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Il processo psicodiagnostico

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Il processo psicodiagnostico
Significato, finalità e aspetti costitutivi della valutazione psicodiagnostica

L'articolo "Il processo psicodiagnostico" parla di:

  • Scopi e metodi della psicodiagnosi in Medicina e in Psicologia
    Elementi di valutazione e "vissuti" all'interno del setting
    Restituzione diagnostica, "distacco" o presa in carico
Psico-Pratika:
Numero 88 Anno 2012

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Articolo: 'Il processo psicodiagnostico
Significato, finalità e aspetti costitutivi della valutazione psicodiagnostica'

A cura di: Tamara Agosti
    INDICE: Il processo psicodiagnostico
  • Introduzione
  • Diagnosi medico-psichiatrica e diagnosi psicologica a confronto
  • Reazioni emotive alla psicodiagnosi da parte degli attori coinvolti
  • Il setting nel percorso psicodiagnostico
  • Aspetti costitutivi la valutazione psicodiagnostica con l'adulto
  • La fine del processo: il distacco
  • Conclusioni
  • Bibliografia di base
  • Altre letture su HT
Introduzione

La parola diagnosi deriva dal greco "diagnosis", composta da "dia", che significa "per mezzo", e da "gnosis", che vuol dire "cognizione", da gi-gnosco cioè "conoscere". Con ciò si vuol sottolineare il fatto che la diagnosi porta a una conoscenza ottenuta tramite fonti diverse e quindi indagabili attraverso vari strumenti che in ambito psicologico possono essere il colloquio, la testistica o l'osservazione.

Diagnosi medico-psichiatrica e diagnosi psicologica a confronto

La diagnosi non appartiene solo all'ambito psicologico ma anche a quello medico-psichiatrico, con caratteristiche e finalità diverse, ma può essere delineata una definizione generale in termini di «organizzazione critica di dati osservati ed evocati allo scopo di prendere una decisione» (Carlo Saraceni, Psichiatra; Gianni Montesarchio, Psicologo, 1988).

Il diagnosta raccoglie e organizza il materiale in modo diverso in base allo specifico problema e prende decisioni a seconda delle varie richieste; per esempio in ambito psicologico la ricerca e l'organizzazione del materiale diagnostico potrà essere di volta in volta diversa a seconda che si debba rispondere al quesito di un magistrato, o alla richiesta di un direttore del personale, o alla domanda per un percorso psicoterapeutico, o alla scelta di una carriera scolastica.

La conoscenza diagnostica quindi è ottenuta tramite metodi specifici collegati allo scopo decisionale della diagnosi.

La diagnosi medica presuppone l'esistenza di entità specifiche denominate malattie sulle quali vengono espressi tre tipi di giudizio:

  1. un giudizio anatomopatologico, riguardante un'alterazione nel corpo del paziente,
  2. un giudizio eziologico che concerne l'identificazione delle cause dell'alterazione,
  3. un giudizio funzionale inerente la capacità di funzionamento dell'organo o tessuto affetto dalla malattia.

Infine il Medico deve valutare il rapporto tra le parti sane e quelle malate allo scopo di prendere una decisione terapeutica adeguata, prendendo cioè in considerazione sia le funzioni malate del corpo che quelle sane per indirizzare il suo intervento verso il recupero della salute.

Per esempio, un cardiologo vuole conoscere nel dettaglio determinate funzioni cardiache prima di somministrare un farmaco beta-bloccante, se queste funzioni non sono idonee orienterà la decisione verso un farmaco diverso.

In ambito psichiatrico risulta essere cruciale il rapporto tra l'esperienza vissuta sul piano pratico e gli aspetti nosografici sul piano teorico.

Lo Psichiatra raccoglie, elabora e valuta tanto i dati quanto i propri vissuti e quelli del paziente, confrontandosi con le classificazioni nosografiche (vedi Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, DSM-IV-TR) che permettono di ordinare e organizzare i sintomi e individuare un quadro psicopatologico; l'identificazione delle malattie si basa sull'organizzazione delle "parti malate" mentre la decisione del trattamento parte dalla valutazione delle "parti sane".

