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Lo Psicologo a scuola dopo un suicidio

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Lo Psicologo a scuola dopo un suicidio
Strumenti pratici in caso di suicidio di uno studente

L'articolo "Lo Psicologo a scuola dopo un suicidio" parla di:

  • Gli obiettivi prioritari a scuola in caso di suicidio
  • L'importanza dell'elaborazione collettiva
  • Il ruolo dello Psicologo scolastico nei casi di suicidio
Psico-Pratika:
Numero 217 Anno 2025

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Articolo: 'Lo Psicologo a scuola dopo un suicidio
Strumenti pratici in caso di suicidio di uno studente'

A cura di: Luisa Fossati
    INDICE: Lo Psicologo a scuola dopo un suicidio
  • Introduzione
  • L'importanza dell'intervento con adulti e ragazzi
  • Obiettivo: aiutare a elaborare il dolore
  • Il ruolo dello Psicologo
  • L'importanza dell'elaborazione collettiva
  • Riferimenti bibliografici
  • Altre letture su HT
Introduzione

Quando all'interno di una scuola si verifica un suicidio, l'intera comunità scolastica - studenti, insegnanti, genitori - viene profondamente colpita.
In questo articolo ci si concentra in particolare sui casi che avvengono nelle scuole secondarie di secondo grado.
La morte improvvisa di un adolescente, soprattutto se frutto di una scelta volontaria, genera un'ondata di dolore, disorientamento e, talvolta, sensi di colpa difficili da gestire.
In queste circostanze, la presenza dello Psicologo scolastico può rivelarsi un punto di riferimento fondamentale.
Tuttavia, per chi si trova alle prime esperienze professionali, intervenire in un contesto così carico emotivamente può suscitare ansia, dubbi e un senso di inadeguatezza.
Questo contributo nasce con l'intento di offrire spunti pratici su come affrontare situazioni di questo tipo: quali sono gli obiettivi prioritari, come orientarsi nei primi momenti e quale ruolo può assumere lo Psicologo nel sostenere la comunità scolastica.

L'importanza dell'intervento con adulti e ragazzi
Lo Psicologo a scuola dopo un suicidio

Uno dei primi elementi da tenere a mente è che il suicidio non colpisce solo i coetanei dello studente scomparso.
Anche gli adulti (insegnanti, genitori, personale scolastico) vivono emozioni forti: sgomento, impotenza, senso di fallimento.
Un professore può chiedersi se ha perso di vista dei segnali, un genitore può temere che qualcosa del genere possa accadere a suo figlio.
È importante offrire spazi di parola anche a loro, non solo per contenere il loro dolore, ma per fornire strumenti di lettura e perché sono figure fondamentali nella regolazione emotiva dei ragazzi.

Prendiamo un esempio: in una scuola superiore, dopo la morte di un quindicenne, un insegnante confida di non riuscire più a guardare in faccia i ragazzi in classe senza sentirsi in colpa.
Questo vissuto, se non elaborato, può compromettere la sua capacità di offrire contenimento agli studenti.
È perciò utile proporre agli insegnanti momenti specifici di incontro, dove si possano condividere emozioni, dubbi e paure, ma anche acquisire strumenti per sostenere i ragazzi.

Lo stesso vale per i genitori.
In un incontro di condivisione, una madre potrebbe dire: "Mio figlio era amico del ragazzo che si è tolto la vita, ma non parla, non so cosa stia attraversando. Non so come aiutarlo".
In questi casi, l'intervento psicologico assume anche una funzione educativa: aiutare gli adulti a normalizzare il silenzio, la rabbia, la tristezza dei propri figli, e dare indicazioni concrete su come restare presenti senza forzare la comunicazione.

Obiettivo: aiutare a elaborare il dolore

Quando lavoriamo con i ragazzi, il primo obiettivo non è "risolvere" il problema, come se ci fosse una bacchetta magica capace di far scomparire il dolore, ma creare uno spazio in cui possano cominciare a dare un senso all'accaduto.
Elaborare il dolore non significa dimenticare la persona che si è tolta la vita, ma riuscire a parlarne, sentire che le emozioni hanno diritto di cittadinanza e che non si è soli ad affrontarle.
In questo modo mettiamo la mente nella condizione di elaborare.

La narrazione è un elemento centrale.
I ragazzi devono poter raccontare, a modo loro, quello che è successo, come l'hanno saputo, cosa hanno provato.
Non serve forzare: spesso bastano domande semplici come "Cosa avete sentito quando avete ricevuto la notizia?", oppure "che cosa vi siete detti tra di voi?".
Anche il silenzio può essere parte del processo, così come le lacrime o persino l'ironia, che a volte è un modo per affrontare l'angoscia.

Un altro pilastro è la psicoeducazione: spiegare ai ragazzi, con parole semplici, che cosa accade alla mente quando vive un trauma.
Si può usare la metafora del "cervello che va in tilt", oppure quella di un "ingorgo emotivo" che, se non si scioglie, rischia di bloccare anche il resto della vita sebbene possiamo non rendercene conto.
Queste immagini aiutano a rendere comprensibili reazioni come l'insonnia, l'irritabilità, l'apatia.
Ricordiamo che stiamo parlando di adolescenti; il linguaggio deve essere accessibile.

