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Introduzione alla Psicodiagnosi

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Introduzione alla Psicodiagnosi

L'articolo "Introduzione alla Psicodiagnosi" parla di:

  • Cos'è la Psicodiagnosi
  • processo e sistemi diagnostici
  • Valutazioni psichiatrica e psicologica
Psico-Pratika:
Numero 47 Anno 2009

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Articolo: 'Introduzione alla Psicodiagnosi'

A cura di: Debora Guerra
    INDICE: Introduzione alla Psicodiagnosi
  • Cos'è la Psicodiagnosi
  • Il Processo Psicodiagnostico
  • I Sistemi Diagnostici
  • Perché fare Psicodiagnosi
  • Valutazione Psichiatrica e Valutazione Psicologica
  • Normalità e Patologia
  • Bibliografia
Cos'è la Psicodiagnosi

Per comprendere la ragion d'essere e gli scopi della Psicodiagnosi possiamo partire da una breve disamina etimologica del termine stesso.

Psicodiagnosi è infatti una parola composta da 2 termini quali:

  • Psico derivante dal greco "Psyche" che indica, in senso traslato, Anima;
  • Diagnosi anch'essa di derivazione greca ed indica la cognizione, conoscenza (gnosis) per mezzo di (dia), ovvero la conoscenza ottenuta attraverso uno strumento che in ambito clinico si rivela essere l'osservazione e lo studio di segni e/o sintomi.

Dunque la Psicodiagnosi è la disciplina volta alla conoscenza "dell'anima", ossia è l'attività tesa a valutare, descrivere e comprendere le caratteristiche più profonde dei vari aspetti che compongono e definiscono la personalità di un individuo allo scopo di pervenire ad una diagnosi (ossia conoscenza) attraverso il succedersi, ragionato e plausibile, della formulazione di ipotesi diagnostiche.

È essenzialmente tesa a definire i comportamenti abituali del soggetto, ad individuare la presenza o meno di disturbi della sfera affettiva (sintomi di disagio o psichiatrici) e cognitiva (memoria, linguaggio, pensiero, intelligenza, etc.).
Per pervenire a tale conoscenza si avvale di mezzi, strumenti precipui, atti a raccogliere quante più informazioni (dati) possibili, quali:

  • colloquio clinico;
  • interviste;
  • questionari;
  • valutazioni osservative;
  • esami neuropsicologici;
  • test.

I dati raccolti vanno poi sistematizzati, organizzati ed interpretati alla luce di un sistema diagnostico di riferimento che funga da ausilio nel riconoscimento e definizione di quanto raccolto dotandolo di senso.

L'idea di partire dalla "spiegazione etimologica" del termine Psicodiagnosi, non è dettata dall'intenzione di mettere a frutto anni di studi classici (che comunque non ho compiuto) e di sfoderare le mie conoscenze (che sono comunque, e per fortuna, in costante via di acquisizione e definizione), l'intento, o per meglio dire il "desiderio" che sottostà a tale scelta è ben altro.

Cari colleghi, partire dando enfasi al significato del termine è volto a farci comprendere che "fare Psicodiagnosi" non si limita né si identifica, né tanto meno si esaurisce, nell'attribuire o riconoscere in una persona una certa patologia o disturbo psichico.
Quando una persona si rivolge a noi, di sua iniziativa o perché inviataci da altri professionisti per una valutazione psicodiagnostica, non dobbiamo pensare che di fronte a noi ci siano una serie di segni e sintomi o elementi che aspettano solo di essere organizzati e dotati di senso con un'etichetta diagnostica.

Pur con sfumature diverse a seconda dell'ambito in cui siamo chiamati a compiere un processo di valutazione psicodiagnostica, ci ritroveremo "sempre" nella situazione di "conoscere l'anima" della persona che ci sta di fronte.
Ad esempio, in ambito clinico, potremo ritrovarci di fronte ad una persona che lamenta e presenta un disagio, una difficoltà che gli procura un certo grado di sofferenza e che, più o meno intenzionalmente e consapevolmente, lascerà che noi ci addentreremo nella sua Anima.