In altri termini l'identificazione nosografica non si esprime unicamente come assegnazione di determinati pazienti a specifiche categorie diagnostiche, perché un conto è riconoscere in una determinata persona l'esistenza di una certa malattia, valutando le "parti malate", e un altro conto è decidere un trattamento, considerando invece le "parti sane". In questo modo la psicodiagnostica permette di integrare l'ambito della Psicopatologia con quello della Psicoterapia.

Carlo Saraceni e Gianni Montesarchio (1988) qualificano la diagnosi psicologica come psicometrica in quanto lo strumento concettuale specifico è la teoria della misura mentale che si concretizza nella tecnica dei test (come per esempio il concetto del Q.I. - quoziente intellettivo - alla base delle scale WAIS).

Questo aspetto di misurazione è un elemento in comune con la diagnosi medica dato che anche in medicina vengono effettuate delle misure (analisi fisiche, chimiche o biologiche); inoltre in entrambi i contesti viene preso in considerazione il rapporto tra "parti sane" e "parti malate" come premessa alla decisione terapeutica.

In particolare in ambito psicologico per valutare questo rapporto qualitativo ci si avvale dell'uso dei test. Lo Psicologo, precisando la qualità e la quantità delle parti sane, qualifica la sua azione valutativa indirizzandola verso quelle risorse interiori che possono essere attivate in una Psicoterapia.

La decisione terapeutica infatti deve essere guidata dal criterio della specificità inteso come convergenza tra l'indicazione della psicopatologia e la stima dell'idoneità del paziente ad affrontare con successo quella terapia.

Ciò significa quindi che non si deciderà in modo automatico il tipo di trattamento.
Per esempio in caso di anoressia nervosa non si opterà sempre per una terapia familiare o in caso di disfunzioni sessuali non si deciderà sempre per una terapia comportamentale.

Per individuare il trattamento più adeguato è necessario aver prima valutato la capacità di quello specifico paziente di affrontare quella specifica terapia.

Reazioni emotive alla psicodiagnosi da parte degli attori coinvolti

Dopo aver delineato le funzioni e le caratteristiche generali della diagnosi, è necessario rivolgere l'attenzione ai vissuti interni degli attori coinvolti, cioè lo Psicologo e il paziente, in quanto le loro reazioni emotive sono elementi costituenti la relazione che si viene a creare durante la valutazione psicodiagnostica.

Lo "spazio della diagnosi" è inteso come vissuto interno dello Psicologo, in cui si inseriscono il patrimonio culturale proprio dello Psicologo e tutto ciò che vive nella interazione con il paziente.

La decisione psicodiagnostica viene presa facendo riferimento sia al sapere tecnico-scientifico che a tutto quello che lo Psicologo vive con il paziente (Saraceni e Montesarchio, 1988).
Nella relazione con il paziente il clinico infatti vive una serie di sentimenti, di emozioni, di fantasie e di pensieri legati all'incontro con quella specifica persona.

Tali "reazioni" costituiscono una preziosa fonte di informazioni da cui attingere, per poter conoscere chi abbiamo di fronte, e da integrare con il sapere tecnico del bagaglio culturale e professionale proprio dello Psicologo.

A ciò si collega il "tempo della diagnosi" come dimensione temporale della ricerca e valutazione delle parti malate e sane con lo scopo di individuare un intervento terapeutico adeguato.

L'esame psicodiagnostico, che si realizza in un numero relativamente breve di sedute nell'arco di qualche settimana, permette lo sviluppo nel paziente di un senso del lavoro psicologico come momento di ricerca su se stessi, condividendo con lo Psicologo non solo i vissuti relativi alla malattia, ma anche tutta una serie di esperienze della sua vita.

L'ultima nota a proposito della dimensione temporale riguarda il tempo che lo Psicologo trascorre tra sé e sé, senza il paziente, come momento di riflessione sul lavoro; ovviamente va considerato anche il tempo del paziente in quanto anche egli partecipa al lavoro psicologico con i suoi tempi e i suoi ritmi.

