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Il primo colloquio psicologico: gli aspetti chiave e il progetto di lavoro

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Il primo colloquio psicologico: gli aspetti chiave e il progetto di lavoro
Il primo colloquio dalla definizione del problema alla presa in carico

L'articolo "Il primo colloquio psicologico: gli aspetti chiave e il progetto di lavoro" parla di:

  • Le aree del colloquio, l'analisi della domanda, il contratto terapeutico
  • Cosa vogliono la persona e il terapeuta
  • Gli obiettivi e la presa in carico
Psico-Pratika:
Numero 214 Anno 2025

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Articolo: 'Il primo colloquio psicologico: gli aspetti chiave e il progetto di lavoro
Il primo colloquio dalla definizione del problema alla presa in carico'

A cura di: Rita Imbrescia
    INDICE: Il primo colloquio psicologico: gli aspetti chiave e il progetto di lavoro
  • Aspetti chiave del primo incontro
  • Il progetto di lavoro
  • Conclusioni
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT

"Il lavoro di terapia consiste nel procurare uno spazio, un luogo particolare dove qualcun altro possa scoprire come mettersi in relazione con se stesso e voler essere se stesso"
(Patricia Baumgardner, 1983)

Aspetti chiave del primo incontro
Le aree del colloquio

Per dare sostanza alla relazione tra me e la persona che ho davanti, essendo un primo colloquio, come terapeuta, ho bisogno innanzitutto di raccogliere dati informativi.
In secondo luogo ho bisogno di cogliere dai fatti raccontati alcuni punti di riferimento significativi che ruotino essenzialmente attorno a quattro importanti aspetti:

  • Lavoro: di cosa si occupa, in quale ambito opera, se ha o meno un'occupazione e che tipo di impegno settimanale produce in termini di tempo ed energie da dedicargli;
  • Amore: ha una persona accanto, è inserita in una relazione che considera stabile, è all'inizio di una frequentazione, come descrive il rapporto che ha, lo considera un legame o una conoscenza, che tipo di investimento emotivo e materiale;
  • Sogni/Desideri: cosa vuole questa persona da se stessa e in quali contesti concreti si inseriscono i suoi desideri;
  • Carattere: dal contenuto del racconto e dalla forma, cioè dal modo in cui mi parla ed entra in relazione con me, faccio delle ipotesi rispetto alla tipologia caratteriale che ha strutturato nella sua vita.

Conoscere qual è il retroterra affettivo mi serve a comprendere come si muove quella persona rispetto alla dipendenza/indipendenza nei legami.
Chiedere di cosa si occupa, se lavora o studia o fa altro, mi fornisce un'idea del grado di partecipazione al mondo che quella persona ha in quel momento della sua vita.
Sapere dei sogni/desideri ha a che fare con il mondo interno che quella persona porta e, da ultimo, farmi un'idea del suo carattere mi racconta della terra su cui poggia i piedi.
Il primo obiettivo, indagando queste aree, è comprendere se, dove e in quale modo l'esistenza di quella persona scorre o risulta impantanata.

Definizione del problema e contratto terapeutico

Nel primo colloquio oltre a raccogliere dati informativi ho bisogno di giungere a una definizione del problema che la persona mi porta.
Non tutti gli elementi significativi vengono fuori spontaneamente dal racconto, è necessario come terapeuti avere la competenza di guardare in mezzo al flusso di parole, di gesti e di pensieri per costruire dentro di noi un quadro che ci parli di quella persona e del suo peculiare modo di vivere la sofferenza che ci porta.

Dopo averla ascoltata, chiedo perciò alla persona con quale richiesta d'aiuto viene da me.
Sapere perché è venuta mi serve a formulare il contratto terapeutico, che oltre a stabilire le regole del setting in cui si svolgerà la relazione, è lo strumento attraverso cui la persona mi fornisce il mandato per lavorare con lei.
È a partire da questo accordo che potremo lavorare sui bisogni che porta.

Il progetto di lavoro
Il primo colloquio psicologico: gli aspetti chiave e il progetto di lavoro

Un progetto terapeutico si costruisce sulla base degli elementi colti nello svolgimento della seduta e delle riflessioni fatte dopo la seduta, sull'incontro che abbiamo vissuto.
Come terapeuta il progetto che propongo, chiarendo alla persona di che cosa ha bisogno secondo me, ha come obiettivo ultimo quello di intervenire sulla qualità della sua vita avendo ben presenti quali effetti di miglioramento produrrà nell'esperienza di ogni singola area.