Deve essere quindi chiaro che fare Psicodiagnosi non coincide con un esercizio diagnostico (inteso come ginnastica mentale) per noi professionisti, che ci vede intenti a "cacciare e contare" gli elementi necessari per l'attribuzione di un nome a ciò che la persona lamenta e presenta.
Rappresenta, invece, un momento di incontro tra 2 persone, una delle quali, il cliente/paziente, lascerà che l'altra, lo/a Psicologo/a, vada a sollevare il lembo che ammanta la sua esteriorità, cioè quello che dà "forma" alla sua persona.
Ciò consentirà di osservare, comprendere, descrivere e successivamente riferire ciò che alberga e vive nelle sue profondità psichiche potendo così insieme scoprire e dare un senso ed un significato proprio a quella "forma".

Il Processo Psicodiagnostico

L'iter di raccolta dati che conduce alla formulazione di un'ipotesi diagnostica prende il nome di "processo diagnostico" ed è, ma soprattutto deve essere, costituito dalla presenza di 4 fondamentali atteggiamenti e attività metodologiche che si alternano e si concertano armoniosamente ossia:

  • comprendere;
  • osservare/descrivere;
  • spiegare;
  • restituire.
    L'attività del comprendere: è connessa con l'empatia, in quanto si riferisce, e si estrinseca, sul piano relazionale, inteso come il momento che vede coinvolti e protagonisti, ognuno con un proprio ruolo, il clinico e la persona sottoposta a valutazione diagnostica.

    L'attività di osservare e descrivere: quanto colto e visto è connessa ad una applicazione tecnica relativa all'impiego delle conoscenze specifiche che permettono di formulare una diagnosi.

    Lo spiegare: è una parte dell'intero processo diagnostico che è guidata dai fondamenti interpretativi del modello teorico di riferimento.

    Il restituire: è la parte conclusiva del processo diagnostico durante la quale il clinico condivide, nella misura e nella modalità più opportune per ciascuna persona, quanto emerso e compreso con la persona sottoposta a valutazione, o con l'inviante.
    Tale momento può poi tradursi, in ambito clinico ad esempio, in un progetto di terapia o consulenza attraverso l'invio ad altro professionista o con la presa in carico da parte dello stesso diagnosta. In questo caso nel momento della restituzione è necessario che venga attuata una cesura netta tra quello che è stato il processo diagnostico e quello che sarà il percorso successivo. Il cliente/paziente deve essere consapevole, così pure il diagnosta, che ciascun percorso ha una propria identità, una propria funzione e ragion d'essere.

Le attività che compongono il processo psicodiagnostico sono interdipendenti in quanto la spiegazione/interpretazione diviene utile laddove la comprensione consenta di riconoscere l'evoluzione dei vissuti e dei comportamenti della persona sottoposta a valutazione ricavandone una visione quanto più completa possibile.
La descrizione/osservazione consente invece di specificare un quadro clinico che attribuisca un nome ai sintomi e segni rilevati dalla raccolta dati, e per far ciò ci si avvale di un sistema diagnostico di riferimento.

Sulla base di quanto emerso da queste attività, considerato nel suo insieme, scaturisce e deriva la decisione "trattamentale" del clinico la quale deve essere ponderata, oltre che su quanto rilevato nel momento attuale, anche sulla possibile evoluzione dello stato in essere (prognosi) e le aspettative e gli obiettivi realistici della persona valutata.

I Sistemi Diagnostici

I principali sistemi diagnostici sono 2 e tra loro si distinguono in base alla tipologia del paradigma scientifico di riferimento:

  • sistemi nosografico-descrittivi: si fondano su un approccio di base tendenzialmente a-teoretico con lo scopo di descrivere quanto osservato. Tali sistemi sono svincolati da un modello concettuale di riferimento per quanto concerne le cause e il processo fisiopatologico all'origine del disturbo/manifestazione.
    Si costituiscono di criteri diagnostici che consentono di identificare categorie sindromiche attraverso la rilevazione di sintomi con l'ausilio di un livello minimo di inferenza. Esempi di questi sistemi sono il DSM IV e ICD 10.
  • sistemi interpretativo-esplicativi: nascono dall'applicazione di una specifica teoria del comportamento ed il loro impiego è esteso anche a livello terapeutico. Tali sistemi si fondano sull'assunto che ogni patologia sia l'espressione di cause, rilevabili e descrivibili.
    Ne sono un esempio le teorie psicogenetiche, sociogenetiche e organogenetiche che attribuiscono l'eziologia del disturbo psichico rispettivamente a cause psicologiche, sociali o fisiche.

