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Bullismo: Quando l'affermazione di se' nuoce all'altro

scritto da: Dott.ssa Monica Vivona

- Psicologa
- Riceve in studio a Roma, Ancona, Senigallia (AN)

- HT Page Monica Vivona

articolo tratto da psico-pratika - Numero 19 Anno 2005

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Articolo: 'Bullismo: Quando l'affermazione di se' nuoce all'altro'

IL BULLO: QUANDO L'AFFERMAZIONE DI SE' NUOCE ALL'ALTRO
Definizione e etimologia:

"E' malvagio. Quando uno piange, egli ride. Provoca tutti i piu' deboli di lui, e quando fa a pugni, s'inferocisce e tira a far male. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando puo', nega con una faccia invetriata, e' sempre in lite con qualcheduno. Egli odia la scuola, odia i compagni, odia il maestro". Cosi' Edmondo de Amicis ci dipinge il "bullo" Franti nel libro Cuore.

Ma chi e' il bullo? Cercando i sinonimi del termine troviamo: delinquentello, giovinastro, bravaccio, smargiasso, teppista, borioso, gradasso, sbruffone, spaccone, vanaglorioso, ragazzaccio, malandrino, vandalo.

Nonostante non si trovi nei dizionari storici, "bullo" e' una parola antica che risale al Rinascimento.
Tommaso Garzoni, erudito nato a Bagnacavallo, la uso' in una sua opera, "La piazza universale di tutte le professioni del mondo" pubblicata a Venezia nel 1585. In quest'opera, il termine bullo era affiancato a «bravazzi, spadaccini e sgherri di piazza».

Il primo a registrare questo termine in un dizionario e' Alfredo Panzini: lo definisce voce romanesca che sta per "smargiasso, bravaccio, teppista".
Il significato della parola dunque si associa all'inizio ad un'idea di violenza organizzata e ad un concetto di isolamento ed estraneita', di prevaricazione e di prepotenza.
Poi nel Novecento il significato si attenua: indica per lo piu' soltanto un giovane arrogante.
Non solo. Nel secolo scorso si trova in letteratura, con Pasolini, persino un vezzeggiativo: bulletto di provincia.

La definizione di bullo in Italia ha un'accezione che stempera la gravita' della violenza e sopraffazione che vuole denunciare. Il bullo, nel senso comune, e' il gradasso, quello che si da' delle arie, ma che non necessariamente prevarica gli altri, anzi spesso il termine "bullo, bulletto" ha un'accezione positiva, di affettuosa presa in giro. E' pero' necessario mettere da parte questo significato per comprendere il problema: il bullo e' un ragazzo o una ragazza che compie degli atti di prepotenza verso un proprio pari sfruttando il fatto di essergli in qualche modo superiore, queste prepotenze non sono occasionali, ma si ripetono nel tempo, configurandosi come una vera e propria persecuzione.

Caratteristiche del bullismo:

Fare il bullo significa dominare i piu' deboli con atteggiamenti aggressivi e prepotenti, sottoporre a continue angherie e soprusi i compagni di classe o di giochi fisicamente e caratterialmente piu' indifesi.
Citiamo la definizione di Dan Olweus: "uno studente e' oggetto di azioni di bullismo, ovvero e' prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di piu' compagni". (Olweus, 1996).

Il bullismo puo' essere considerato una sottocategoria del comportamento aggressivo, con alcune caratteristiche distintive: l'intenzionalita' (mira deliberatamente a ferire, offendere, arrecare danno o disagio); la persistenza nel tempo, l'asimmetria di potere (nella relazione, il bullo e' piu' forte e la vittima e' piu' debole e spesso incapace di difendersi).

