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Il colloquio peritale con il minore abusato

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Il colloquio peritale con il minore abusato
Minori e abuso: rischi, prudenze, accortezze

L'articolo "Il colloquio peritale con il minore abusato" parla di:

  • L'utilizzo di condotte d'indagine adeguate
  • Sindrome del falso ricordo e memoria infantile
  • Gli strumenti di validazione della testimonianza infantile
Psico-Pratika:
Numero 205 Anno 2024

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Articolo: 'Il colloquio peritale con il minore abusato
Minori e abuso: rischi, prudenze, accortezze'

A cura di: Rebecca Farsi
    INDICE: Il colloquio peritale con il minore abusato
  • Introduzione
  • Le rischiose scorciatoie del pensiero
    • Come si costruisce una domanda suggestiva
  • Il potere trasformativo della memoria e il "falso ricordo"
    • La memoria infantile: caratteristiche biologiche ed operative
  • Strumenti di validazione della testimonianza infantile: Step Wise interview, CBCA
  • I bambini e l'attendibilità testimoniale
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT
1. Introduzione

Un'indagine finalizzata all'accertamento di abuso sessuale su minore comporta la necessità di raccogliere la testimonianza della possibile vittima all'interno di un contesto giudiziario protetto. Ciò al fine di garantire il duplice aspetto dell'oggettività giuridica e della tutela emotiva del bambino, evitando di esporlo ad un procedimento penale che, per le sue connotazioni strutturali e logistiche, potrebbe rivelarsi ulteriormente traumatico.

Non si tratta di un compito facile. Per quanto la presenza di un bagaglio esperienziale, unito ad adeguate conoscenze teorico-applicative, possano fungere da garantismo in un settore tanto delicato, non esiste un livello di competenza sufficientemente in grado di gestire l'impatto dell'evento, sotto un punto di vista professionale ed egualmente umano. La stessa figura del perito, richiesta dal giudice per avvalersi di competenze più attendibili, non va esente da passi falsi e possibili errori, comportati dalla complessità specifica del contesto operativo.

All'interno del colloquio, una distanza ridotta tra gli spazi psichici dei soggetti coinvolti - clinico e minore - può impedire un'equa valutazione del Sé narrante e della capacità di coerenza dichiarativa del bambino. Allo stesso modo in cui un coinvolgimento eccessivo potrebbe favorire l'attivazione di enactment e situazioni controtransferali, non meno di quanto avviene in un setting terapeutico, con conseguente formazione di una sovrapposizione mentale, emotiva ed esperienziale, in grado di saturare lo spazio percettivo - interpretativo dei dati e la sostituzione dello spazio psichico del perito con quello dell'intervistato (Gulotta, 2020).

2. Le rischiose scorciatoie del pensiero
Il colloquio peritale con il minore abusato

Oltre ad aggravare l'esperienza traumatica della vittima, la commissione di errori cognitivi e procedurali potrebbe fuorviare le indagini, portando all'identificazione di falsi reati di abuso o alla negazione di un abuso effettivamente consumato. Con gravi conseguenze in entrambe le eventualità.

È per questo necessario optare per l'utilizzo di condotte di indagine prudenti e garantiste, particolarmente finalizzate ad evitare le seguenti imprecisioni (Gulotta, 2020; 1997):

