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Introduzione alla PsicodiagnosiL'articolo "Introduzione alla Psicodiagnosi" parla di:
Articolo: 'Introduzione alla Psicodiagnosi'A cura di: Debora Guerra
Cos'è la PsicodiagnosiPer comprendere la ragion d'essere e gli scopi della Psicodiagnosi possiamo partire da una breve disamina etimologica del termine stesso. Psicodiagnosi è infatti una parola composta da 2 termini quali:
Dunque la Psicodiagnosi è la disciplina volta alla conoscenza "dell'anima", ossia è l'attività tesa a valutare, descrivere e comprendere le caratteristiche più profonde dei vari aspetti che compongono e definiscono la personalità di un individuo allo scopo di pervenire ad una diagnosi (ossia conoscenza) attraverso il succedersi, ragionato e plausibile, della formulazione di ipotesi diagnostiche. È essenzialmente tesa a definire i comportamenti abituali del soggetto, ad individuare la presenza o meno di disturbi della sfera
affettiva (sintomi di disagio o psichiatrici) e cognitiva (memoria, linguaggio, pensiero, intelligenza, etc.).
I dati raccolti vanno poi sistematizzati, organizzati ed interpretati alla luce di un sistema diagnostico di riferimento che funga da ausilio nel riconoscimento e definizione di quanto raccolto dotandolo di senso. L'idea di partire dalla "spiegazione etimologica" del termine Psicodiagnosi, non è dettata dall'intenzione di mettere a frutto anni di studi classici (che comunque non ho compiuto) e di sfoderare le mie conoscenze (che sono comunque, e per fortuna, in costante via di acquisizione e definizione), l'intento, o per meglio dire il "desiderio" che sottostà a tale scelta è ben altro. Cari colleghi, partire dando enfasi al significato del termine è volto a farci comprendere che "fare Psicodiagnosi" non si limita
né si identifica, né tanto meno si esaurisce, nell'attribuire o riconoscere in una persona una certa patologia o disturbo
psichico. Pur con sfumature diverse a seconda dell'ambito in cui siamo chiamati a compiere un processo di valutazione psicodiagnostica, ci ritroveremo
"sempre" nella situazione di "conoscere l'anima" della persona che ci sta di fronte. Deve essere quindi chiaro che fare Psicodiagnosi non coincide con un esercizio diagnostico (inteso come ginnastica mentale) per noi
professionisti, che ci vede intenti a "cacciare e contare" gli elementi necessari per l'attribuzione di un nome a ciò che la persona
lamenta e presenta. Il Processo PsicodiagnosticoL'iter di raccolta dati che conduce alla formulazione di un'ipotesi diagnostica prende il nome di "processo diagnostico" ed è, ma soprattutto deve essere, costituito dalla presenza di 4 fondamentali atteggiamenti e attività metodologiche che si alternano e si concertano armoniosamente ossia:
L'attività di osservare e descrivere: quanto colto e visto è connessa ad una applicazione tecnica relativa all'impiego delle conoscenze specifiche che permettono di formulare una diagnosi. Lo spiegare: è una parte dell'intero processo diagnostico che è guidata dai fondamenti interpretativi del modello teorico di riferimento. Il restituire: è la parte conclusiva del processo diagnostico durante la quale il clinico condivide, nella misura e nella modalità più opportune per ciascuna persona, quanto emerso e compreso con la persona sottoposta a valutazione, o con l'inviante. Tale momento può poi tradursi, in ambito clinico ad esempio, in un progetto di terapia o consulenza attraverso l'invio ad altro professionista o con la presa in carico da parte dello stesso diagnosta. In questo caso nel momento della restituzione è necessario che venga attuata una cesura netta tra quello che è stato il processo diagnostico e quello che sarà il percorso successivo. Il cliente/paziente deve essere consapevole, così pure il diagnosta, che ciascun percorso ha una propria identità, una propria funzione e ragion d'essere. Le attività che compongono il processo psicodiagnostico sono interdipendenti in quanto la spiegazione/interpretazione
diviene utile laddove la comprensione consenta di riconoscere l'evoluzione dei vissuti e dei comportamenti della persona sottoposta a valutazione
ricavandone una visione quanto più completa possibile. Sulla base di quanto emerso da queste attività, considerato nel suo insieme, scaturisce e deriva la decisione "trattamentale" del clinico la quale deve essere ponderata, oltre che su quanto rilevato nel momento attuale, anche sulla possibile evoluzione dello stato in essere (prognosi) e le aspettative e gli obiettivi realistici della persona valutata. I Sistemi DiagnosticiI principali sistemi diagnostici sono 2 e tra loro si distinguono in base alla tipologia del paradigma scientifico di riferimento:
Accanto al più conosciuto DSM, recentemente (2006) è stato pubblicato un manuale diagnostico (PDM, Cortina Editore) che si
prefigge lo scopo di operare un'integrazione tra i 2 sistemi sopra descritti in un'ottica psicodinamica. L'intento alla base di questa fatica erculea è quello di poter fornire un sistema coerente e quanto più integrato che possa
rappresentare un valido ausilio al clinico tanto a fini diagnostici, quanto trattamentali, fornendo indicazioni anche rispetto al trattamento