Cosa vuole la persona

Noi siamo esseri desideranti, direbbe Perls, e siamo in salute quando la soddisfazione, lo stare a contatto con i nostri desideri, ci permette l'autorealizzazione.
Stare a contatto con i propri desideri richiede flessibilità, perché le emozioni cambiano momento dopo momento e se ci concentriamo ad ascoltarle nel corpo facciamo esperienza del fatto che non esiste un'emozione identica a quella di un minuto prima: ogni gioia, tristezza, paura, dolore, rabbia, cambia qualitativamente di minuto in minuto e per coglierne le sfumature bisogna essere in ascolto attento.
Solo stando in ascolto, e quindi in contatto con quello che sentiamo, impariamo ad adattarci a quello che ci accade in maniera consona, e possiamo di conseguenza rispondere alla situazione che stiamo vivendo in maniera accordata anziché stonata.
Non possiamo decidere quello che sentiamo, cioè non possiamo decidere ad esempio di non avere rabbia; quello che possiamo fare è decidere che farne: la differenza è che se ci accorgiamo di provare rabbia possiamo decidere di fare una cosa oppure un'altra, se invece non ce ne accorgiamo decide lei.
Riconoscere perciò quello di cui la persona ha bisogno e comprendere in quale direzione vuole che la sua terapia vada, è cruciale per svegliare nella persona un senso di responsabilità che concretamente si traduce nell'impegno ad incontrarci e intraprendere il viaggio.

Cosa vuole il terapeuta

Il volere del terapeuta è importante quanto quello della persona che chiede il suo aiuto perché dà forma all'intenzione di essere con l'altro da lì in avanti, e di volerlo fare con tutta la sua presenza. Entrare in una relazione terapeutica vuol dire infatti portare nella stanza del terapeuta, ancora prima della domanda specifica, un bisogno più o meno consapevole di affidarci a qualcuno e, potendogli stare di fronte, aprire la porta del nostro mondo più intimo e privato perché ci accompagni a esplorarlo pian piano.

Quando terapeuta e cliente entrano in relazione costruiscono un legame che durante tutta la Psicoterapia ha la funzione di fare da sfondo rassicurante e contenitivo a un processo di crescita che in quanto tale a volte richiede un atteggiamento di non indulgenza nei confronti ad esempio degli aspetti problematici che il cliente porta con sé.
Riguardo la costruzione del legame, prendo in prestito le parole illuminanti di Sergio Mazzei quando dice:
"a mio avviso, solo interiorizzando l'apprezzamento e il riconoscimento di un autorevole oggetto - sé esterno, come può essere vissuto il terapeuta, si ha davvero la possibilità di accettare nuove esperienze e dimensioni di consapevolezza e realizzare un cambiamento stabile nella propria vita colmando un antico buco psichico.
Lo sviluppo della capacità di prendere contatto, accettare e lavorare con queste antiche emozioni è, infatti, una conseguenza dell'interiorizzazione della funzione calmante dell'oggetto - sé buono interiorizzato (madre/terapeuta)"
(Mazzei, 2010).

Quello che si instaura tra il terapeuta e la persona che chiede aiuto, è innanzitutto un legame umano, cioè tra due persone.
Ma a che serve il legame? Il legame è ciò che ci dà forma. È Bowlby a sottolineare come il legame sia un nostro bisogno primario, cioè necessario alla nostra sopravvivenza.
L'attaccamento alla madre è dato nel bambino da una predisposizione biologica innata a ricercare protezione dalla minaccia della separazione, indipendentemente dal soddisfacimento dei bisogni alimentari o di altro tipo.
Perché il bambino impari a esercitare la propria libertà, il legame deve fargli da contenitore: un contenitore che dia il senso del limite e che allo stesso tempo permetta di uscire e rientrare, dopo aver esplorato l'ambiente, con la rassicurazione che sarà ri-accolto dall'amore materno.