  1. Euristica della disponibilità
    Procedura cognitiva "economica", la classica scorciatoia di pensiero, in cui le conclusioni vengono tratte attraverso l'impiego di ragionamenti probabilistici, basati su esperienze pregresse e logiche di impronta automatizzata, anziché di stampo deduttivo. L'esito più probabile è una generalizzazione di pensiero, cui consegue una sovraestensione di giudizi.
  2. Perseveranza della credenza
    Errore generato da una discrepanza tra le caratteristiche oggettive di un fenomeno e la rappresentazione mentale dello stesso. Nel caso specifico è possibile che il perito tenda a sopravvalutare determinati fattori contestuali - ancorché meramente indiziali - reputandoli salienti rispetto ad altri, in virtù di una selezione puramente arbitraria. Può costituire una tipologia di questo errore la creazione di un'associazione automatica tra abuso sessuale e contesto socio economico svantaggiato.
  3. Tendenza al verificazionismo
    Errore tipicamente epistemologico, perché inserito in quella fase in cui il professionista è chiamato a valutare l'esistenza del fatto, costruendo le basi autentiche del ragionamento di "indagine". In questo caso non vengono prese in considerazione ipotesi alternative rispetto a quelle aprioristicamente accettate, in una sorta di immunizzazione rispetto a tutti quei dati che potrebbero mettere in dubbio la validità e il contenuto delle stesse. Post hoc ergo propter hoc. Il ragionamento risulta inevitabilmente non integrato, mancante di quella verità intellettuale che ne garantisce l'attendibilità giuridica.
  4. Sovrastima della frequenza di base
    Meglio nota come "deformazione professionale", è una scorciatoia di pensiero che rende probabile l'accadimento di determinati eventi solo perché trattati con più frequenza nel proprio ambito professionale, e per questo dotati di maggiore accessibilità mnestica rispetto a contenuti meno familiari. A causa di questo errore si opta per un ragionamento meramente statistico, anziché oggettivamente valutativo. Ad esempio un perito esperto in maltrattamento ed abuso sessuale, è portato a identificarne la presenza in ogni circostanza di indagine si presenti alla sua attenzione.
  5. Errato utilizzo degli strumenti diagnostici
    È opportuno che il perito sia dotato di consolidata competenza nella gestione degli strumenti di indagine - nello specifico test, osservazioni cliniche, gestione del colloquio con le parti coinvolte - e sia in grado di interpretare i dati ottenuti attraverso l'impiego di un modello interpretativo comprovato e riconosciuto in ambito giuridico, oltre che clinicamente validato ( Gulotta, 1997);
  6. Fare uso di domande suggestive durante il colloquio
    Parlando del colloquio clinico condotto sulla presunta vittima, è inoltre necessario astenersi dall'impiego delle c.d. domande suggestive, così denominate perché in grado di suggerire, a partire dalla formulazione, una possibile risposta (Gulotta, 2005). Le funzione manipolativa delle domande viene generalmente ottenuta attraverso alcune componenti principali:
    • la dimensione morfologico-grammaticale, e dunque l'impianto strutturale attraverso il quale la domanda viene posta;
    • la dimensione paraprassica, relativa al tono di voce, al ritmo, alla mimica con cui vengono pronunciate le domande: elementi che, in un contesto in cui l'asimmetria dei ruoli è particolarmente marcata come quello ad oggetto, potrebbero svolgere sull'interrogato un'influenza persuasiva; ad esempio frasi brevi, incisive, reiterate e poste a breve distanza, con ritmo quasi incalzante, pronunciate con un tono di voce finalizzato ad evidenziare determinate parti della richiesta con allusive scritture ritmiche e cadenze di tono, costituiscono segnali larvatamente manipolatori da parte dall'interrogante;
    • La natura dicotomica della risposta, che contribuisce ad amplificare una percezione chiusa e costrittiva, creando un'atmosfera collusiva con le asserzioni implicitamente supposte dall'interrogante (ad esempio la domanda: tuo padre è entrato in camera tua quella sera, sì o no? La secca imposizione di scelta tra una risposta positiva ed una negativa è maggiormente coercitiva rispetto alla seguente: ricordi se tuo padre quella sera è entrato nella tua stanza?).
2.1 Come si costruisce una domanda suggestiva

Dal punto di vista grammaticale può mostrarsi insidioso l'utilizzo di verbi, avverbi e articoli che, collocati in una determinata posizione sintattica, contribuiscono ad accentuare il percetto suggestivo dell'intera domanda ( Gulotta, 1997; 2020; 2005).

I verbi più ambigui sono quelli di moto, che indicano un movimento reale, come andare, venire; o figurato, come iniziare, continuare, partire; quelli di cambiamento, come trasformare o diventare; quelli di transizione, che indicano il passaggio da una condizione all'altra, quali smettere, svegliarsi; quelli ripetitivi, che reiterano azioni nel tempo e nello spazio (ritornare, rimettere, rifare); verbi fattuali, aventi ad oggetto ipotesi presentate in realtà sotto forma di conclusione; e verbi implicativi, che determinano la verità dell'enunciato, come riuscire, dimenticare, capitare (Gulotta, 2005). Ad esempio:

  1. Da quanto tempo si è trasformato il tuo rapporto con il babbo?
    Questa domanda utilizza un verbo di cambiamento (trasformare) che suggerisce una modifica già avvenuta;
  2. Quante volte capitava che il babbo ti chiedesse di non dire nulla alla mamma dei vostri giochi segreti?
    Il verbo implicativo capitare dà per scontata la verità dell'enunciato seguente, decretando di fatto l'impossibilità di metterne in dubbio il contenuto.

