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Consulenza psicologica: il primo colloquio con i genitori del bambino L'appuntamento, il primo colloquio e la restituzione
L'articolo " Consulenza psicologica: il primo colloquio con i genitori del bambino" parla di:
- Aspettative dei genitori, rapporti tra loro e stili educativi
Importanza dei dati biografici del bambino Incontri con il bambino e colloquio di restituzione
Articolo: 'Consulenza psicologica: il primo colloquio con i genitori del bambino L'appuntamento, il primo colloquio e la restituzione'
INDICE: Consulenza psicologica: il primo colloquio con i genitori del bambino
- 1. La consulenza psicologica con i genitori
- 2. Come si prende l'appuntamento
- 3. Primo colloquio con i genitori
- 3.1 Le aspettative nei nostri confronti
- 3.2 Il rapporto dei genitori tra loro al primo colloquio
- 3.3 I diversi stili educativi di padre e madre
- 4. Prima e seconda parte del colloquio
- 4.1 Prima parte: "Cosa vi porta da me?"
- 4.2 Seconda parte: gli aspetti biografici del bambino
- 4.3 L'importanza dei dati biografici: a cosa fare attenzione
- 4.4 Temi specifici della seconda parte del colloquio
- 5. Incontri con il bambino
- 6. Il colloquio di restituzione ai genitori
- 7. Conclusioni
- 8. Altre letture su HT
La consulenza psicologica con i genitori
Nell'iniziare una consulenza psicologica, particolare importanza ha la gestione del primo colloquio, quando incontriamo genitori che ci
presentano una situazione a loro avviso problematica del figlio.
Mi preme sottolineare che non esiste il bambino senza genitori e, in particolare, fino alla fine delle scuole medie i bambini sono
strettamente dipendenti da loro.
Il lavoro con i genitori, dunque, è molto importante: non si possono incontrare i bambini senza periodicamente vedere anche la madre
e il padre.
In questo momento pensiamo soprattutto alla strutturazione della relazione: i genitori non devono essere "istruiti", ma, tenendo
a mente che sono gli specialisti del loro bambino, devono essere aiutati a recuperare le loro capacità e devono ricevere gli
strumenti perché possano aiutarci nel nostro lavoro.
"Dare istruzioni" porta, invece, a renderli più insicuri e a fargli perdere la fiducia nelle loro capacità.
Può accadere, infatti, che per diversi motivi un adulto possa perdere il contatto con le sue capacità genitoriali, che si perda
ed entri in uno stato di confusione. Il nostro compito, ripeto, è quello di riportarlo ad avere fiducia nelle sue competenze.
A volte i genitori nel colloquio ci raccontano con semplicità e sincerità - talvolta senza rendersi conto della gravità
di ciò che dicono - gesti di rifiuto e di violenza nei confronti dei loro figli.
I sentimenti di rabbia e condanna, che ci vengono spontanei, ci aiutano a capire quello che prova il bambino, ma non a comprendere gli adulti.
Bisogna, perciò, sospendere il giudizio e chiederci come possiamo essere di aiuto per far sì che i genitori riescano ad accettare
il proprio figlio.
Dietro un atteggiamento di violenza, ad esempio, c'è sempre la paura e nostro compito è andare a capire di cosa ha paura il genitore.
Nel momento in cui viene riconosciuta la sofferenza, padre e madre possono liberarsi delle proprie difese ed essere di aiuto al figlio.
Si tratta di fare in modo che gli adulti possano comprendere le reali intenzioni del bambino, aiutarli a compiere quel processo di osservazione
che porta a guardarlo senza giudizio e a riconoscere da quello che fa e che dice ciò che veramente è. In sostanza, dobbiamo
aiutare i genitori a saper leggere i comportamenti del bambino.
Molto spesso essi sono influenzati, nella comprensione del figlio, da pregiudizi, modelli educativi che hanno sperimentato nell'infanzia
o emozioni soggettive.
