbaraglio, sarà fondamentale una prima fase di analisi dei fatti. Non è raro che alcune voci relative al bullismo siano gonfiate o totalmente errate. Normalmente la prima fase è delegata ai peer educator (o in caso di loro sfortunata assenza, ad un professore che abbia una buona sensibilità).

Chi sono i peer educator? I peer educator, o tutor, sono degli studenti della classe quarta (nel caso di scuole secondarie di secondo grado) che hanno il ruolo di supportare i ragazzi del primo anno.

I ragazzi con questo ruolo vengono normalmente formati da psicologi scolastici al fine di:
  • accompagnare in classe il primo giorno di scuola i nuovi arrivati per dare loro sicurezza e presentandosi come punti di riferimento;
  • presidiare le assemblee e gli attivi in classe (momenti di incontro in cui si discute di problemi e questioni della classe) per facilitare la comunicazione e gli scambi tra i ragazzi;
  • individuare situazioni problematiche, come bullismo, emarginazione o disagio, così da poter intervenire o segnalare agli psicologi.
I peer educator spesso entrano in contatto con i rappresentanti di classe per iniziare a conoscere i fatti. Normalmente, infatti, i rappresentanti sono abbastanza informati sulla situazione del clima nel gruppo classe. Perché non possiamo essere noi psicologi i protagonisti di questa intervista? Perché noi abbiamo bisogno prima di raccogliere i consensi informati di tutti i genitori, correndo il rischio di andare per le lunghe o non ricevere il consenso. I peer educator e gli insegnanti hanno, in questo senso, più margine di manovra.

Il secondo step sarà quello di ascoltare i professori, poiché anche loro potrebbero avere un po' di informazioni. Inoltre, escluderli dal progetto di intervento contro il bullismo non sarebbe una buona idea, in quanto potrebbero sentirsi tagliati fuori. In molti casi allo psicologo scolastico capita di dover fare interventi formativi al corpo docenti spiegando quali danni genera il bullismo, le dinamiche e le modalità.

La lotta si vince con il bisturi, non con una bomba a mano. Per spiegarsi bene: interventi generali, "romanzina" a tutta la classe ecc. lasciano il tempo che trovano, dobbiamo essere chirurgici. Sarà quindi importante che i bulli vengano convocati dal preside e tenuti d'occhio dal corpo docenti. Non devono assolutamente percepire di essere immuni dai sistemi di controllo degli adulti.

In questo processo i peer educator saranno utilissimi! Se infatti i docenti dovranno fare i docenti usando, assieme al dirigente, sanzioni disciplinari, i tutor dovranno mostrare un modello di socializzazione che non si basa sulla punizione. I tutor, in quanto ragazzi, avranno molto più appeal rispetto a noi adulti. Dovranno essere dei punti di riferimento ed offrire un'alternativa al linguaggio aggressivo. Saranno coloro che sono di ispirazione, un ruolo fondamentale.

Noi psicologi quindi? Normalmente (come al solito) raccattiamo i cocci. I ragazzi bullizzati saranno soggetti ad una traumatizzazione che potrebbe tradursi in certi casi come un disturbo dell'adattamento o un disturbo post traumatico. In altri casi potrebbero risentire di un'autostima scarsa o la convinzione di non valere abbastanza. Sarà nostro, quindi, il compito di aiutare lo studente a lavorare su questa brutta esperienza, aiutarlo ad elaborarla o indirizzarlo ad un servizio esterno di psicoterapia qualora il sostegno psicologico non bastasse.

Un trauma ci cambia. In meglio se elaboriamo l'accaduto. In peggio se rimane lì!
Bibliografia
  • Ammirati, A.; Zaccagnino, M. (2023). Bullismo. Cosa fare (e non). Guida rapida per insegnanti. Scuola secondaria di primo grado Copertina flessibile - 3. Erikson
  • Marini, M. (2017). Uno psicologo alle superiori. Alpes Italia
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