Gli effetti suggestivi possono essere altresì ottenuti tramite l'utilizzo di avverbi comparativi, come tanto e quanto; di tempo e di modo, volti a qualificare una situazione o a collocarla cronologicamente; di commento, impiegati a valutare una situazione o un evento; ripetitivi, come ancora e di nuovo; quantificativi, utilizzati per quantificare qualcosa, come soltanto, persino, eccetto.
Ad esempio:

  • È mai successo che il babbo ti chiedesse di dargli di nuovo il bacio della buonanotte? - Ancora è avverbio ripetitivo che presuppone eventi pregressi;
  • Il babbo entrava nella tua stanza soltanto per vedere come stavi o anche per fare altre cose? L'avverbio soltanto implica una quantificazione suggestiva;
  • Quando tu e il babbo giocate ci siete soltanto voi? L' avverbio soltanto suggerisce la risposta;
  • Il babbo ti tocca così persino a casa della nonna?- avverbio quantificativo che suggerisce un pregresso già oggettivamente accertato:
  • Gli abbracci del babbo sono affettuosi tanto quanto quelli della mamma, o di più?
    Implicano una comparazione ambigua e suggestiva.

Anche gli articoli - sia quelli determinativi sia quelli indeterminativi - possono avere una collocazione sintattica particolarmente suggestiva:
Ad esempio:

  • La sera in cui il babbo ti accarezzò... Non è la stessa cosa che chiedere:
  • C'è mai stata una sera in cui il babbo ti ha accarezzato...

Si parla di suggestione positiva quando il bambino viene spinto ad aderire alla risposta implicitamente suggerita dalla domanda dell'interrogante: si tratta dell'eventualità che tende maggiormente a verificarsi nei contesti di indagine per abuso. Ma non è escluso il delinearsi di una suggestione negativa, in cui il bambino viene larvatamente spinto a non confessare un evento di abuso aprioristicamente ritenuto non plausibile, o comunque escludibile. Le domande in questo caso possono mostrarsi frettolose, formali, rigide o evasive su alcuni punti di cui si vuole escludere dolosamente la trattazione o l'approfondimento (Castellazzi, 2007), ed egualmente la condotta del perito può mostrarsi banalizzante verso tutti quei dati la cui analisi condurrebbe alla plausibilità del reato.

3. Il potere trasformativo della memoria e il "falso ricordo"

Di fronte alle domande postegli, l'interrogato dovrà essere in grado di esplorare il proprio contenuto esperienziale, creando un solido canale di accessibilità tra dimensione cosciente e contenuto mnestico al fine di trarre dallo stesso informazioni quanto più possibili chiare ed attendibili. Compito non semplice, soprattutto nel caso in cui il ricordo sia particolarmente lontano nel tempo (i c.d. "ricordi in disuso") o abbia ricevuto un immagazzinamento frammentario a causa del contesto disorganizzato in cui si è verificato l'evento. Incorrere in eventi confusivi è piuttosto frequente: in particolare, il potere trasformativo delle c.d. "trappole della memoria", (ricordi più o meno adulterati nel loro contenuto originario, a seguito di rievocazioni non oggettive) può causare riscritture mnestiche talvolta considerevoli.

Questo perché la memoria trasforma di continuo i propri contenuti. Lungi dal risultare una dimensione rigida ed immutabile, essa organizza il proprio funzionamento attraverso strategie, decisioni, processi di controllo e schemi operativi in continua evoluzione.

Katona (1940) aveva notato che, al fine di facilitare il processo di immagazzinamento, la dimensione mnestica è portata ad avvalersi di regole e proprietà che favoriscono una ricostruzione globale, spesso trasformativa della situazione che dovrà essere assimilata. Questo può comportare l'aggiunta o l'elisione di dettagli, l'inserzione di informazioni, l'enfatizzazione di alcuni elementi - specie quelli centrali - rispetto ad altri, più periferici e quindi maggiormente trascurabili.

Ma il concetto di memoria ricostruttiva era già stato introdotto da Bartlett (1932) che, nel suo testo Remebering, aveva ipotizzato un processo di integrazione tra memoria ed esperienza ad opera del quale il contenuto mnestico originario può venir parzialmente ricostruito. I ricordi risultano dunque contaminabili da fattori endogeni - ragionamenti individuali, credenze soggettive, memorie ed esperienze pregresse - ed esogeni - relativi al contesto di immagazzinamento e di rievocazione, in grado di alterarne la struttura - (Franks e Bransfold, 1971). Da qui una sorta di processo di riscrittura, la c.d. ricostruzione post fattuale, capace di trasformare l'evento non soltanto durante l'immagazzinamento, ma soprattutto durante ogni successiva rievocazione, ad opera di fattori aggiunti e sopraggiunti.

