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Il mio viaggio "familiare" attraverso il gioco delle fotoL'articolo "Il mio viaggio "familiare" attraverso il gioco delle foto" parla di:
Articolo: 'Il mio viaggio "familiare" attraverso il gioco delle foto'A cura di: Tamara Marchetti Autore HT
Dei miei nonni ne ho conosciuti solo tre, i due materni e la nonna Bianca, mentre il nonno paterno venne investito da un auto delle mille miglia quando mio padre, secondogenito di due figli, aveva soli quattro anni. Nipote unica sul versante materno, ho vissuto con questi nonni un legame molto forte, una sorta di secondi genitori, presenti ed accudenti. Era poi, un'avventura d'altro sapore, trascorrere il tempo con la nonna Bianca, con lei vivevano, il fratello di mio padre, la moglie
e i miei due cugini: Matteo e Martina, rispettivamente di quattro e tre anni, più grandi di me. Infatti, sia nei giochi di ruolo ma anche nella realtà, io e i miei cugini, eravamo per alcuni aspetti uniti, fino a volte ad essere inseparabili, al contempo però, vivevamo delle gelosie fortissime rispetto alle attenzioni e agli affetti che la nonna dedicava a ciascuno. Rispetto alla conoscenza della mia famiglia d'origine, posso dire di aver incontrato in "carne ed ossa" fino a due bisnonni (i genitori della mia nonna materna), per il resto, sono state acquisizioni attraverso i racconti dei nonni, con l'ausilio poi di un gioco che amavo: "il gioco delle foto". Il gioco delle fotografieIn psicoterapia familiare, l'utilizzo delle foto rappresenta un valido strumento finalizzato a lavorare sul trigenerazionale, abbracciando cioè più generazioni che per ovvi motivi non possono essere presenti in carne ed ossa nel qui ed ora del setting terapeutico. Il gioco delle foto o "genogramma fotografico" consente di lavorare con il/i paziente/i muovendosi su un doppio binario: sul sistema familiare e sul vissuto emozionale rievocato dall'immagine. L'osservazione di una foto, o di una serie di foto, consente l'innescarsi di un processo che unifica mondo presente, ricordi e fantasie dell'osservatore; il racconto che accompagna e plasma l'osservazione rende la persona in grado di scoprire e afferrare aspetti della sua esistenza rimasti invisibili e informi fino a quel momento. Le immagini scelte e portate dal paziente o dai pazienti in terapia, forniscono un valido spaccato della storia familiare a cui si appartiene, è possibile avvicinarsi a miti, regole e ruoli che nel tempo si sono conservati oppure sono andati scemando. E' tipico di questi casi, vedere persone anche anziane che tenendo in mano le foto dei propri genitori, non solo si commuovano o tirano fuori rabbia per problemi che non si sono risolti con i congiunti, ma addirittura regredire, assumere cioè un atteggiamento che è quello dell'epoca, ovvero, dell'essere figlio, anziché genitore quale si è nel presente o addirittura nonni come nel caso del mio racconto... Il gioco delle foto con i nonni materniIl "gioco delle fotografie", metteva in evidenza un'altra sostanziale differenza tra la famiglia d'origine di mia madre e quella di mio padre. Il versante paterno, oltre al rapporto con il gruppo dei pari, offriva un'altra particolare differenza rispetto alla famiglia d'origine di mia madre, una sorta di "quadro incompleto" delle origini, ma arriviamoci per gradi. Chiedere ai nonni di mostrare le proprie foto, a partire da quelle della loro giovinezza, facendosi dare delucidazioni sui personaggi e sui luoghi immortalati nelle immagini, è un gioco che affascina tutti i bambini, i quali senza saperlo hanno un'opportunità d'incrementare la conoscenza delle proprie origini, sviluppando la propria appartenenza. Ricordo foto in bianco e nero di piccolo formato, nelle foto dei nonni materni, insieme ai loro genitori ancora giovani e poi, i fratelli,
5 ne aveva mio nonno e 3 mia nonna. Di tanto in tanto, interveniva la nonna, prendendo del tempo dalle faccende che stava sbrigando, mentre con il nonno eravamo presi nella
ricostruzione della loro storia in immagini e, insieme commentavamo le foto del loro fidanzamento e poi quelle tre, massimo quattro foto del
matrimonio, dove in una mostravano le loro fedi in acciaio, tra il rammarico e l'ironia di non essersi potuti permettere le fedi annunziali
d'oro! Il gioco delle foto con la nonna BiancaA proposito di appartenenza, con la nonna Bianca, il "gioco delle foto" partiva dalle immagini di mio padre e mio zio da piccoli e, quelle
più remote, ritraevano lei ed il nonno da fidanzati. Soltanto mio zio, di otto anni più grande di mio padre, aveva un seppur vago ricordo della madre adottiva della nonna, mentre il padre era morto molti anni prima. Per mia nonna, la storia in immagini della sua infanzia, non era documentata da foto, ma da un trascorso di sofferenza protetta nella sua