Accanto al più conosciuto DSM, recentemente (2006) è stato pubblicato un manuale diagnostico (PDM, Cortina Editore) che si prefigge lo scopo di operare un'integrazione tra i 2 sistemi sopra descritti in un'ottica psicodinamica.
Il manuale è stato redatto concertando le evidenze empiriche in ambito nosografico-descrittivo, accumulatesi in molti anni di ricerca, con le ipotesi che si sono sviluppate a partire dalla pratica clinica psicoanaliticamente orientata.

L'intento alla base di questa fatica erculea è quello di poter fornire un sistema coerente e quanto più integrato che possa rappresentare un valido ausilio al clinico tanto a fini diagnostici, quanto trattamentali, fornendo indicazioni anche rispetto al trattamento più adeguato sulla base delle caratteristiche della persona e del disagio presentato/lamentato.
È un lavoro pionieristico, alla sua prima edizione sistematizzata, frutto di lunghi anni di ricerca e precedenti tentativi di integrazione scarsamente organizzati, indubbiamente subirà diverse trasformazioni, man mano che il suo impiego si diffonderà in ambito clinico, però allo stato attuale può rappresentare un utile contributo alla propria formazione personale.

Perché fare Psicodiagnosi

Indipendentemente dal sistema diagnostico di riferimento la Psicodiagnosi e il processo diagnostico vengono impiegati, con obiettivi precisi determinati e definiti dall'ambito di applicazione (che vedremo nel dettaglio in seguito), allo scopo di individuare:

  • i punti di forza e i punti di debolezza di una persona;
  • le eventuali manifestazioni patologiche;
  • identificare e distinguere manifestazioni sintomatiche di stato o di tratto;
  • interessi e attitudini;
  • livello di adattamento;
  • stili e meccanismi di difesa;
  • modalità cognitive;
  • bisogni e necessità.

L'individuazione degli aspetti sopra riportati è estremamente utile al fine di:

  • poter valutare e progettare l'intervento terapeutico e/o di recupero più indicato per la persona;
  • valutare l'andamento terapeutico;
  • redigere perizie.

Nel momento in cui siamo chiamati, in qualità di professionisti, ad effettuare una valutazione dello stato psicologico di una persona, pervenendo ad una diagnosi è importante procedere con cautela.

Infatti la formulazione di una diagnosi è un momento fondamentale dell'intero processo clinico in quanto consente al professionista di attribuire un nome a quanto manifestato e raccolto potendolo quindi identificare.
Questo nome però non deve essere una mera etichetta "appiccicata" sulla persona al fine di schedarla.

Occorre sottolineare che spesso la diagnosi rappresenta una previsione che tende ad autoavverarsi. Il processo diagnostico, lo ribadisco (sulla scorta di quanto insegnatomi da professionisti navigati del settore), non deve coincidere né esaurirsi con l'inquadramento della persona all'interno di una casella nosografica.

La diagnosi rappresenta un'ipotesi credibile la cui utilità risiede nella possibilità di ordinare i dati raccolti, ma non va in alcun modo considerata come una verità assoluta ed insindacabile. Se una diagnosi è corretta può rappresentare, al limite, la migliore delle ipotesi formulabili in un momento dato. Successivamente gli elementi suffraganti possono modificarsi e rendere quindi non più valida la diagnosi iniziale.

Questo ci fa comprendere come la diagnosi debba essere costantemente rivista sulla base degli elementi rilevabili e rilevati in un momento storico preciso della vita del soggetto, la cui valutazione da parte del clinico deve procedere attraverso la formulazione di ipotesi diagnostiche, frutto di un ragionamento clinico critico che, di volta in volta sulla base degli elementi colti, miri ad una validazione/falsificazione e conseguente riformulazione delle stesse.