Accanto a narrazione e alla psicoeducazione, è utile lavorare sul riconoscimento emotivo.
Un'attività classica è il "termometro delle emozioni", dove si chiede ai ragazzi di associare un colore e un'intensità alla propria emozione attuale dopo aver fatto un primo intervento psicoeducativo sulle emozioni per aiutarli a riconoscerle e nominarle.
In alternativa, si possono usare immagini, parole chiave o anche la musica, per facilitare il dialogo sulle emozioni.

Come mostrano Jarero e Artigas (2014), interventi di gruppo ben strutturati - anche con protocolli specifici - possono fornire ai ragazzi strumenti di autoriflessione e regolazione emotiva, anche in contesti ad alto impatto emotivo come le scuole colpite da lutti improvvisi.

Il gruppo ha un valore immenso.
Lavorare con la classe, e non solo con i singoli, permette di rinforzare il senso di appartenenza e di protezione.
Dopo un suicidio, infatti, i ragazzi possono sentirsi soli o diversi.
Condividere pensieri e sentimenti insieme ai compagni permette di sentirsi meno isolati e meno strani.
Una studentessa ha detto, dopo un incontro: "Mi sentivo come se solo io sentissi quell'alone di angoscia ogni notte. Oggi ho capito che non è così".
Questo è già un passo verso l'elaborazione.

Il ruolo dello Psicologo

Lo Psicologo in questo contesto non è un "risolutore", ma un facilitatore.
Il suo compito è offrire contenimento, dare senso, aiutare a nominare quello che accade.
Deve saper parlare a studenti, genitori e insegnanti in modo chiaro, empatico e autorevole.
La preparazione tecnica è importante, ma lo è altrettanto la capacità di ascolto e di gestione delle dinamiche relazionali.

Sul piano pratico, il primo passo è incontrare il dirigente scolastico, per capire cosa è successo, quali sono le dinamiche interne alla scuola e chi sono le figure più coinvolte.
Subito dopo è utile organizzare un incontro informativo con genitori e docenti, per presentare il percorso e raccogliere i consensi informati necessari all'intervento con i minori.
Importante: senza disporre di tutti i consensi informati non è possibile iniziare a lavorare con i ragazzi.

Durante questi incontri, lo Psicologo può incontrare anche molte resistenze: un genitore potrebbe dire "parlare di questa cosa non farà altro che peggiorare la situazione"; alcuni insegnanti potrebbero apparire scettici e quindi non facilitare la motivazione dei ragazzi.
In questi casi è importante non forzare, ma spiegare con calma che ignorare il dolore non lo cancella.
A volte è utile portare esempi ed esperienze; frasi come "abbiamo visto che, quando i ragazzi hanno uno spazio per parlare, riescono a concentrarsi meglio e a sentirsi meno soli", possono essere molto rassicuranti.

L'importanza dell'elaborazione collettiva

Le recenti ricerche sul pensiero suicidario negli adolescenti italiani (Tintori et al., 2023) mostrano quanto la dimensione sociale e relazionale sia centrale: il disagio non è solo individuale, ma inserito in reti di significati, legami e vissuti collettivi.
Per questo l'intervento in ambito scolastico non può limitarsi al supporto psicologico clinico individuale, ma, come abbiamo visto, deve estendersi alla comunità educante nel suo complesso.

In questo senso, anche gli studi sugli interventi post-traumatici nelle scuole (Fernandez & Maslovaric, 2020; Maslovaric, 2017) evidenziano quanto la possibilità di elaborare collettivamente l'evento riduca i sintomi da stress acuto e rinforzi i fattori protettivi all'interno dei gruppi.

Concludendo, intervenire in una scuola dopo un suicidio non è semplice.
Serve preparazione, sensibilità, capacità di collaborare con più interlocutori, spesso resistenti, e soprattutto capacità di stare nella complessità.
Ma è anche un'esperienza molto significativa, perché offre la possibilità concreta di trasformare un evento traumatico in un'occasione di crescita collettiva.
Non si tratta di "curare" o "aggiustare" il dolore, ma di creare uno spazio in cui possa essere riconosciuto, condiviso, accolto.

Riferimenti bibliografici
  • Fernandez I., Maslovaric G. (2020), EMDR e traumi collettivi. Interventi dopo eventi critici in comunità scolastiche, Giovanni Fioriti Editore
  • Istat (2022), Report annuale 2021: La situazione del Paese, Istituto Nazionale di Statistica
  • Jarero I., Artigas L. (2014), The EMDR Integrative Group Treatment Protocol: Application with child victims of natural disasters
  • Jarero I., & Uribe S. (2013), The EMDR Protocol for Recent Critical Incidents: Evaluation of effectiveness in a disaster context, Revista de Psicotraumatología
  • Maslovaric G. (2017), Il protocollo EMDR per i traumi collettivi: esperienze e applicazioni in emergenza
  • Shapiro F. (2001), Eye Movement Desensitization and Reprocessing: Basic Principles, Protocols, and Procedures, Guilford Press
  • Tintori A., Cerbara L., Ciancimino G., Pompili M., & Corsetti G. (2023), Il pensiero suicida tra gli adolescenti italiani: Una lettura psicosociale post-pandemica, Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali (CNR-IRPPS)
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