Dal punto di vista del paziente il percorso psicodiagnostico rappresenta una situazione nuova. Nella situazione psicodiagnostica il paziente può quindi vivere, non solo sentimenti di curiosità e di interesse, ma anche timori, ansie e preoccupazioni. Questo perché guardarsi dentro richiede coraggio, nel senso di riuscire a conoscersi, accettando anche quelle parti più fragili di se stessi, e di poter pensare di essere in grado di cambiare alcuni aspetti di sé per migliorare la propria condizione di vita.

Il setting nel percorso psicodiagnostico

Le considerazioni esposte in precedenza trovano un completamento nella delineazione del setting, costituito dall'insieme delle norme spaziali, temporali ed economiche a sostegno di operazioni psicologiche-cliniche; rappresenta dunque la cornice di riferimento della relazione diagnostica, ma anche psicoterapeutica, che definisce il luogo, il tempo, il costo e le regole del procedere della prestazione psicologica.

Il luogo riguarda lo spazio fisico cioè lo studio nel quale si incontrano paziente e Psicologo; questo spazio deve essere controllato, ossia senza interferenze (ad esempio eccessivo rumore, via vai di gente, etc.), protetto e accogliente sia per il paziente che per lo Psicologo che vi lavora.

Lo studio inoltre è espressione dello stile, dei gusti e delle caratteristiche del diagnosta per cui rappresenta una chiara e onesta modalità comunicativa nei confronti del paziente.

La dimensione temporale, come è stato accennato in precedenza, ha una durata abbastanza definita che permette di fissare con precisione i giorni e le ore degli appuntamenti; è possibile una dilatazione dei tempi ma solo adeguatamente motivata.

La specificità della diagnosi è individuabile anche nei limiti temporali in cui l'inizio è rappresentato dal primo contatto, spesso telefonico, con il paziente, mentre la fine è costituita dall'ultima seduta, definita di "restituzione".

Un altro aspetto del setting è inerente l'onorario la cui comunicazione deve spettare direttamente allo Psicologo, già al momento del primo contatto, essendo motivato dall'esclusività del rapporto.

Aspetti costitutivi la valutazione psicodiagnostica con l'adulto

Senza entrare nello specifico delle tecniche, è utile fare una rapida panoramica di alcuni aspetti che contraddistinguono il percorso di valutazione con un paziente adulto.

Dal momento dell'accoglimento, che è "l'inizio formale" dell'incontro (Herbert Stack Sullivan, Psichiatra), si giunge temporalmente alla fase del riconoscimento inteso come momento in cui lo Psicologo riconosce il paziente come persona inserita in un certo contesto e portatore di un problema.

L'aspetto principale del colloquio diagnostico con l'adulto, secondo l'approccio adleriano, è rappresentato dalla raccolta anamnestica che va orientata all'espressione dei compiti vitali del paziente in modo da individuare l'impalcatura dello Stile di Vita personale; ciò va preceduto dall'esplorazione della motivazione del ricorso allo Psicologo (Francesco Parenti, Medico e Analista adleriano, 1983).

Compatibilmente con le caratteristiche del paziente, la valutazione psicodiagnostica può arricchirsi con la somministrazione di test proiettivi quali il Rorschach e il T.A.T.

Secondo Francesco Parenti, tali test forniscono ipotesi interpretative del funzionamento dell'individuo da valutare sulla base dei dati raccolti nei colloqui per giungere, con il termine del processo diagnostico, all'integrazione di tutte le informazioni raccolte, formulando una possibile spiegazione circa la psicopatologia dell'individuo, le sue risorse e i suoi limiti, in altre parole il suo Stile di Vita.

Altro aspetto che merita attenzione è rappresentato dal linguaggio, sia quello verbale che quello non verbale. In riferimento al primo aspetto è importante tenere a mente quello che lo Psicoanalista Antonio Alberto Semi (1985) chiama "la regola del linguaggio" cioè «in linea di massima il linguaggio che si adopera durante un colloquio è quello del paziente», avendo cura di evitare un linguaggio tecnico-scientifico.