Il bullismo puo' assumere forme differenti:

  • fisiche: colpire con pugni o calci, appropriarsi, o rovinare, gli effetti personali di qualcuno;
  • verbali: deridere, insultare, offendere, minacciare, prendere in giro ripetutamente, fare affermazioni discriminanti;
  • indirette: diffondere pettegolezzi e calunnie, diffamare, escludere qualcuno dal gruppo di aggregazione.
Il bullo:

Ci sono diverse tipologie di bullo:

  • bullo dominante, le cui caratteristiche sono:
    aggressivita' generalizzata sia verso gli adulti sia verso i coetanei, impulsivita' e scarsa empatia verso gli altri, questi bambini vantano la loro superiorita', vera o presunta, si arrabbiano facilmente e presentano una bassa tolleranza alla frustrazione, hanno un atteggiamento positivo verso la violenza, poiche' e' ritenuta uno strumento positivo per raggiungere i propri obiettivi.
    La loro prepotenza non e' dovuta ad insicurezza e scarsa autostima, al contrario si tratta di bambini sicuri di se', con elevate abilita' sociali, capaci di istigare gli altri.
    Hanno buone doti psicologiche utilizzate pero' al fine di manipolare la situazione a proprio vantaggio, con forte bisogno di dominare gli altri.
    Manifestano grosse difficolta' nel rispettare le regole e nel tollerare contrarieta' e frustrazioni.
    Tentano, a volte, di trarre vantaggio anche utilizzando l'inganno.
    Il rendimento scolastico e' vario ma tende ad abbassarsi con l'aumentare dell'eta' e, parallelamente a questa, si manifesta un atteggiamento negativo verso la scuola.
    Il bullo, sempre alla ricerca di emozioni forti, estreme, deumanizza la vittima al fine di giustificare le sue forme di aggressivita' e di violenza e stabilisce con gli altri rapporti interpersonali improntati quasi sempre sulla prevaricazione.
    Attraverso una ricerca focalizzata sulla capacita' dei soggetti coinvolti in episodi di bullismo (bulli e vittime) di riconoscere le emozioni altrui, si e' constatato che la condizione di entrambi appare legata a difficolta' nel riconoscimento delle emozioni.
    Per i bulli, si riscontra una generale immaturita' nel riconoscere le emozioni, soprattutto la felicita'.
    Entrambi gli attori risultano "sgrammaticati" in una competenza fondamentale che e' quella che permette di cogliere i segnali emotivi che provengono dagli altri.
  • bullo gregario:
    piu' ansioso, insicuro, poco popolare, cerca la propria identita' e l'affermazione nel gruppo attraverso il ruolo di aiutante o sostenitore del bullo.
La vittima:

Le caratteristiche della vittima sono:
scarsa autostima e opinione negativa di se', i bambini vittimizzati sono ansiosi e insicuri, spesso cauti, sensibili e calmi.
Se attaccati, reagiscono chiudendosi in se stessi.
Queste caratteristiche sono tipiche delle vittime definite passive o sottomesse, che segnalano agli altri l'incapacita', l'impossibilita' o difficolta' di reagire di fronte ai soprusi.
Esiste, tuttavia, un altro gruppo di vittime: le vittime provocatrici, caratterizzate da una combinazione di modalita' di reazione ansiose e aggressive.
Possono essere iperattivi, inquieti e offensivi.
Tendono a controbattere e hanno la tendenza a prevaricare i compagni piu' deboli.
Per le vittime si evidenziano deficit nel riconoscimento di specifici segnali emotivi, in particolare relativi alla rabbia.
Da un lato tali difficolta' potrebbero impedire al bambino di riconoscere l'altro come potenziale aggressore e quindi di difendersi, e dall'altro lato, l'incapacita' di leggere tale emozione potrebbe ostacolare il controllo del proprio comportamento e favorire l'utilizzo di modalita' che finiscono con il provocare ulteriormente la rabbia dell'altro.

Le conseguenze:

Essere vittima o essere prepotente ed esserlo a lungo nel corso del tempo puo' rappresentare un fattore di rischio.
Gli studi longitudinali, gia' messi in atto da Olweus e altri, rivelano che chi rimane a lungo nel ruolo di prepotente corre piu' rischi di altri di entrare in quella escalation di violenza che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalita', fino a incorrere in problemi seri con la legge.
Questi bambini hanno quindi piu' probabilita' da adulti di venire condannati per comportamenti antisociali.
Per contro chi rimane a lungo nel ruolo di vittima rischia di andare incontro a livelli di autostima sempre piu' bassi ("non valgo nulla", "non sono capace di far nulla", "gli altri ce l'hanno tutti con me"), a forme di depressione che possono aggravarsi sempre di piu', fino a diventare forme di autolesionismo con conseguenze estreme come il suicidio.