memoria e non solo. Lei infatti, era solita raccontarci favole su quella che era poi anche la sua storia, di bambini che non avevano dei genitori, che venivano abbandonati e poi per magie di vario tipo, la sfortuna, si trasformava in una vita bellissima e ricca di fortuna e, questi racconti avvenivano nel chiostro sito nel suo giardino di casa, sotto c'era spazio per la stesa del bucato e in estate lei era solita anche stirare in quel luogo che sapeva di magico e di sofferenza al tempo stesso. Questi racconti, per molti anni non hanno mai avuto un'evoluzione nella condivisione della reale sofferenza che tanto aveva costernato
la vita della nonna, a partire dall'abbandono dei genitori, alla morte del marito rimanendo con due figli piccoli da crescere. Questi aspetti, se condivisi, avrebbero ferito chi le aveva ridato il sorriso, ovvero i genitori adottivi, ma il rispetto stesso, impediva
inconsapevolmente la libertà di amare senza paura chi l'aveva messa al mondo. L'abbandono di un figlioTante e di diversa origine, sono state, nel corso dei secoli, le storie di abbandono nei confronti di un figlio. Da una parte, c'è un bambino che nasce da una relazione, dove i genitori, non saranno poi la sua famiglia, per entrare solo più
tardi in una famiglia che avrà il compito di aiutarlo a crescere, come figlio, come persona. Questo passaggio segna in modo indelebile la vita dell'adottato, anche nel caso il più sereno e felice, le origini sono
altrove e, prima o poi, inizierà il suo lungo viaggio alla ricerca di esse e di tante spiegazioni che verranno messe a segno in
modo più o meno parziale. Ricchi sono i casi trattati in psicoterapia familiare sul disagio e disadattamento di famiglie con figli adottati, nella fattispecie, quando
questi sono in età adolescenziale. Nonna Bianca: dalla favola del "mondo di Bambù" alla realtàTornando alla storia delle mie "origini familiari", inaspettatamente, dopo tanto tempo qualcosa cambiò. Quel suo invito con tè e pasticcini, aveva di nuovo il sapore dell'ambivalenza, da una parte il piacere di stare insieme, dall'altra
si era creato il magico momento per uscire da un lungo "gioco", fatto di favole e metafore. Perché proprio in quel momento? La sua scelta di rivelarsi a me, forse perché dei tre nipoti, benché fossi la più giovane, ero quella maggiormente preparata a condividere aspetti delicati e di un certo spessore, soprattutto in un momento in cui era fertile il terreno per parlare di "saluti" da parte della generazione più anziana, quella appunto dei nonni, come se avesse sentito che era il momento giusto per rivelare il "grande segreto": le sue emozioni. Di nuovo ci sedemmo nel chiostro di bambù e questa volta fui io ad accennare l'inizio della favola, poi lei intervenne dicendo: "questa favola la scrissi quando avevo 15 anni, un modo infantile per parlare di me e, poiché riguarda la mia infanzia, la storia della mia nascita, trovai che la favola, rappresentasse il mio migliore ritratto autobiografico. Anche a voi tre nipoti piaceva molto ascoltare che ve la raccontassi e, ogni volta intorno a noi si creava un'atmosfera magica, ricordi? La fragilità della nonna, Bowlby e l'attaccamento "insicuro"Il mito dunque, era la fragilità, che la nonna aveva sempre nascosto attraverso l'immagine di una donna forte, coraggiosa, in grado di crescere due figli, dopo essere rimasta vedova in giovanissima età, riuscendo persino a farsi una casa, tutto con le sue forze. Anche con noi nipoti era così determinata, ci dimostrava il suo affetto, ma a modo suo, per come sapeva fare lei, era una donna rigida, non ricordo un abbraccio, una carezza, da parte sua, se ci prendeva in braccio, era solo quando ci facevamo male, cadendo nei nostri giochi sempre movimentati. Solo a 79 anni, uno prima della sua morte, ha potuto esprimere la sua fragilità e sofferenza, anche quella di non aver avuto il
coraggio di parlarne prima. Nel caso di mio nonna, per lei, esprimere la propria fragilità, sottendeva una richiesta di protettività e questo, sulla base
del suo stile di attaccamento, non poteva permetterselo. Ora, era più chiaro capire perché con i miei cugini, chiamavamo la storia della nonna "nel mondo di bambù", un mondo misterioso e fragile al tempo stesso, al quale noi eravamo moto legati. Altre letture su HT
Commenti: 21 Florence alle ore 21:01 del 16/05/2011 Mi è piaciuto molto questo articolo, soprattutto quello del gioco delle foto, come conoscenza di sè, e delle generazioni precedenti. Avere la possibilità di nonni che raccontano e che regalano qualcosa ai propri nipoti, i senso positivo, è una dolce formzione. Grazie Florence 2 Lucia alle ore 04:43 del 24/12/2011 Articolo interessantissimo ( come tutti i tuoi) scritto in modo chiaro, avvincente. Mi ha fatto tanto pensare! Ognuno di noi ha foto da riguardare e rivivere insieme ai nonni. Il nostro passato impolverato, risorge sempre. Ti auguro ancora buon natale! Lucia ( Girasole ricordi?) Cosa ne pensi? Lascia un commento
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