In particolare, secondo il fenomeno noto come "interferenza retroattiva" l'introduzione di nuove informazioni influisce sui ricordi precedente alterandone il contenuto e rendendone più difficile l'accessibilità, in modo da impedirne una permanenza chiara e incontrovertibile nei circuiti della memoria.

A seguito della più recente introduzione di dati, il soggetto comincia a dubitare di ciò che ha realmente vissuto, fino a che, il livello di frustrazione procurato da una mancata salienza mnestica, lo spinge inconsciamente a colludere col nuovo scenario prospettatogli. Il vecchio ricordo si dissolve letteralmente - sia nel caso in cui riguardi un evento estraneo al Sé, sia ove abbia ad oggetto un accadimento autobiografico - per colludere con gli aspetti larvatamente imposti dalla manipolazione mnestica post fattuale (Bartlett, 1973).

Il fenomeno dell'interferenza è operativo soprattutto nella memoria a breve termine, ove le informazioni, ancora poco consolidate e per questo "volatili", si mostrano altamente passibili di modifiche, riscritture, inserzioni contenutistiche.

Noto il caso di Piaget (1945) che formulò il ricordo di un rapimento subito durante l'infanzia semplicemente perché gliene fu fornito il dettagliato racconto da parte di un adulto affettivamente rilevante (nello specifico la sua tata). In realtà il rapimento non era mai avvenuto, ma il racconto rievocativo si era mostrato così incistante da persuaderlo della verità di un evento di cui conservava, sorprendentemente, persino tracce mnestiche visive: ad esempio ricordava i graffi sul viso della tata e il volto di un poliziotto che, armato di bastone, inseguiva il rapitore nel tentativo di acciuffarlo. Scoperta la non veridicità del fatto lo stesso Piaget scrisse: "Devo dunque aver sentito, da bambino, il resoconto di questa storia... e devo averlo proiettato nel passato nella forma di una memoria visiva, che è la memoria di una memoria, ma è falsa".

Si è per questo parlato, negli anni '80, della sindrome del falso ricordo, in base alla quale l'effetto persuasivo di un ricordo suggerito si rivela talmente intenso da costruire nella la memoria l'impronta di un evento in realtà mai avvenuto. Questa manovra apre il varco ad un processo di pressione manipolativa che compromette la rievocazione, creando il residuo mnestico di un fatto non veritiero, attraverso l'introduzione di nuovo materiale esperienziale dal valore marcatamente persuasivo (D'Ambrosio, 2010; 2014).

È ampiamente dimostrata la possibilità di manipolare la memoria altrui sfruttando la tendenza a ricostruire narrazioni coerenti, avvalendosi della suggestionabilità dell'individuo e dell'autorevolezza di colui che induce il falso ricordo (Loftus, 1997; 2003; Piaget, 1945; Schacter, 1996).

L'effetto suggestivo si amplifica nel caso in cui le informazioni relative all'evento siano state immagazzinate in maniera confusa e disorientata, se il processo di rievocazione viene reso incerto ad opera di deficit mnestici del soggetto, o se la pressione persuasiva - ricevuta all'interno del setting di rievocazione - contribuisce a debilitare la struttura del ricordo originario.

È il caso dei setting terapeutici, ove, "nello scopo precipuo di compiacere un clinico alla ricerca di ricordi traumatici, oppure per dare coerenza a ricordi frammentati o consistenza a contenuti emotivi difficilmente rappresentabili, è possibile che alcuni pazienti riferiscano episodi traumatici non accaduti" (Liotti, Farina, 2011, p. 137).

L'effetto manipolativo della memoria può verificarsi egualmente in ambito peritale, ove l'amplificazione dell'asimmetria dei ruoli, unita all'elevato livello di formalità del contesto e all'autorevolezza dell'interrogante, agevola la creazione di ricordi adulterati. Effetti ulteriormente potenziati nel caso in cui il colloquio peritale venga condotto nei confronti di un minore, il cui livello di influenzabilità risulta accresciuto dal senso di soggezione nei confronti dell'interrogante.

3.1 La memoria infantile: caratteristiche biologiche ed operative

Il bambino desidera assecondare l'adulto: ciò sotto la spinta di motivazioni affettive - nel caso in cui si tratti di un soggetto al quale è unito da un legame di amore - di vissuti di paura - nel caso in cui l'adulto sia uno sconosciuto in grado di incutergli soggezione - o di fiducia- ove il bambino stesso, riconoscendosi meno competente, decide di fidarsi delle dichiarazioni di qualcuno più esperto.