Le cause:

Nel tempo si sono susseguite varie ipotesi esplicative del bullismo, relative al sistema familiare, a fattori personologici e al contesto culturale, si puo' dire che siano tutte valide e che il fenomeno sia multi- causale:

  • contesto familiare: ci sono due diverse prospettive di studio che hanno preso in considerazione il sistema familiare dei bambini coinvolti, come bulli o vittime, in episodi di prepotenze.
    Una prima prospettiva ha indagato la qualita' della relazione affettiva tra genitori e figli, in particolare ha considerato il legame di attaccamento madre-bambino.
    Da tali ricerche e' emerso che i bambini con attaccamento insicuro-evitante esibiscono con piu' probabilita' comportamenti di attacco e prepotenza verso i compagni (poiche' non sviluppano un atteggiamento di fiducia verso gi altri e si aspettano risposte ostili), mentre i bambini con attaccamento insicuro-resistente assumono con piu' probabilita' il ruolo di vittime (poiche' hanno poca fiducia e poca stima in se stessi, sono insicuri e ansiosi).
    Una seconda prospettiva indaga gli stili educativi parentali, come contesto di apprendimento di regole e valori.
    Il bambino che vive in una famiglia in cui regnano un'educazione coercitiva, violenza e sopraffazione ha piu' probabilita' di interiorizzare schemi di comportamento disadattivi, si sentira' quindi autorizzato ad utilizzare gli stessi modelli di comportamento anche nelle relazioni al di fuori della famiglia.
    Al contrario, se la famiglia presenta uno stile educativo permissivo e tollerante, il bambino sara' incapace di porre adeguati limiti al proprio comportamento.
  • fattori personali, tutti quegli elementi personologici che sono caratteristici del bullo e della vittima (cfr. ivi, "Il bullo", "La vittima", pagg. 3 -5)
  • contesto culturale in cui si vive: come afferma Olweus, i ragazzi che opprimono e quelli che subiscono sono il frutto di una societa' che tollera la sopraffazione.
    Il bullismo e' quindi figlio di un contesto culturale piu' ampio, in cui si persegue un modello di forza e potere, in cui vige la distinzione dell'umanita' tra vincenti e perdenti, l'esaltazione di leader autoritari e di immagini maschili e femminili di successo, in cui la sconfitta non e' ben vista.
    I mass media, televisione, cinema, videogiochi, ci presentano modelli di violenza giovanile come espressione di forza e vitalita', risolutrice di conflitti e depurata da ogni segno di sofferenza o conseguenza per le vittime.
    In una cultura fondata sui (dis)valori della sopraffazione, dell'arroganza, della furbizia e della competizione, sara' naturale per il piccolo bullo prevaricare il compagno piu' debole.
Il gruppo:

I coetanei hanno un ruolo importante nello sviluppo, mantenimento o modificazione del comportamento aggressivo nel gruppo.
Il bullo non agisce da solo: alcuni compagni svolgono un ruolo di rinforzo, altri formano un pubblico che incita e sostiene, altri ancora si disinteressano a quello che accade, non manca poi chi tenta di opporsi alle prepotenze per proteggere la vittima, in questo ruolo di difesa si trovano spesso le bambine.
Il bullismo e' quindi un fenomeno di gruppo ed e' utile per comprenderlo fare riferimento ai meccanismi che caratterizzano coloro i quali prendono parte all'azione aggressiva.
Innanzitutto alcuni studi hanno dimostrato che l'individuo agisce aggressivamente se ha osservato qualcun altro agire in tal modo (un modello), soprattutto se questo altro gode della stima dell'osservatore, ed e' riconosciuto come forte e coraggioso.
Coloro i quali sono molto influenzati da tali modelli sono soprattutto i ragazzi piu' insicuri e dipendenti, che non hanno un ruolo definito fra i pari e che vorrebbero affermarsi.
Vi e' un altro fattore che interviene in tale contesto di gruppo, cioe' la diminuzione del senso di responsabilita' individuale.
La diffusione di responsabilita' all'interno del gruppo e' un meccanismo che rende piu' facile l'azione aggressiva, poiche' il senso di responsabilita' personale nei confronti dell'azione negativa e' minore se si partecipa in tanti.