Spesso, recuperando nel genitore la fiducia nelle proprie competenze, è possibile riprendere un processo educativo virtuoso.
Quando i genitori riescono a vedere il figlio senza pregiudizi, il bambino o l'adolescente si sentono riconosciuti e i genitori diventano
dei veri e propri co-terapeuti.
Anche se i genitori non vanno istruiti, si possono dare indicazioni pratiche riguardo ai ritmi di vita, ai rituali che scandiscono la giornata,
alle modalità di addormentamento del bambino, ai diversi accorgimenti che il genitore può mettere in atto per farlo stare meglio.
Come si prende l'appuntamento
Prendiamo ora in considerazione il modo in cui si svolge concretamente l'incontro con i genitori dei bambini che andremo ad incontrare.
Se svolgiamo un'attività privata, saranno i genitori a chiamarci telefonicamente; se invece siamo all'interno di un contesto scolastico,
è possibile che a contattare i genitori saremo noi.
Quando i genitori ci chiamano è sempre perché hanno una difficoltà con il proprio figlio e perché hanno
toccato con mano la loro impotenza e così chiedono aiuto, quindi già nella prima telefonata il gesto che ci dovrebbe caratterizzare
è la piena accoglienza.
Il modo in cui avviene la telefonata è già indicativo dello stato d'animo e della situazione in cui si trova il genitore: può
succedere che cominci a parlare delle difficoltà entrando nei dettagli, come a volere una consulenza per telefono.
In questo caso l'angoscia è molto forte e probabilmente la richiesta d'aiuto è stata motivata da un qualche episodio recente che
ha creato un'emergenza.
Al contrario, la telefonata può essere breve e sintetica e a volte anche troppo vaga.
In questo caso probabilmente la preoccupazione del genitore è gestita meglio.
Può essere che il genitore riferisca le parole degli insegnanti o di altre persone per motivare la sua chiamata, dimostrando così
di avere una motivazione più estrinseca che intrinseca.
È anche significativo chi dei due genitori vi telefona: di solito è il genitore che avverte maggiormente la difficoltà.
È importante dare alla telefonata una struttura per poter gestire meglio l'ansia di chi chiama in modo da contenerla, per avere i dati
di cui si ha bisogno e per offrire le informazioni di cui i genitori hanno bisogno prima del primo colloquio.
Si dovrebbe chiedere:
- qual è il problema in sintesi. Come abbiamo già visto, il modo in cui ci viene presentata la richiesta da parte del genitore
ci fa capire come sta vivendo quel problema;
- il nome del bambino, perché possa affermarsi la sua individualità;
- chi è l'inviante. Se è un medico ad inviare è diverso rispetto alla scuola o a un amico.
Si dovrà chiarire che:
- la prima seduta si svolge solo con i genitori.
Anche se è vero che non bisognerebbe mai dire nulla nel colloquio con i genitori che non possa essere anche ascoltato dal bambino,
è anche vero che il genitore deve sentirsi libero di esprimere i propri sentimenti, che non sempre possono essere condivisi con il figlio;
- se i genitori sono separati possiamo anche incontrare inizialmente solo uno di loro, ma bisognerà chiarire che se si inizierà
un percorso con il bambino, sarà necessario incontrare entrambi e che entrambi devono sottoscrivere il consenso agli incontri;
- quando la motivazione è piuttosto debole, si dà l'appuntamento per una consulenza; se invece la richiesta ha una forte
motivazione, allora si presenterà l'iter della valutazione: un primo colloquio con i genitori, due-tre sedute con il bambino, un
colloquio di restituzione con i genitori. È molto importante per alcuni sapere che dopo quattro incontri possono decidere se proseguire
o meno il percorso;
- importante anche dire quanto durano gli incontri e quanto costano.