più adeguato sulla base delle caratteristiche della persona e del disagio presentato/lamentato. Perché fare PsicodiagnosiIndipendentemente dal sistema diagnostico di riferimento la Psicodiagnosi e il processo diagnostico vengono impiegati, con obiettivi precisi determinati e definiti dall'ambito di applicazione (che vedremo nel dettaglio in seguito), allo scopo di individuare:
L'individuazione degli aspetti sopra riportati è estremamente utile al fine di:
Nel momento in cui siamo chiamati, in qualità di professionisti, ad effettuare una valutazione dello stato psicologico di una persona, pervenendo ad una diagnosi è importante procedere con cautela. Infatti la formulazione di una diagnosi è un momento fondamentale dell'intero processo clinico in quanto consente al
professionista di attribuire un nome a quanto manifestato e raccolto potendolo quindi identificare. Occorre sottolineare che spesso la diagnosi rappresenta una previsione che tende ad autoavverarsi. Il processo diagnostico, lo ribadisco (sulla scorta di quanto insegnatomi da professionisti navigati del settore), non deve coincidere né esaurirsi con l'inquadramento della persona all'interno di una casella nosografica. La diagnosi rappresenta un'ipotesi credibile la cui utilità risiede nella possibilità di ordinare i dati raccolti, ma non va in alcun modo considerata come una verità assoluta ed insindacabile. Se una diagnosi è corretta può rappresentare, al limite, la migliore delle ipotesi formulabili in un momento dato. Successivamente gli elementi suffraganti possono modificarsi e rendere quindi non più valida la diagnosi iniziale. Questo ci fa comprendere come la diagnosi debba essere costantemente rivista sulla base degli elementi rilevabili e rilevati in un momento storico preciso della vita del soggetto, la cui valutazione da parte del clinico deve procedere attraverso la formulazione di ipotesi diagnostiche, frutto di un ragionamento clinico critico che, di volta in volta sulla base degli elementi colti, miri ad una validazione/falsificazione e conseguente riformulazione delle stesse. Lo scopo della diagnosi è quello di facilitare la comprensione dei comportamenti e della personalità di un individuo con finalità diverse a seconda dell'ambito applicativo, come ad esempio:
Valutazione Psichiatrica e Valutazione PsicologicaSarebbe a questo punto mia intenzione, specificare la distinzione tra diagnosi psichiatrica e diagnosi psicologica al fine di delineare le rispettive caratteristiche e specificità, spesso confuse, che rendono tali diagnosi frutto di processi e professionalità distinte seppur possano essere congiunte. Vorrei potervi dare indicazioni specifiche in merito alle competenze diagnostiche di ciascuno, ma purtroppo ci addentriamo in un "campo" fitto di nebulosità e rilevare le specificità di ciascuna delle due professionalità non è così semplice, per quanto certamente ve ne siano. Posto che entrambe le figure possono fare diagnosi e questo è previsto dalle rispettive leggi e codici che regolamentano le professioni (Codice di Deontologia Medica; Legge 56/89 Ordinamento della Professione di Psicologo, Codice Deontologico degli Psicologi Italiani), negli stessi però non sono specificati altrettanto chiaramente gli strumenti di cui possono avvalersi per compiere il processo diagnostico. In particolare, per quanto riguarda noi colleghi psicologi, nella legge 18 febbraio 1989, n. 56, quella che sancisce l'istituzione della professione dello Psicologo, all'art. 1 troviamo la definizione della nostra professionalità che viene così sancita: "La professione di Psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito". In questo articolo viene dunque decretato che lo Psicologo è abilitato a fare diagnosi avvalendosi di "strumenti conoscitivi e di intervento" che però non sono definiti né in questa legge né nel Codice Deontologico della nostra professione. Nel corso della nostra formazione universitaria e post-universitaria, ci è stato insegnato che gli strumenti di cui dispone lo
Psicologo clinico sono diversi. Prendiamo ad esempio il colloquio, presentatoci come lo strumento di elezione dello Psicologo, tale strumento è in realtà impiegato da più professionalità certo con modalità di conduzione proprie di e per ciascuna di esse. È utilizzato ad esempio dal medico di base, dallo Psichiatra, dall'avvocato ma anche dal nostro parrucchiere quando cerca di capire quale taglio e/o colore vogliamo o potrebbe rispondere alle nostre esigenze. Naturalmente quest'ultima è una provocazione palese, che non vuol certo essere offensiva per noi psicologi o per altre professionalità, volevo solo rendere chiaro che la specificità non risiede nello strumento in sé ma nel modo di impiego dello stesso da parte del professionista. Vediamo infatti che Psicologo e Psichiatra possono trovarsi spesso ad effettuare diagnosi utilizzando medesimi strumenti, come ad esempio colloqui, test, interviste, ecc., senza che ciò comporti per nessuno dei due l'invasione del campo delle competenze dell'altro. Nella distinzione ortodossa, ma anche arcaica, delle