Questo consolida un'acquiescenza che può ripercuotersi negativamente sulla genuinità del racconto, adulterandone l'autenticità a mezzo di modificazioni influenzate dalla volontà di "obbedire" all'implicita volontà del "più forte" (Schacter, 1997; Shaffer, 2005).

Ma al di là dell'aspetto emotivo, la fragilità del ricordo infantile può risultare amplificata dalla debolezza biologica degli organi deputati al consolidamento mnestico, quali:

  • l'ippocampo, considerato la sede della memoria autobiografica, il cui sviluppo si completa soltanto a partire dagli otto anni;
  • la formazione reticolare, profondamente implicata nella formazione della memoria semantica;
  • il lobo pre frontale inferiore sinistro e la corteccia prefrontale - coinvolti nel consolidamento della memoria a lungo termine - il cui sviluppo è collocabile nella tarda adolescenza;
  • l'immatura padronanza dello strumento verbale, che può contribuire all'indebolimento del ricordo, privandolo di una struttura narrativa logico sequenziale (Belsky, 1997).

Anche per questo, l'inattendibilità della memoria dei bambini è stata più volte resa oggetto di discussione: Sandler e Fonagy (2002) hanno evidenziato che i ricordi infantili si mostrano particolarmente vulnerabili ad aggiunte, errori, elisioni, modifiche strutturali e contenutistiche, per di più amplificate da stati affettivi discontinui e da un'immaturità cerebrale di fondo. Questo è sufficiente a ritenere inattendibili i ricordi delle prime fasi della vita, in particolare quelli al di sotto dei tre anni, la cui connotazione strutturale si limiterebbe ad un coacervo di frammenti confusivi e non dotati di un ordine logico temporale in grado di fornire agli stessi elementi di coesione simbolica.

Malgrado ciò sarebbe incongruo parlare di una totale incompetenza mnestica infantile. I bambini sono in realtà perfettamente in grado di ricordare ciò che hanno vissuto, sebbene la loro capacità di immagazzinamento non sia evoluta come quella di un adulto e le loro strategie di rievocazione risultino più fragili e influenzabili dal contesto (Berti, Bombi, 2009). Dunque i bambini ricordano, ma, a ragione di uno stadio evolutivo non ancora completamente maturo, lo fanno in maniera meno competente e automatizzata rispetto all'adulto. È come se per ricordare avessero necessità di una guida; ed è proprio questa necessità supportiva a renderli più facilmente oggetto di manipolazioni persuasive esterne.

In particolare la memoria infantile presenta i seguenti aspetti di vulnerabilità (Berti e Bombi, 2009; Hyman, 1995):

  • i soggetti in età prescolare sono spesso portati a cambiare argomento senza darne segnalazione, e dunque possono sviare dalla domanda posta;
  • le scelte semantiche infantili si mostrano talvolta poco appropriate o erronee;
  • spesso i bambini fraintendono o non capiscono la domanda posta dall'adulto;
  • il bambino ricorda più facilmente gli eventi che sperimenta in prima persona
  • rispetto a quelli vissuti in modalità vicaria, dei quali conserva una traccia mnestica più modificabile e meno accessibile alla coscienza (Nelson, 1996).
  • le modalità di immagazzinamento mnestico risultano immature: il bambino organizza gli eventi in via routinaria, come si trattasse di script, schemi di esperienze poste in una sequenza spazio temporale stabile ma contenutisticamente debole e poco organizzata, e proprio per questo passibile di continue modifiche;
  • a causa di una precocità maturativa dell'emisfero dx rispetto al sx, il bambino si mostra più propenso a ricordare dettagli percettivi, sensoriali e somatici di un evento, rispetto ad implicazioni empatiche o meta emotive effettivamente vissute; tradotto in un contesto di colloquio giudiziale, questo renderà più probabile la rievocazione di elementi sensoriali, come un profumo, un'immagine, un rumore, rispetto a dettagli di natura più astratta e descrittiva;
  • il bambino tende a cambiare argomento durante la conversazione, dimenticando ciò che ha affermato poco tempo prima;
  • i bambini, specie sotto i quattro-cinque anni, non sono in grado di distinguere nettamente la realtà dall'immaginazione, e tendono a commistionare le due dimensioni in modalità confusiva;
  • in età prescolare sono inoltre portati a rispondere positivamente a tutte le domande chiuse soprattutto se è un adulto non familiare a somministrarle;
  • i bambini ricordano meglio gli elementi centrali e concreti degli eventi, a scapito di dettagli e informazioni periferiche; allo stesso modo tendono a ricordare di più il perché, il come e il cosa si è svolto, rispetto al quando, al chi e al dove (De Leo, et al. 2005);
  • la memoria infantile fa difetto della capacità di riconoscimento della fonte: soprattutto i bambini di età inferiore ad otto anni, non riescono a distinguere una cosa che hanno soltanto immaginato da una che hanno realmente vissuto;
  • le modalità di rievocazione appaiono spesso confuse e disorganizzate, anche nell'esposizione narrativa.