Prendiamo ora in considerazione i meccanismi di disimpegno morale elaborati da Bandura, cioe' le strategie cognitive con cui i ragazzi giustificano le loro aggressioni.
Le forme di disimpegno morale possono strutturarsi, stabilizzarsi e quindi diventare un modello per il soggetto, che in qualche maniera lo svincolano da regole e norme.
Una tra le forme di disimpegno morale individuata da Bandura e' l'"etichettamento eufemistico", ed e' la modalita' attraverso cui il ragazzo definisce positivamente un comportamento negativo ("stavamo scherzando"), in modo da far capire che non aveva intenzioni negative.
Ci sono, inoltre, due forme di disimpegno morale legate alla vittima. La prima modalita' e' la "deumanizzazione della vittima", la psicologia ha evidenziato come noi abbiamo una propensione naturale e fisiologica a non esercitare violenza nei confronti dei nostri simili se li consideriamo tali. Possiamo, pero', renderli non piu' nostri simili (la vittima quindi "non e' un essere umano, si merita di essere trattata in quel modo"), cosi' si nega loro il principio di umanita'.
l'altro viene degradato ad essere non umano, ad essere inferiore.

Nel mondo della scuola questo puo' avvenire perche' ci sono alcuni soggetti che si prestano ad essere svalutati, perche' le loro caratteristiche individuali, forse problematiche sotto alcuni aspetti, possono favorire e incrementare questi atteggiamenti da parte dei compagni. La deumanizzazione della vittima favorisce quindi la violenza e rende meno grave l'atto compiuto.
l'altra modalita' molto frequente e diffusa di disimpegno morale e' la "colpevolizzazione della vittima" rispetto al comportamento violento che e' stato esercitato nei suoi confronti ("mi ha provocato"), e' una modalita' di disimpegno morale molto frequente perche' culturalmente si ritiene che se ad una persona e' successo qualcosa di negativo in qualche modo se lo e' meritato.

Infine citiamo la teoria del "capro espiatorio", che sembra adeguata a descrivere il ruolo della vittima nel fenomeno del bullismo. In questo caso, i comportamenti aggressivi diretti verso la vittima, sarebbero espressione di meccanismi difensivi come spostamento e proiezione, cosi' le tendenze aggressive che non possono essere dirette verso il loro obiettivo naturale, sono spostate su una vittima innocente e meno pericolosa, alla quale vengono attribuite caratteristiche stereotipate negative.

Perche' il bullo ha i suoi fidati gregari e il gruppo facilmente si uniforma e accetta di diventare complice, in modo passivo o attivo, delle sue prepotenze?
Questo comportamento da parte dei componenti del gruppo risponde a delle finalita' auto protettive sotto due aspetti. Primo, limita la possibilita' che quel soggetto diventi personalmente vittima del bullo.
Secondo, l'identificazione con l'aggressore crea l'illusione di essere personalmente potenti e non indifesi. Non si tratta, quindi, del riconoscimento della leadership del bullo da parte dei coetanei, ma piuttosto questi saranno disposti ad accettare i suoi modi, poiche' combattuti tra amore e timore per lui. Questo rappresenta pero' una grave minaccia per il benessere del gruppo.

Popolarita' del bullo:

Godere del favore dei compagni significa disporre di preziose opportunita' sociali, mentre il rifiuto porta all'esclusione dalle attivita' collettive.
Diversi studi dimostrano che i bulli hanno una popolarita' che rientra nella media, o poco al di sotto di essa e sono spesso circondati da un gruppo di due o tre coetanei sostenitori.
Spesso i compagni esprimono nei confronti della vittima antipatia e rifiuto, mentre l'atteggiamento verso il bullo varia in base a diverse circostanze, in particolare i fattori contestuali e individuali assumono un ruolo cruciale nel determinare l'atteggiamento dei pari nei confronti del bullo.
Tra i fattori contestuali, un elemento molto importante e' l'efficacia delle azioni: il rifiuto viene espresso verso quei compagni che con le loro condotte aggressive non raggiungono lo scopo.
Tra i fattori individuali, ricordiamo che la popolarita' dei bulli e' destinata a diminuire con l'aumentare dell'eta', perche' con l'eta' le strategie aggressive cambiano e si passa da forme di aggressivita' dirette a modalita' indirette e si sviluppa la capacita' di giudicare secondo criteri morali i comportamenti propri e altrui, per cui chi utilizza condotte aggressive e' considerato riprovevole e degno di rifiuto.