Se a richiedere l'appuntamento è il clinico attraverso la scuola, la modalità del primo incontro è diversa:
infatti, se è la scuola che ritiene che il bambino debba essere seguito in modo particolare e chiede alla famiglia di approvare un
intervento, il primo contatto con i genitori è particolarmente delicato. Abbiamo di fronte dei genitori che non hanno preso iniziative
per aiutare il bambino, o perché non sono consapevoli delle sue difficoltà (e quindi la notizia che la scuola ritiene il bambino
bisognoso di cure particolari li sorprende e più o meno consapevolmente li ferisce) o perché non hanno saputo come chiedere aiuto.
Essere chiamati dalla scuola fa attivare sentimenti di inadeguatezza e/o di colpa.
Questi sentimenti diventano particolarmente insopportabili se la scuola si mette nella posizione di saperne di più della famiglia e
chiede ai genitori un atto di cieca fiducia nelle sue competenze.
La scuola, invece, dovrebbe ammettere con sincerità tutte le difficoltà che incontra con il bambino e che, dopo aver fatto tutto
il possibile per integrarlo nella classe o per sostenerlo, chiede ora alla famiglia una collaborazione.
Se la scuola riconosce la propria impotenza, legittima l'impotenza del genitore e si mette in una posizione di collaborazione e non di competizione.
Primo colloquio con i genitori
Prima di parlare di cosa è importante sapere e chiedere nel primo colloquio con i genitori, vediamo cosa è importante
osservare e notare con attenzione.
Le aspettative nei nostri confronti
Come abbiamo visto, il primo colloquio si svolge senza il bambino o l'adolescente (nel caso sia coinvolto un adolescente è importante
che i genitori lo informino del colloquio che ci stanno chiedendo e gli chiedano l'autorizzazione a parlare delle loro difficoltà e di
lui. Il fatto che lo abbiano informato o meno ci fa capire che tipo di rapporto hanno con lui).
Nel primo colloquio raccoglieremo la richiesta esplicita (di solito legata ad un comportamento che crea disagio a qualcuno: ad esempio,
il genitore potrebbe riportare che il bambino fa confusione in classe, ecc.), ma vedremo poi anche quella implicita (potrebbero chiedere
implicitamente aiuto perché non sanno gestire l'aggressività o le richieste del figlio) e la biografia del bambino, la sua storia.
Durante il colloquio raccogliamo ciò che viene espresso verbalmente e le informazioni che il genitore ci dà attraverso il suo
linguaggio non verbale.
Il primo colloquio è sempre molto importante perché è come un microcosmo in cui è presente tutto ciò che
via via noi scopriremo nel corso della relazione con loro e con il bambino.
Possiamo capire le aspettative del genitore in base a come si pone:
- ci sono genitori che portano il figlio tenendosi fuori dal processo, aspettandosi che, per così dire, lo si "ripari" e lo si
riconsegni sano;
- ci sono genitori che portano se stessi o il conflitto con il coniuge da cui si sono separati oppure una qualche angoscia esistenziale,
mentre il bambino tende a sparire dal colloquio;
- ci sono genitori con sensi di colpa che si aspettano di essere criticati e quindi tendono a giustificarsi in continuazione, così
da prevenire una critica da parte nostra.
In questo caso, ma in realtà sempre, dobbiamo evitare di esprimere giudizi critici;
- ci sono coppie che possono sentire la necessità di essere riconosciute come bravi genitori e chiedono ai propri figli, e a noi,
di restituire loro questa immagine. Si aspettano di essere apprezzati e ammirati e tendono ad attribuire il disagio del bambino a situazioni
ambientali esterne come ad esempio la scuola o altro, tenendosi fuori dal malessere del figlio.
Il rapporto dei genitori tra loro al primo colloquio
Un altro aspetto importante da tenere in considerazione nel primo colloquio riguarda il rapporto dei genitori tra loro: dobbiamo notare chi
comincia a parlare per primo e alla dinamica che si svolge tra loro. Per esempio, può essere che sia il padre a prendere l'appuntamento,
che sia lui a cominciare a parlare e che, durante il colloquio, faccia continuamente delle critiche al modo che la moglie ha di educare i figli,
oppure può essere che nei primi colloqui sia spesso il marito a parlare anche al posto della moglie e a porsi nei suoi confronti con un
fare protettivo. Infine, può essere che a parlare sia soprattutto la moglie e che lei abbia nei confronti del marito un'aria di sufficienza,
come se qualsiasi cosa lui dica non sia poi così importante.