È a causa di questi fattori che il ricordo infantile può risultare maggiormente adulterabile da parte di interferenze esogena o endogena. Ed è sempre per questo che, nel contesto peritale, esso necessita di venir sottoposto ad una serie di accertamenti che lo dichiarino privo di contaminazioni mistificanti apportate dal Sé o da agenti esterni.

4. Strumenti di validazione della testimonianza infantile: Step Wise interview, CBCA

Per risultare logica, attendibile e fondata, la testimonianza del bambino deve in primo luogo mostrarsi in linea con le sue risorse cognitive globali, senza travalicare i limiti imposti dall'età cronologica e dal QI intellettivo specifico. Elemento che, ove presente, potrebbe testimoniare il condizionamento della dimensione mnestica da parte del contesto di adulti che lo circonda.

È dunque importante che, prima del colloquio, il soggetto venga sottoposto ad un test di misurazione del QI, quale WISC -IV, WPPS o matrici di Raven, idonee soprattutto in età prescolare, data la scarsa padronanza nelle performances verbali che, in questa fase, potrebbero invalidare il risultato della prestazione cognitiva.

Uno degli strumenti maggiormente utilizzati per validare la testimonianza di un minore potenziale vittima di abuso è la Step Wise interview (Yuille et al. 1987), costituita in modo tale da massimizzare il ricordo, minimizzando al contempo la contaminazione e cercando di suscitare un impatto mnestico quanto meno traumatico possibile. L'intervista si compone delle seguenti parti:

  • Costruzione del rapporto col minore;
  • Rievocazione di due ricordi specifici;
  • Esortazione a dire la verità così come la ricorda, senza fare pressioni sulle modalità e sulla tempistica in cui ciò dovrà avvenire:
  • Creazione di un'atmosfera di familiarità, che comporta una presentazione graduale dell'argomento oggetto di interesse peritale, magari preceduta da una serie di domande neutrali, finalizzate alla reciproca conoscenza. Ad esempio, in un tentativo di ice breaking, si può chiedere che scuola fa, quali materie gli piacciono, qual è il suo animale preferito;
  • Disponibilità a rispiegare o a ripetere le domande nel caso in cui il bambino non abbia compreso;
  • L'interrogatorio svolto dal perito dovrà iniziare con domande generali, seguite poi da quelle semiaperte e infine da quelle chiuse. Ammesso anche l'utilizzo di test grafici e disegno libero, che aggirano il controllo difensivo e consentono una più facile accessibilità all'universo emotivo dell'interrogato.

Ulteriore strumento valutativo è la CBCA (Criteria Based Content Analysis) Steller e Koehenken, nel 1989) fondata su una valutazione dettagliata dell'intervista - eseguita frase per frase - sulla base di 19 criteri suddivisi in 5 categorie complessive. La verifica della qualità del racconto si sviluppa in tre passaggi: lettura integrale, valutazione complessiva della dichiarazione (criteri 1-3) e infine lettura puntuale (4-18), con particolare attenzione a tutti quegli elementi che potrebbero mostrarsi sintomatici di un'interferenza manipolativa esterna (Steller e Kohenken, 1989).

La valutazione viene compiuta su una scala a 3 punti, in cui 0 corrisponde all'assenza del criterio, 1 alla presenza probabile, 2 ad una presenza pressoché inconfutabile. Se la presenza dei criteri determina un'attendibilità di base della dichiarazione, l'assenza non ne implica automaticamente la falsità, soprattutto perché la stessa potrebbe essere attribuibile ad ulteriori fattori, quali circostanze contingenti, timore e timidezza del bambino, mancata padronanza dello strumento verbale, disagio emotivo nella rievocazione.