La comunicazione non verbale, che riguarda i gesti, il tono della voce, la postura, l'abbigliamento, l'espressione facciale etc., interessa sia lo Psicologo che il paziente.

La componente non verbale della comunicazione è infatti costituita sia da elementi non verbali del parlato o paralinguistici (es. intonazione della voce, pause, vocalizzazioni aggiuntive) che da elementi cinesici (es. mimica facciale, sguardo, movimenti di parti del corpo).

La comunicazione non verbale, più difficile da controllare in modo consapevole rispetto al linguaggio, lascia filtrare contenuti più profondi di tipo affettivo.

Per quanto riguarda l'aspetto corporeo, Semi (1985) sottolinea la necessità per il clinico di conoscere il proprio stile corporeo, «fatto di vestiti, di atteggiamenti posturali, di mimica», in quanto rappresentano l'altra faccia dello stesso fenomeno che è la personalità.

È importante infatti per lo Psicologo essere consapevole di quali messaggi il proprio stile corporeo comunichi e quali reazioni può sollecitare, in quanto sono elementi che vanno a costituire l'immagine che il paziente ha del clinico.

Sono ovviamente da evitare casi limite come presentarsi con una tuta da ginnastica o ostentare la propria ricchezza.

Quanto detto a proposito del corpo dello Psicologo vale anche per quello del paziente, di cui è possibile valutare anche la gestione dello spazio: come si muove nella stanza, quali informazioni emergono dalla sua prossemica, etc.

La distanza o vicinanza fisica assunta dal paziente permette infatti di ottenere informazioni sulla sua organizzazione dello spazio emotivo.

La fine del processo: il distacco

Il percorso diagnostico si conclude con un incontro di restituzione, come momento di sintesi e di condivisione di quanto emerso nel corso del processo valutativo.

Spesso la restituzione prevede la proposta di un programma terapeutico sempre valutato e proposto in base alla psicopatologia della persona, alle sue risorse e alla sua idoneità a portar a termine la terapia.

È bene fare qualche riflessione su un particolare aspetto strettamente connesso con la conclusione del processo valutativo: il momento del distacco, della rottura del legame che si è instaurato tra Psicologo e paziente durante le sedute diagnostiche.

Questa separazione può essere di tipo fisico, nel caso di un invio a un altro collega, ma anche di tipo psicologico, nel caso in cui è lo stesso diagnosta che prende in carico il paziente e deve per così dire chiudere l'esperienza della diagnosi per aprire quella della terapia.

È bene che i diversi momenti, fine psicodiagnosi e inizio terapia, siano definiti e chiariti al paziente.

Conclusioni

Per riprendere le fila di quanto detto il percorso psicodiagnostico rappresenta in definitiva una opportunità di conoscenza di se stessi, in cui la persona non è sola, ma viene accompagnata dal clinico che aiuta e orienta il lavoro psicologico.

Si tratta di un'attività "condivisa" che implica impegno, attenzione, interesse, rispetto e coraggio da parte di entrambi i soggetti coinvolti con lo scopo comune di sostenere la crescita del paziente.

Nella pratica clinica ritengo fondamentale l'atteggiamento di rispetto e di umiltà da parte dello Psicologo, nel senso di non imporre al paziente delle "etichette diagnostiche" per giustificare il proprio ruolo di esperto, ma di rendere la persona coinvolta e attiva nel proprio percorso di conoscenza e di crescita, la quale, indipendentemente dalla formulazione diagnostica, può arricchirsi di una consapevolezza maggiore di sé grazie alla psicodiagnosi.

Bibliografia di base
  • Parenti F., "La Psicologia Individuale dopo Adler", Astrolabio, Roma, 1983
  • Saraceni C., Montesarchio G., "Introduzione alla psicodiagnostica", NIS, Roma, 1988
  • Semi A., "Tecnica del colloquio", Raffaello Cortina, Milano, 1985
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