I diversi stili educativi di padre e madre
Un altro importante aspetto cui prestare attenzione durante il primo colloquio riguarda gli stili educativi dei genitori.
- Stile educativo normativo: può prevalere un'attenzione alle regole vissute in modo rigido, volte a mortificare il desiderio
piuttosto che a promuoverlo. Questo atteggiamento può essere presente in uno dei due genitori o in entrambi.
Spesso questo tipo di atteggiamento provoca nei bambini stati d'ansia e varie forme di paura.
- Stile educativo assecondante: può prevalere un atteggiamento che, al contrario del precedente, è quasi totalmente
destrutturato e non pone dei limiti. Anche questo può essere presente in uno o entrambi i genitori. A volte questo atteggiamento
provoca nei bambini la tendenza a disprezzare l'adulto e ad assumere comportamenti provocatori.
- Stile educativo protettivo: può prevalere un atteggiamento protettivo di carattere ansioso che nel bambino piccolo crea un
atteggiamento per lo più adattivo e accondiscendente, che non fa vivere pienamente o anche per niente la crisi puberale e adolescenziale.
- Stile educativo che tende a precocizzare lo sviluppo: un atteggiamento che pretende una precoce autonomia e non concede un periodo
di sana dipendenza. In questo caso il bambino tende a proteggere la sua parte fragile e a tenerla nascosta.
Questo atteggiamento può sviluppare una personalità apparentemente forte e autonoma, ma in realtà con una grande paura
del fallimento.
Prima e seconda parte del colloquio
Passando alla strutturazione del colloquio stesso, distinguiamo due parti. Nella prima si ascoltano le preoccupazioni dei genitori e nella
seconda si raccolgono i dati biografici.
È importante in ogni momento del colloquio dare spazio e attenzione sia ai vissuti del genitore che alla descrizione dei comportamenti
del bambino, non seguire un protocollo rigido, ma ascoltare e cercare di toccare tutti i temi che a noi interessano.
Prima parte: "Cosa vi porta da me?"
Nella prima parte si dovrebbe lasciare spazio ai genitori perché essi possano portare le loro preoccupazioni, senza interromperli
se non lo stretto necessario per capire meglio.
In questo momento l'attenzione deve essere rivolta agli aspetti verbali e non verbali, alla meta-comunicazione, chi inizia a parlare, che
rapporto sembra esserci tra i genitori, il tono di voce, il tipo di narrazione (schematica, sintetica, confusa, precipitosa, senza pause,
prolissa, fredda, ecc.).
Questa prima fase del colloquio viene introdotta con la domanda: "Cosa vi porta da me?" o "Cosa vi preoccupa?", "Perché
avete deciso di chiamarmi?" in modo che venga fuori la preoccupazione principale riguardante il bambino.
Seconda parte: gli aspetti biografici del bambino
Quando questo aspetto è stato chiarito, si passa alla seconda fase, che permette di conoscere gli aspetti biografici del bambino.
In questa seconda fase bisogna essere più strutturati e sistematici.
Le aree da toccare riguardano l'età, la classe, la famiglia e il lavoro dei genitori, l'organizzazione della settimana, le relazioni,
la cronologia dal concepimento al parto, il sonno, l'allattamento, lo svezzamento, il linguaggio, l'inserimento nella scuola materna o al nido,
la scuola elementare, l'orientamento spazio-temporale, i rapporti con i coetanei, ecc.
È molto importante capire cosa ha fatto il bambino, ma soprattutto il modo in cui l'ha fatto, non limitarsi all'elenco di cose accadute
ma capire anche il modo di giocare, gli interessi.