Avere fiducia nel terapeuta vuol dire rischiare di aprirsi e aprendosi verificare che cosa ci torna indietro in termini di emozione, accettazione e appartenenza:
"un sorriso sostenente del terapeuta, quando vissuto autentico ed empatico dal paziente nei confronti delle sue difficoltà, quando viene sentito come rispecchiamento del suo valore, meritato dal suo affrontare i propri mostri e draghi interni, permette al paziente di sperimentare un'energia che gli proviene dal sentirsi compreso e sostenuto che forse non ha mai davvero vissuto prima" (Mazzei, 2010).

Che cos'è quindi quella che chiamiamo alleanza terapeutica? Essenzialmente un'atmosfera densa, costruita a partire dal groviglio di vissuti profondi che il cliente sperimenta nella relazione con il suo terapeuta e dai rimbalzi emotivi che questi vissuti suscitano nell'anima del terapeuta.
È una trama formata da quegli invisibili fili emotivi scoperti dalla relazione, che man mano si allarga e si rinnova, si fa e si disfa continuamente all'interno degli scambi che avvengono tra quella persona e il terapeuta.

Condivisione degli obiettivi e presa in carico

Al fine di camminare insieme per uno scopo comune, condividiamo con la persona quale percorso abbiamo immaginato di percorrere insieme a lei e ne chiariamo gli obiettivi perché possa leggere nelle nostre parole quale tipo di intervento abbiamo in mente e quali modalità di svolgimento esso prevede.

Conclusioni

Dopo aver condiviso i passi del progetto verifichiamo qual è il grado di accordo della persona e quali eventuali perplessità sono presenti per apporre quegli aggiustamenti necessari perché l'intenzione di provarci sia più forte della paura di non farcela.
Giunti a questo punto la sensazione è quella di aver creato una presenza laddove c'era una mancanza, un'intelaiatura che prima di quell'incontro non esisteva né in noi né nell'altro.
Sarà proprio quel terreno, delimitato e infinito allo stesso tempo, a consolidare la prima consapevolezza sulla quale tutte le altre poggeranno.

"Le pennellate in quadro hanno un senso perché in quel campo creano tra loro una reciprocità che non si creerebbe se non ci fosse la cornice" (Anna Ravenna, 2004)

Bibliografia
  • Baiocchi P. (gen-feb 2003), L'elaborazione del lutto. La gestione della perdita e dell'attaccamento affettivo, Rivista INformazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia, (1), Roma
  • Baumgardner P., Perls F. (1983), L'eredità di Perls - Doni dal Lago Cowichan, Casa editrice Astrolabio Ubaldini, Roma
  • Bowlby J. (1969), Attaccamento e perdita. Vol. 1: L'attaccamento alla madre, (Schwarz L.; Schepisi M. A. Trad.), Casa editrice Bollati Boringhieri, Torino, 1999
  • Callieri B. (set-dic 1999; gen-apr 2000), Dall'anamnesi al racconto: analisi esistenziale e/o analisi narrativa?, Rivista Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, (38-39), pp. 2-9, Roma
  • Ginger S. (1990), Terapia del con-tatto emotivo, Anne Ginger (Con la collaborazione di), Casa editrice Edizioni Mediterranee, Roma, 2009
  • Imbrescia R. (2015), Col lutto nell'anima : il coraggio di ri-nascere a una nuova vita, Rivista INformazione. Psicoterapia, Counseling, Fenomenologia (28), pp. 45-69
  • Lommatzsch A. (giu-dic 2010), La Psicoterapia: il piacere di una conquista, Rivista INformazione Psicoterapia Counseling Fenomenologia, (14), Roma
  • Mazzei S. (set-ott 2003), Relazione d'oggetto, contatto e crescita: considerazioni sulla natura della relazione terapeutica, Rivista INformazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia, (2), Roma
  • Mazzei S. (giu-dic 2010), Ti vedo, ti sento, ti accompagno. In cerca di risposte nell'esserci empatico, Rivista INformazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia, (16), Roma
  • Mazzei S. (2006), Sviluppo esistenziale e spirituale dell'operatore, Rivista IGBW - Istituto Gestalt e Boby Work, Cagliari
  • Mazzei S. (2006), La co-costruzione del contenitore dialogico, Rivista IGBW - Istituto Gestalt e Boby Work, Cagliari
  • Ravenna A.R. (nov-dic 2004), Tra confluenza e distanza abitabile. Il contatto del terapeuta con se stesso, Rivista INformazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia, (4), pp. 8-13, Roma
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