Lo scopo della diagnosi è quello di facilitare la comprensione dei comportamenti e della personalità di un individuo con finalità diverse a seconda dell'ambito applicativo, come ad esempio:

  • in ambito clinico, formulare una previsione futura dell'andamento della problematica lamentata/presentata (prognosi) sulla base della quale ponderare una decisione "trattamentale";
  • in ambito di selezione del personale, scegliere la "persona giusta" da inserire nel "posto giusto";
  • in ambito scolastico poter approntare il piano didattico evolutivo tagliato sulle esigenze e caratteristiche specifiche di quel dato bambino;
  • in ambito giuridico, redigere una perizia che sia d'ausilio al giudice nel prendere una decisione sulla base della quale formulerà la sua sentenza.

Valutazione Psichiatrica e Valutazione Psicologica

Sarebbe a questo punto mia intenzione, specificare la distinzione tra diagnosi psichiatrica e diagnosi psicologica al fine di delineare le rispettive caratteristiche e specificità, spesso confuse, che rendono tali diagnosi frutto di processi e professionalità distinte seppur possano essere congiunte.

Vorrei potervi dare indicazioni specifiche in merito alle competenze diagnostiche di ciascuno, ma purtroppo ci addentriamo in un "campo" fitto di nebulosità e rilevare le specificità di ciascuna delle due professionalità non è così semplice, per quanto certamente ve ne siano.

Posto che entrambe le figure possono fare diagnosi e questo è previsto dalle rispettive leggi e codici che regolamentano le professioni (Codice di Deontologia Medica; Legge 56/89 Ordinamento della Professione di Psicologo, Codice Deontologico degli Psicologi Italiani), negli stessi però non sono specificati altrettanto chiaramente gli strumenti di cui possono avvalersi per compiere il processo diagnostico.

In particolare, per quanto riguarda noi colleghi psicologi, nella legge 18 febbraio 1989, n. 56, quella che sancisce l'istituzione della professione dello Psicologo, all'art. 1 troviamo la definizione della nostra professionalità che viene così sancita:

"La professione di Psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito".

In questo articolo viene dunque decretato che lo Psicologo è abilitato a fare diagnosi avvalendosi di "strumenti conoscitivi e di intervento" che però non sono definiti né in questa legge né nel Codice Deontologico della nostra professione.

Nel corso della nostra formazione universitaria e post-universitaria, ci è stato insegnato che gli strumenti di cui dispone lo Psicologo clinico sono diversi.
Molti di questi strumenti però sono "in uso" tra più professionalità.

Prendiamo ad esempio il colloquio, presentatoci come lo strumento di elezione dello Psicologo, tale strumento è in realtà impiegato da più professionalità certo con modalità di conduzione proprie di e per ciascuna di esse. È utilizzato ad esempio dal medico di base, dallo Psichiatra, dall'avvocato ma anche dal nostro parrucchiere quando cerca di capire quale taglio e/o colore vogliamo o potrebbe rispondere alle nostre esigenze.

Naturalmente quest'ultima è una provocazione palese, che non vuol certo essere offensiva per noi psicologi o per altre professionalità, volevo solo rendere chiaro che la specificità non risiede nello strumento in sé ma nel modo di impiego dello stesso da parte del professionista.

Vediamo infatti che Psicologo e Psichiatra possono trovarsi spesso ad effettuare diagnosi utilizzando medesimi strumenti, come ad esempio colloqui, test, interviste, ecc., senza che ciò comporti per nessuno dei due l'invasione del campo delle competenze dell'altro.

Nella distinzione ortodossa, ma anche arcaica, delle modalità di valutazione diagnostica psichiatrica e psicologica, l'accento era posto sulla finalità delle stesse.

La diagnosi psichiatrica era intesa come volta a rilevare il quadro sindromico di una persona allo scopo di curarne i sintomi attraverso la prescrizione di un farmaco deputato allo scopo.