l'autoaffermazione del bullo:

Il bullismo e' una modalita' proattiva, ossia, e' un comportamento messo in atto senza provocazione da parte della vittima ed e' agito dall'aggressore al fine di raggiungere il suo scopo, il dominio e il potere sugli altri. Il bullismo trova la sua motivazione nell'affermazione di dominanza interpersonale. Il bullo sa affermare se stesso nel gruppo soltanto attraverso l'uso deliberato della forza.
l'aggressivita', pero', non ha solo una valenza negativa, puo' essere prosociale nel momento in cui non mira a infliggere un danno ma a conquistare un obiettivo socialmente accettabile. E' inoltre una funzione centrale al servizio dell'autorealizzazione, ci permette di confrontarci, reagire, difenderci, avere rapporti con gli altri.

A differenza del bullo, un bambino che utilizza una modalita' di adgredere in modo funzionale, e' un bambino che gestisce l'aggressivita', e' capace di mediarla, di sentire le proprie e altrui esigenze, e' in grado di mettersi nei panni dell'altro e utilizzare costruttivamente l'aggressivita' in una dimensione relazionale, mettendo in atto delle azioni in modo commisurato all'importanza della posta in gioco e ai propri principi morali, senza ricorrere alla rottura della relazione come soluzione del contrasto.

Bullo: leader impostore?

Appare ora chiaro che il fenomeno del bullismo non risiede soltanto nella relazione bullo-vittima, ma e' un fenomeno collettivo, che coinvolge l'intero gruppo, che puo' sostenere e rinforzare il fenomeno.

Il bullo e' il leader del gruppo?
Se pensiamo alle caratteristiche fondamentali del leader, quali l'empatia, l'abilita' a relazionarsi, la valorizzazione e il coinvolgimento degli altri, il senso della comunita', l'agire efficacemente, l'essere attento al clima del gruppo e ad arbitrare eventuali conflitti, l'essere assertivo, ci rendiamo conto che queste caratteristiche non appartengono al bullo.
Il bullo non e' empatico, non possiede la facolta' di porsi nei panni altrui, l'identificazione con l'altro da se' e' un concetto che non gli attiene, l'identificazione invece e' un concetto fondamentale relativo alla sicurezza e costituisce un efficace inibitore dell'aggressivita'. Infatti secondo studi di etologia, l'essere umano possiede una facolta' di inibizione innata all'aggressivita' che gli impedisce di eliminare il proprio simile, facolta' basata sulla possibilita' di identita' ed empatia con l'altro percepito come essere uguale a se'.
Il bullo non attua un comportamento per valorizzare e coinvolgere gli altri, le introiezioni che propone sono rigide e vanno accettate incondizionatamente, i compagni non sono chiamati ad attivare le proprie capacita' e risorse.

Una competenza comunicativa fondamentale per il leader, e di cui il bullo e' mancante, e' l'assertivita'.
Questa rappresenta uno stile comunicativo che permette all'individuo di esprimere le proprie opinioni, le proprie emozioni e di impegnarsi a risolvere positivamente le situazioni e i problemi. Tale modo di comunicare nasce dall'armonia tra abilita' sociali, emozioni e razionalita': chi e' assertivo sa esprimere in modo chiaro e efficace emozioni, sentimenti, esigenze e convinzioni, riducendo ansia e aggressivita'. Obiettivo per una comunicazione assertiva e' la capacita' di ridurre le proprie componenti aggressive e passive. Per contro il bullo ha una modalita' relazionale improntata sulla prevaricazione e sulla coercizione.

Il bullo e' quindi un leader impostore?
Innanzitutto chiariamo cosa intendiamo per impostore.
Nonostante nell'uso comune questo termine abbia una connotazione negativa (bugiardo, ciarlatano, imbroglione), secondo la Gestalt Psicosociale rappresenta una parte dell'identita' che appartiene a tutti, vuol dire che a volte si mostra una parte o un solo aspetto di se stessi, si modifica in qualche misura e in qualche circostanza la percezione che si da' di se', e questo puo' avere una valenza positiva o negativa, a seconda se lo si attua funzionalmente o rigidamente.