Se i genitori non hanno detto al figlio che hanno intenzione di portarlo da noi e ci chiedono come spiegarglielo, possiamo girare loro la
domanda: "Lei che cosa direbbe?" (da come rispondono si capisce molto riguardo al tipo di rapporto che hanno).
Ovviamente le domande non devono essere chiuse, stile interrogatorio, ma aperte, consentendo al genitore di dire serenamente cosa pensa.
L'importanza dei dati biografici: a cosa fare attenzione
I colloqui con i genitori non hanno lo scopo di trovare le cause delle problematiche del bambino attraverso il passato biografico, ma
servono per cogliere importanti correlazioni tra l'ambiente in cui vive il bambino, gli aspetti ereditari e la sua individualità.
Bisogna prestare attenzione a come il bambino gestisce ciò che gli arriva dall'esterno, quanto ci mette di suo, quanto viene sopraffatto
dall'ambiente o ha capacità di reagire, trasformare quello che viene da fuori affermando se stesso.
Nel corso dell'età evolutiva queste due forze, quella esterna e quella interna, si alternano in cerca di un equilibrio:
- nella primissima infanzia il bambino è assolutamente recettivo, come una spugna;
- quando inizia a stare in piedi e in particolare nel periodo dell'ostinazione, intorno ai 3 anni, il bambino compie il primo gesto di
auto-affermazione e di contrapposizione al mondo;
- verso la fine del primo settennio è più aperto al mondo, pieno di curiosità;
- intorno al nono anno di nuovo il bambino si chiude al mondo e vi si contrappone;
- nell'adolescenza l'apertura al mondo è di nuovo massima, ma contemporaneamente è massima anche la contrapposizione.
Le due modalità dell'essere sono giunte alla loro massima conflittualità.
Ascoltando la biografia non vanno cercate le cause di un sintomo negli eventi, ma bisogna cogliere le correlazioni, ciò che è
ricorrente, l'equilibrio tra ricettivo/immedesimativo (assorbire tutto quello che viene dall'esterno, quasi facendone parte) ed
espressivo/volitivo (attuare comportamenti che dimostrano maggiore propositività rispetto agli stimoli esterni che non sono
più colti passivamente).
Temi specifici della seconda parte del colloquio
Elenco qui i singoli momenti dell'evoluzione del bambino per sottolineare ciò che è rilevante. Questi temi non vanno indagati
in modo inquisitorio, ma tenuti a mente e avvicinati con tatto.
0-2 anni
- Contesto familiare;
- Atmosfera familiare al momento del concepimento;
- Grado di individuazione del nucleo familiare dalle famiglie di origine;
- Gravidanza;
- Parto;
- Stato del bambino dopo il parto;
- Atmosfera familiare dopo il parto;
- Allattamento;
- Svezzamento;
- Sonno;
- Ha gattonato;
- Primi passi;
- Movimento;
- Ripresa dell'attività lavorativa della mamma;
- Linguaggio;
- Inserimento al nido.
2-4 anni
- Inserimento nella scuola materna;
- Fase dell'ostinazione;
- Capacità di giocare da solo;
- Autonomia;
- Capacità imitativa;
- Fantasia.
5° anno
- Incubi notturni;
- I rituali del bambino;
- Impulso ad oltrepassare i limiti e le regole.
6°-7° anno
- Il sonno;
- Abitudini alimentari;
- Malattie;
- Incidenti;
- Lutti;
- Nascita di altri fratelli;
- Improvvisi cambiamenti di vita familiare;
- Giochi;
- Paure;
- Ritmi della vita.
6-8 anni
- Relazione con gli insegnanti;
- Relazione con la classe;
- Relazione con le materie di studio;
- Relazione maestra/e genitori;
- Relazione genitore-bambino riguardo alla scuola;
- Le abitudini;
- Simpatie (preferenze) e antipatie (avversioni) del bambino.