La CBCA fa parte del protocollo investigativo SVA (Statement Validity anaysis), a sua volta articolato in quattro fasi:

  • analisi del caso;
  • intervista semistrutturata nella quale il bambino dichiara la sua versione dei fatti;
  • somministrazione della CBCA per valutare la testimonianza;
  • lista di controllo e validità delle risposte emerse nella CBCA, condotta attraverso il confronto con 11 situazioni ipotetiche la cui presenza potrebbe fornire ulteriori interpretazioni - rispetto a quella di abuso - alle risposte fornite dal bambino.

Dato l'elevato rischio di costruire un falso ricordo di abuso, sono stati individuati una serie di criteri differenziali utili ad identificarne precocemente la presenza.

  • Velocità e sicurezza con cui viene riferito l'evento. Generalmente un bambino abusato si mostra piuttosto restio all'ammissione del fatto. Questo sulla scia di ragioni emotive - vissuti di vergogna, colpevolizzazione, paura dello stigma - e relazionale, volte a salvaguardare i legami familiari dai rischi che potrebbero conseguire all'ammissione (ad esempio perdere l'affetto della famiglia o dello stesso abusante). Inoltre i bambini tendono a dimenticare le memorie traumatiche con una tendenza maggiore rispetto a quella mostrata dagli adulti. Ciò ad opera di un'amnesia difensiva, necessaria a cancellare dalla coscienza un'esperienza letteralmente impensabile come quella dell'abuso. Impossibilitati ad accedere a frammenti mnestici troppo dolorosi per essere rievocati, molti ricordano l'evento subito soltanto a distanza di anni (non dimentichiamo che la perdita di memoria e la dissociazione mnestica costituiscono criteri diagnostici del PTSD). Una ricerca condotta da Briere ed Elliott (1994) ha evidenziato che il 75 % dei bambini abusati rivela la violenza soltanto dopo un anno dall'abuso, mentre il 18% attende anche 5 anni o più. Ma c'è il rovescio della medaglia: un tempo di attesa tanto lungo rende probabile l'inserimento dei ricordi recuperati, "memorie dell'abuso che riaffiorano solo dopo lunghi periodi, generalmente dopo anni di amnesia totale dall'accadimento degli eventi presunti" (Weiskrantz, 1997, p. 18), la cui attendibilità potrebbe risultare compromessa, più o meno sostanzialmente, proprio dalla notevole distanza rievocativa.
  • Diversa modalità di rievocazione: si è detto che i bambini, durante la rievocazione mnestica, tendano più spesso a ricordare dettagli attinenti la sfera sensoriale e percettiva, tralasciando il vissuto emotivo che si è accompagnato agli eventi. Quindi un racconto che privilegia l'aspetto emotivo rispetto alla descrizione di dettagli percettivi non si mostra in linea con lo stadio evolutivo infantile, rendendo probabile l'interferenza di un agente esterno nella formazione dello stesso.
  • Minore carico stressogeno: durante l'audizione protetta è probabile che il falso ricordo venga espresso con minor disagio rispetto ad un accadimento reale. Il bambino è eccessivamente sicuro di quanto sta dicendo. Si comporta come se stesse recitando un copione confezionato a tavolino, di cui ha appreso meccanicamente il contenuto, senza viverne egualmente l'aspetto emotivo.
5. I bambini e l'attendibilità testimoniale

Sarebbe un errore non ritenere i bambini dei testimoni attendibili, soltanto basandosi su quei fattori - biologici, emotivi e relazionali - che ne determinano una maggiore vulnerabilità mnestica. In realtà essi sono assolutamente capaci di immagazzinare gli eventi e di rievocarne il contenuto, anche a distanza di tempo, a patto che ricevano un sostegno cognitivo-rielaborativo in grado di supplire le loro incompetenze evolutive (Berti e Bombi, 2009).

Passando in linea numerose ricerche, è stato possibile evidenziare che i bambini sono dei validi testimoni non soltanto perché le loro competenze mnestiche sono più o meno simili a quelle degli adulti, ma anche perché, a differenza di questi ultimi, sono meno inclini a stereotipi, pregiudizi e condizionamenti esterni volti al salvataggio della propria immagine pubblica (Ceci et al. 1995). È inoltre difficile che i bambini arricchiscano gratuitamente gli eventi che hanno vissuto in prima persona, a meno che non subentri un interesse adulto a spingerli in questa direzione (Castellazzi, 2007).

La testimonianza di un bambino è valida e ben utilizzabile in ambito peritale. A patto che vengano rispettate una serie di precauzioni in grado di garantirne l'autenticità e la genuinità, tanto in ambito di raccoglimento che in quello interpretativo (Schaffer, Schacter, Papagno, 1999).