modalità di valutazione diagnostica psichiatrica e psicologica, l'accento era posto sulla finalità delle stesse. La diagnosi psichiatrica era intesa come volta a rilevare il quadro sindromico di una persona allo scopo di curarne i sintomi attraverso la prescrizione di un farmaco deputato allo scopo. La diagnosi psicologica invece era intesa come finalizzata alla valutazione globale della persona, che partendo dal disagio/disturbo presentato, trascendeva lo stesso per considerare il ruolo di tale disturbo nell'economia della vita del soggetto, rilevare le risorse e potenzialità dello stesso, stili difensivi e relazionali, insomma tutti gli aspetti che orbitano nella vita di una persona costituendola, per valutare ed indicare quale trattamento fosse il più rispondente alle esigenze di cura della persona, quale tipo di terapia. In sostanza la diagnosi psichiatrica coincideva con la rilevazione della "patologia" per pervenire alla terapia farmacologia della stessa, la diagnosi psicologica era invece identificata con la "conoscenza globale" della persona e non solo della malattia da essa presentata. Venendo all'oggi, e alla sensibilità di ciascun professionista, questa distinzione così netta non è più
sostenibile. Per concludere, quindi, possiamo considerare che, senza sostenere cose lontane dal vero, la distinzione tra diagnosi psicologica e diagnosi
psichiatrica risiede nei diversi iter formativi delle due professionalità. Detta in questo modo le due professionalità sembrano equivalersi, ma così non è. Normalità e PatologiaLa distinzione, piuttosto che la continuità, tra la salute e la malattia della psiche e del comportamento umano è stata all'origine di numerose e controverse "battaglie scientifiche". In passato normalità e patologia erano considerate come due manifestazioni disgiunte per cui la presenza di una pregiudicava, escludendola in toto, quella dell'altra. Sulla base di tale concezione diversi autori hanno dedicato i loro sforzi nella ricerca del confine che separa le due condizioni tentando di identificare il principio e la fine dell'una e dell'altra. All'inizio del '900 l'opera freudiana, con la nascita della psicoanalisi segnò il punto di svolta nel superamento dell'annosa dicotomia tra normalità, identificata con la salute psichica, e patologia, intesa come "malattia" mentale, che si era radicata nel modello scientifico dominante del momento, ovvero quello organicistico. Freud infatti individuò la salute e la malattia come i due punti posti all'estremo di uno stesso continuum lungo il quale l'individuo si sposta nel corso della sua esistenza, procedendo verso una direzione o l'altra sulla spinta di più fattori tra loro combinati quali, la dotazione biologico-genetica, l'ambiente familiare ed educativo, e la cultura in cui l'individuo stesso è inserito. L'interazione e il dinamismo tra questi fattori è ciò che determina e stabilisce la direzione dello spostamento lungo tale
continuum. Nell'analisi volta all'individuazione del comportamento normale versus patologico risulta fondamentale esaminare il rapporto tra struttura di personalità (fattori individuali e genetici) e ambiente (fattori ambientali), al fine di rilevare come l'individuo reagisce e si rapporta ad eventi reali e per comprendere come tali eventi vengono percepiti e quali significati rappresentano per ciascun individuo. Di fatti oggi vi è la tendenza ad identificare un individuo come "psichicamente sano o nella norma" quando, al di là di quelle che possano essere le sue problematiche profonde, sia comunque in grado di manifestare e preservare un buon adattamento all'ambiente, resistendo di fronte a conflitti particolarmente acuti, e sia capace anche di mantenere relazioni significative con gli altri, al di là delle importanti ed evidenti differenze che possano intercorrere tra loro. La "patologia psichica" può invece definirsi come uno scompenso visibile a cui è giunto l'individuo che ha prodotto una alterazione significativa ed invalidante del suo adattamento. Può considerarsi patologica, quindi, qualunque manifestazione o sintomatologia psichica che comporti:
Riferimenti Giuridici
Bibliografia
Commenti: 31 alba alle ore 13:29 del 20/08/2012 Salve, dove è possibile sottoporsi a un iter diagnostico? quali sono le prassi da seguire qualora si volesse farlo? grazie, un saluto 2 Redazione Centro HT alle ore 12:05 del 17/09/2012 Gentile Alba, ringraziandola per aver inserito il suo commento, in risposta allo stesso, le consigliamo di richiedere la consulenza Su www.psicocitta.it può sicuramente trovare diversi professionisti Redazione HT 3 Danea alle ore 17:50 del 29/07/2013 Gentile dott Vorrei sottoporre la seguente questione: mi è stato richiesto di valutare tramite wais -r ,il livello intellettivo di una ragazza di 19 anni che presenta gravi deficit visivi e ipoacusia! Mi domando in che potrò sottoporre la ragazza ad una prova quale la wais? Potrebbe consigli armi un altro tipo di reattivo? Esiste un "protocollo" in merito a caso simili? O è opportuno procedere con la wais? Distinti saluti Cosa ne pensi? Lascia un commento
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