La diagnosi psicologica invece era intesa come finalizzata alla valutazione globale della persona, che partendo dal disagio/disturbo presentato, trascendeva lo stesso per considerare il ruolo di tale disturbo nell'economia della vita del soggetto, rilevare le risorse e potenzialità dello stesso, stili difensivi e relazionali, insomma tutti gli aspetti che orbitano nella vita di una persona costituendola, per valutare ed indicare quale trattamento fosse il più rispondente alle esigenze di cura della persona, quale tipo di terapia.

In sostanza la diagnosi psichiatrica coincideva con la rilevazione della "patologia" per pervenire alla terapia farmacologia della stessa, la diagnosi psicologica era invece identificata con la "conoscenza globale" della persona e non solo della malattia da essa presentata.

Venendo all'oggi, e alla sensibilità di ciascun professionista, questa distinzione così netta non è più sostenibile.
Fermo restando che ciascuna professionalità ha una propria soggettività di esercizio, data dalle caratteristiche personali di ciascun professionista, sempre più psichiatri, anche a seconda dell'orientamento teorico abbracciato, tendono a condurre i propri processi diagnostici ponendo sempre più attenzione a tutto ciò che sta attorno alla problematica lamentata dal soggetto, così come fanno gli psicologi.

Per concludere, quindi, possiamo considerare che, senza sostenere cose lontane dal vero, la distinzione tra diagnosi psicologica e diagnosi psichiatrica risiede nei diversi iter formativi delle due professionalità.
Mi rendo conto che definire la differenziazione in questo modo rischia di sembrare un'operazione "comoda" e poco chiarificatrice, ma così non è.
Sia lo Psichiatra, sia lo Psicologo clinico effettuano diagnosi sulle stesse persone, per le stesse problematiche.
Capita spesso che lo Psicologo reputi opportuno anche un trattamento farmacologico, come succede che lo Psichiatra reputi opportuna una psicoterapia.

Detta in questo modo le due professionalità sembrano equivalersi, ma così non è.
Nonostante sempre maggiori branche della psichiatria moderna tendano a cercare di effettuare una diagnosi "più psicologica", e nonostante capiti diverse volte che lo Psicologo tenda a restringere le sue valutazioni solo sul quadro clinico, è innegabile che la storia e la formazione specifica delle due discipline produca differenze anche sostanziali.
Queste differenze storiche, ma anche formative, possono essere più o meno marcate a seconda del professionista.

Normalità e Patologia

La distinzione, piuttosto che la continuità, tra la salute e la malattia della psiche e del comportamento umano è stata all'origine di numerose e controverse "battaglie scientifiche".

In passato normalità e patologia erano considerate come due manifestazioni disgiunte per cui la presenza di una pregiudicava, escludendola in toto, quella dell'altra. Sulla base di tale concezione diversi autori hanno dedicato i loro sforzi nella ricerca del confine che separa le due condizioni tentando di identificare il principio e la fine dell'una e dell'altra.

All'inizio del '900 l'opera freudiana, con la nascita della psicoanalisi segnò il punto di svolta nel superamento dell'annosa dicotomia tra normalità, identificata con la salute psichica, e patologia, intesa come "malattia" mentale, che si era radicata nel modello scientifico dominante del momento, ovvero quello organicistico.

Freud infatti individuò la salute e la malattia come i due punti posti all'estremo di uno stesso continuum lungo il quale l'individuo si sposta nel corso della sua esistenza, procedendo verso una direzione o l'altra sulla spinta di più fattori tra loro combinati quali, la dotazione biologico-genetica, l'ambiente familiare ed educativo, e la cultura in cui l'individuo stesso è inserito.

L'interazione e il dinamismo tra questi fattori è ciò che determina e stabilisce la direzione dello spostamento lungo tale continuum.
Salute e malattia sono quindi da considerarsi due condizioni che si definiscono sulla base del loro carattere di relatività e non di assolutezza.

Nell'analisi volta all'individuazione del comportamento normale versus patologico risulta fondamentale esaminare il rapporto tra struttura di personalità (fattori individuali e genetici) e ambiente (fattori ambientali), al fine di rilevare come l'individuo reagisce e si rapporta ad eventi reali e per comprendere come tali eventi vengono percepiti e quali significati rappresentano per ciascun individuo.