  • Organizzare una logistica adeguata degli spazi e dei tempi: il colloquio deve tenersi all'interno di una stanza isolata, alla presenza del solo perito (psicologo giuridico esperto in età evolutiva) ed eventualmente del giudice istruttore incaricato, che resta in ascolto del colloquio ma in disparte, avvalendosi dell'utilizzo di uno specchio unidirezionale e di apparecchi di registrazione; questo per impedire che il bambino, sentendosi soverchiato da un'eccessiva presenza di estranei, slatentizzi strumenti di difesa impeditivi di una libera rievocazione; al contempo è necessario che la testimonianza non venga raccolta da più persone, in tempi diversi o con una eccessiva distanza temporale. Il rischio di incorrere in quella che viene denominata vittimizzazione secondaria, identificabile nell'abuso delle risorse cognitivo-affettivo della vittima compiuta dagli inquirenti, si mostrerebbe altrimenti troppo elevato, accrescendo il rischio di falsificazione della risposta (Castellazzi, 2007).
  • Rievocazione priva di pressioni esplicite o implicite. È impensabile strutturare un colloquio di indagine in un contesto improvvisato, impositivo o privo di quella empatia che sia in grado di raccogliere ed accogliere le perplessità e le insicurezze del bambino. A di là delle finalità dell'indagine, è importante ricordare che quelle domande, poste da soggetti estranei in un contesto altrettanto sconosciuto, andranno a violare inevitabilmente la sfera più intima e inconfessabile del bambino, causando in lui vissuti contrastanti di confusione, disagio, insofferenza, paura, che susciteranno un'immediata reazione difensiva. Al fine di strutturare un contesto di rievocazione quanto più possibile "familiare" saranno dunque necessari almeno due-tre colloqui introduttivi, utili soprattutto ad inquadrarne preventivamente la personalità, il carattere, i punti di forza e di debolezza, gli strumenti difensivi.
  • Adeguato raccoglimento della testimonianza: per ridurre al minimo il rischio suggestionabilità è opportuno fare uso di un colloquio giudiziario strutturato ad "imbuto", e dunque suddiviso in due parti. In una prima parte il quale il bambino viene lasciato libero di esprimere l'evento attraverso il suo stile narrativo (con parole sue), senza intromissioni, se non al fine di stemperare la tensione e l'angoscia nei momenti più critici (ad esempio si può interrompere momentaneamente il colloquio inserendo un gioco o un disegno). Una seconda parte deve invece essere dedicata all'analisi più approfondita di elementi incerti o trascurati, ma considerati importanti ai fini di una completezza del resoconto (Castellazzi, 2007). Può rivelarsi opportuno l'impiego di strumenti di ausilio comunicativo, quali il disegno, il gioco, le fiabe o il racconto libero di storie, in grado non solo di aumentare le possibilità esplorative della memoria, ma anche di abbassare le difese coscienti e il controllo egoico durante l'esposizione. Nel caso in cui sia necessario avvalersi dell'ausilio di domande, è raccomandabile l'utilizzo di quelle aperte, strutturate in modo da lasciare al bambino più spazio narrativo possibile, eludendo ogni influenza o pressione nella risposta ( Scali e Calabrese, 2003).
  • Libertà di espressione narrativa: è necessario che il minore si senta libero di esprimere ciò che l'adulto, attraverso un'assistenza e un contenimento non invasivo, dovrà aiutarlo - e mai spingerlo - a ricordare; ma soprattutto deve sentirsi riconosciuto nelle proprie qualità individuali, e inserito in un contesto di lavoro in grado di validare non soltanto il suo vissuto interiore, ma anche il senso del Sé più intimo che la violenza - sia quella presunta sia quella autentica - ha rovinosamente danneggiato (Scali e Calabrese, 2003; Gulotta, 1997).
  • Evitare ogni "abuso giudiziario": in nessun caso il bambino dovrà subire il trauma di un'indagine arbitraria, inconsapevole e soprattutto non rispettosa dei suoi diritti di minore e di individuo; sia nel caso in cui il reato di abuso sia realmente accaduto, sia nel caso in cui si mostri infondato, la verità dei fatti dovrà essere raggiunta nel modo meno traumatico ed invasivo possibile, al fine di non sconvolgere la dimensione psichico emotiva del minore, amplificando ulteriormente il suo status di vittima rispetto a quel mondo degli adulti che, troppo spesso, non si mostra all'altezza di proteggerlo.
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