Il bullo e' un leader impostore e lo e' in modo rigido e quindi disfunzionale. Persegue deliberatamente i propri obiettivi di dominanza e di mantenimento della reputazione attraverso modalita' aggressive e di supremazia, dando nessuna importanza ai sentimenti altrui per il proprio tornaconto. Quindi manipola le situazioni per vantaggio personale, ignorando l'infelicita' della vittima e non accettando la responsabilita' delle proprie azioni.
Il bullo utilizza l'impostura in modo pervasivo e costante, e cio' non e' funzionale al benessere suo ne' a quello del gruppo, che e' un gruppo dove non c'e' tranquillita' emotiva nei rapporti, un gruppo che non puo' crescere, dove le potenzialita' individuali non sono valorizzate, dove l'espressione dei membri non puo' essere libera, poiche' le critiche non sono accettate.

Conclusione:

In una cultura dove dominano i "Franti" di De Amicis, in cui l'autoaffermazione passa per la scissione degli individui tra forti e deboli, una cultura lontana dalla valorizzazione degli aspetti prosociali del comportamento, vale la pena impegnarsi affinche' i nostri ragazzi possano crescere in un clima di educazione affettiva e di promozione di armoniche relazioni sociali.

Cosa si puo' fare?
La paura di essere spodestati, di perdere il proprio ruolo, la gelosia, sono reazioni piuttosto naturali, diffuse, specialmente nello sviluppo, quando ci sono tante conquiste da fare: un'identita' da costruire, uno spazio da crearsi, una posizione da acquisire all'interno dei gruppi di riferimento (la famiglia, la classe); specialmente in queste fasi dello sviluppo, dove il proprio ruolo e' ancora in parte da definire, e' facile percepire come minaccioso qualsiasi tentativo di intrusione.
Il bisogno di ferire l'altro minacciandolo o deridendolo e' un modo di esprimere l'aggressivita' che ha trovato largo spazio nella storia dell'umanita', facendosi largo all'interno della cultura.

In quest'ambito la scuola dovrebbe svolgere un ruolo importante in senso positivo, aiutando il bambino ad avere una buona sicurezza, il che comporta la sua valorizzazione e l'apprezzamento delle qualita' positive personali. La sicurezza si rinforza e si costruisce in un contesto relazionale che offra l'opportunita' di esprimere se stessi e le proprie capacita'.
La valorizzazione aiuta il bambino ad avere fiducia in se stesso consentendogli di superare senza timore e aggressivita' difensiva, gli ostacoli, gli insuccessi, le frustrazioni.
Per contro, un'educazione autoritaria, ponendosi come un'educazione frustrante e punitiva che limita il bambino nel raggiungimento degli obiettivi e nella realizzazione di se', e' fautrice di atteggiamenti di risposta di tipo aggressivo. Svalutare un bambino punendolo, non serve ad evitare il ripetersi dell'azione indesiderata e significa provocare indirettamente comportamenti aggressivi di tipo difensivo.

Questo non significa che la scuola e la famiglia non debbano porre limiti al bambino, infatti la sicurezza in se' si stabilisce nel progressivo incontro con le difficolta' commisurate alle proprie possibilita'. Significa, invece, che il modello educativo che suscita comportamenti meno aggressivi non e' ne' autoritario, ne' aggressivo, ma autorevole, che non evita ostacoli e punizioni, e lo fa in un clima di affetto e valorizzazione.
E' importante osservare e lavorare il prima possibile su comportamenti aggressivi e di prevaricazione, perche' la violenza e' un'abitudine che e' molto difficile da destrutturare quando si organizza in maniera forte. Quindi e' importante intervenire, altrimenti l'aggressivita' diventa una modalita' che poi si trasforma e puo' impedire ai ragazzi di sviluppare competenze prosociali, emozioni, empatia, comunicazione assertiva, tutte quelle emozioni sociali che servono per crescere armonicamente come individuo tra gli altri e conquistare i rapporti interpersonali.

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