9° anno
- Atteggiamenti critici del bambino nei confronti dei genitori;
- Atteggiamenti critici del bambino nei confronti dell'insegnante;
- Il diario, o gli spazi segreti.
10-12 anni
- Le tendenze regressive del bambino;
- Le tendenze progressive del bambino;
- Le crisi di opposizione;
- I cambiamenti corporei;
- Come cambiano i giochi e gli interessi;
- Le relazioni sociali;
- Il diario.
13-14 anni
- Lo sviluppo sessuale;
- La relazione con il gruppo dei pari;
- Come cambia l'interesse per la scuola.
Incontri con il bambino
Dopo 1-2 colloqui con i genitori ci siamo fatti un'idea del bambino e nel primo incontro con lui lo accoglieremo e asseconderemo i suoi
interessi, creando uno spazio perché si senta a suo agio. Se è un bambino e non un adolescente, gli metto a disposizione alcuni
giocattoli, lo osservo mentre gioca e partecipo anche io con naturalezza.
Il messaggio che deve passare è di estrema fiducia: "Qualsiasi cosa tu faccia, io ci sarò". Questo permetterà la
continuità ed affidabilità della relazione.
Io normalmente mi muovo così: personalmente prima di fare una diagnosi scrivo solo quello che succede, dunque come si muove, quando
cammina, se è pesante o leggero, come tocca e afferra gli oggetti, osservo la motricità grossolana, fine e linguistica (come
si muove e parla), il suo rapporto con il mondo, tra sé e gli altri, la voce (forte, bassa, chiara o meno), come pronuncia i fonemi.
Il contenuto della nostra consulenza è il comportamento, attraverso il quale il bambino mi parla come fosse un vero e proprio linguaggio
corrispondente alla sua età.
Penso al bambino come parte di una rete di relazioni, con uno sguardo sistemico (c'è differenza se cresce in città o campagna,
se i genitori sono soli o ci sono i nonni, se lavorano, cosa fa di pomeriggio, se ci sono o non ci sono fratelli, se fa attività manuali,
passeggiate nella natura, ecc.).
Nel secondo incontro avrò riflettuto sul primo, il bambino porterà elementi nuovi.
Al termine del gioco penso a quello che abbiamo fatto, raccolgo tutto il materiale e faccio una diagnosi e una previsione di lavoro.
Il colloquio di restituzione ai genitori
Nell'incontro di restituzione ai genitori non è necessario parlare delle teorie che sottendono le nostre osservazioni, ma bisogna
trovare le parole giuste per dire loro tutto senza alimentare un senso di colpa.
Il senso di colpa si deve trasformare in senso di responsabilità, che aiuta a fare il prossimo passo verso il benessere del bambino.
Dobbiamo aiutare i genitori ad aiutare i bambini, dobbiamo avviare un processo che deve proseguire a casa.
Al termine del colloquio è importante riferire quanto dureranno gli incontri, che saranno a cadenza settimanale possibilmente sempre
allo stesso giorno e alla stessa ora e quando incontreremo nuovamente i genitori.
Conclusioni
Si è voluto analizzare in modo specifico il primo colloquio perché da questo si pongono le basi per una buona relazione e
una buona alleanza terapeutica.
Ritengo sia indispensabile incontrare i genitori all'inizio e periodicamente durante il lavoro con il bambino, sia perché sono loro i
veri esperti del proprio figlio, sia perché senza il loro aiuto il nostro lavoro lascia il tempo che trova ed è sicuramente meno
efficace.
In tutti i casi l'atteggiamento deve essere di accoglienza e accettazione, senza nessun giudizio critico. Dobbiamo raccogliere in modo
sistematico le informazioni che ci interessano senza farci distrarre da una conversazione che ci porta fuori dai nostri obiettivi. Per questo
è utile avere sottomano (o in mente) la lista dei temi.
Se si inizia con le premesse giuste, tutto il lavoro successivo sarà facilitato.
La prima cosa che cura è la relazione.
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