Di fatti oggi vi è la tendenza ad identificare un individuo come "psichicamente sano o nella norma" quando, al di là di quelle che possano essere le sue problematiche profonde, sia comunque in grado di manifestare e preservare un buon adattamento all'ambiente, resistendo di fronte a conflitti particolarmente acuti, e sia capace anche di mantenere relazioni significative con gli altri, al di là delle importanti ed evidenti differenze che possano intercorrere tra loro.

La "patologia psichica" può invece definirsi come uno scompenso visibile a cui è giunto l'individuo che ha prodotto una alterazione significativa ed invalidante del suo adattamento.

Può considerarsi patologica, quindi, qualunque manifestazione o sintomatologia psichica che comporti:

  • un notevole disagio e marcata compromissione di una o più aree di funzionamento della persona (affettiva, cognitiva, comportamentale, lavorativa, relazionale, sociale);
  • aumento del rischio suicidario o comparsa di importanti manifestazioni autolesionistiche;
  • anomala e perdurante risposta ad un evento, da non confondersi con risposte transitorie, seppur acute, come ad esempio può essere una reazione depressiva, limitata nel tempo, ad un lutto o ad una separazione;
  • un progressivo e crescente invalidamento e limitazione della propria libertà personale, e di quella altrui.
Riferimenti Giuridici
  • Codice di Deontologia Medica; Legge 56/89 Ordinamento della Professione di Psicologo, Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
  • Legge 18 febbraio 1989, n. 56
Bibliografia
  • A.A.V.V., "PDM Psychodynamic Diagnostic Manual, Alliance of Psychoanalytic Associations", Silver Spring, MD, 2006, Lingiardi V., Del Corno F. (a cura di), "Manuale Diagnostico Psicodinamico", Rafaello Cortina Editore, Milano, 2008
  • Calvi E., Gulotta G., "Il codice deontologico degli psicologi", Giuffrè Editore, Milano, 1999
  • Caviglia G., Del Castello E., "La diagnosi in psicologia clinica", Franco Angeli, Milano, 2003
  • Codispoti O., Bastianoni P., "La diagnosi psicologica in età evolutiva", Carocci Editore, Roma, 2002
  • Dell'Erba G. Luigi, "Diagnosi Psicologica", Pensa Multimedia, Lecce, 2008
  • Grandi L.G., "La Psicodiagnosi", Cotina, Torino, 1995
  • Labella A., "Il processo diagnostico", SEU, Roma, 2004
  • Moderato P., Rovetto. F., "Psicologo verso la professione", McGraw - Hill, Milano, 2001
  • Mucciarelli G., Chattat R., Celani G., "Teoria e pratica dei test", Piccini, Padova, 2001
  • Musatti C., (a cura di), "Opere di Sigmund Freud" (raccolta monografica), Bollati Boringhieri, Torino, 1989
  • Ranieri F., "Psicologia", AlphaTest, Milano, 2002
Commenti: 3
1 alba alle ore 13:29 del 20/08/2012

Salve,

dove è possibile sottoporsi a un iter diagnostico?

quali sono le prassi da seguire qualora si volesse farlo?

grazie, un saluto

2 Redazione Centro HT alle ore 12:05 del 17/09/2012

Gentile Alba,

ringraziandola per aver inserito il suo commento,

in risposta allo stesso, le consigliamo di richiedere la consulenza
diagnostica direttamente a uno psicologo.

Su www.psicocitta.it può sicuramente trovare diversi professionisti
nella provincia/città in cui lei risiede o, se preferisce, può contattare direttamente
l'autrice dell'articolo qui: Scheda Dott.ssa Debora Guerra.

Redazione HT

3 Danea alle ore 17:50 del 29/07/2013

Gentile dott Vorrei sottoporre la seguente questione: mi è stato richiesto di valutare tramite wais -r ,il livello intellettivo di una ragazza di 19 anni che presenta gravi deficit visivi e ipoacusia! Mi domando in che potrò sottoporre la ragazza ad una prova quale la wais? Potrebbe consigli armi un altro tipo di reattivo? Esiste un "protocollo" in merito a caso simili? O è opportuno procedere con la wais? Distinti saluti

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