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Gestione migranti: una nuova accoglienza Accoglienza dei migranti e analogie con le riflessioni di Basaglia
L'articolo " Gestione migranti: una nuova accoglienza" parla di:
- Il fenomeno migratorio e l'accoglienza in Italia
Affinità con vecchio manicomio di Stato Come può uno psicologo far partire un progetto
Articolo: 'Gestione migranti: una nuova accoglienza Accoglienza dei migranti e analogie con le riflessioni di Basaglia'
A cura di: Roberta Riccato
Gestione migranti: una nuova accoglienza Accoglienza dei migranti e analogie con le riflessioni di Basaglia
UN PO' DI CONTI ECONOMICI
Il costo complessivo stimato per l'accoglienza nel 2018 è di circa cinque miliardi di euro. In questi soldi sono compresi i costi
per il salvataggio in mare, la gestione di tutti i diversi tipi di centri d'accoglienza, l'assistenza sanitaria, sociale e legale nonché
le attività d'integrazione e sviluppo rivolte ai richiedenti asilo. Lo Stato paga i gestori dell'accoglienza 35 euro a migrante.
Nel nuovo decreto immigrazione il costo potrebbe scendere di 10, 15 euro.
L'Europa contribuisce con ottanta milioni di euro e con la possibilità accordata all'Italia d'inserire i costi complessivi - cinque
miliardi - nella voce spese straordinarie del documento di programmazione economica finanziaria - DEF - che consente di sforare una serie di
voci di spesa imposte agli stati membri. Questo significa, però, che i cinque miliardi stanziati ogni anno per l'immigrazione non possono
essere spesi dall'Italia in altri ambiti oltre quello emergenziale indicato.
Nel 2017 due miliardi sono stati usati solo per coprire le spese dei CAS che sono, va ribadito, centri d'accoglienza straordinaria attivati
quando l'accoglienza ordinaria non riesce a gestire il numero di richiedenti asilo. L'accoglienza straordinaria pesa per il 40% sui costi
complessivi. Una gestione straordinaria continua e costante che si perpetua ormai da anni dovrebbe diventare ordinaria nell'organizzazione e
nei costi, con un abbattimento programmato delle spese.
La Corte dei Conti e la Banca d'Italia hanno portato l'attenzione sui bilanci generali della gestione dell'immigrazione, che risultano privi
di molti dati economici. Una contabilità non chiara e specificata può essere dovuta a un controllo di gestione inefficiente o a
condotte illecite adottate dagli enti gestori. Le indagini per mafia nella gestione dell'immigrazione possono partire proprio da conti che non
tornano.
IL NUOVO DECRETO IMMIGRAZIONE: COSA CAMBIA?
- Abrogazione parziale della protezione umanitaria con rilascio di permesso di soggiorno particolare esclusivamente a chi ha bisogno di
cure mediche o a chi proviene da paesi temporaneamente in stato di calamità naturale, estendibile agli stranieri che abbiano compiuto
atti di particolare valore civile.
- Estensione del periodo di trattenimento nei CPR (Centri di Oermanenza per il Rimpatrio) degli immigrati irregolari a 18 mesi.
- Ampliamento della tipologia di reati per cui è revocata o negata la protezione internazionale. Sono stati inseriti: violenza sessuale,
gestione di sostanze stupefacenti, rapina ed estorsione, furto, furto in appartamento, minaccia, violenza o resistenza a pubblico ufficiale.
- L'inserimento nella rete SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e 5ifugiati) sarà specifico per chi ha già ottenuto la
protezione internazionale e per i minori non accompagnati.
- Revoca della cittadinanza italiana agli stranieri che si siano macchiati di gravi atti di terrorismo o eversione e che, pertanto, sono
ritenuti una minaccia per la sicurezza nazionale.
- Blocco dell'anticipo erariale degli onorari e delle spese sostenute dagli avvocati che svolgono patrocinio gratuito, nei casi in cui
l'impugnazione sia dichiarata improcedibile o inammissibile.
- Saranno stanziati 3,5 miliardi per il fondo rimpatri istituito al Viminale.
LA VITA IN UN CENTRO D'ACCOGLIENZA: CARA/CAS
Il diritto all'accoglienza prevede che vengano forniti un alloggio consono alle esigenze umane, quindi riscaldato e condizionato, provvisto
di biancheria pulita e bagni nonché di tre pasti al giorno. Legittima ad usufruire della sanità pubblica e dà la
possibilità di avere a disposizione mensilmente schede telefoniche per chiamare i familiari e chiavette monetizzate per prendere generi
alimentari alle macchinette automatiche del centro d'accoglienza.
Ogni centro ha poi le sue specificità, a seconda delle caratteristiche della struttura ospitante, del numero di ospiti e dell'ente/società
che lo gestisce, in base alle proprie competenze. Può ospitare un numero variabile di ospiti che oscilla tra i 10 nei piccoli centri
fino agli 800 e anche oltre in quelli molto grandi. In questi casi le persone devono alloggiare in camerate con letti a castello il cui numero,
per esigenze legate all'arrivo massiccio di richiedenti asilo in determinati momenti dell'anno, può superare quello consentito ufficialmente
dalla struttura, costringendoli, così, a vivere a stretto contatto gli uni con gli altri, condividendo spazi e attrezzature calibrate
su un numero inferiore d'utenti. Il sovraffollamento comporta anche una difficoltà oggettiva a effettuare la sanificazione delle aree
in modo ottimale, a causa della presenza di molte persone e cose loro assegnate che occupano le aree da pulire.
Gli ospiti hanno la possibilità di entrare e uscire dal centro, indicativamente dalle 8 di mattina alle 20.00 di sera, ma questa
libertà è vincolata dalle ordinanze del prefetto locale in tal senso: vige, infatti, un coprifuoco serale.
C'è un controllo sanitario all'arrivo dell'ospite che prevede una visita generale per valutare lo stato di salute e rilevare eventuali
patologie specifiche.
Gli operatori hanno il compito di accompagnare gli ospiti nei diversi uffici pubblici per l'espletamento delle pratiche burocratiche, in
pronto soccorso, in ospedale o al centro d'igiene mentale per le visite richieste dal medico della struttura.
Il servizio mensa può essere gestito da una società di catering esterna vincitrice di gara d'appalto. I pasti, in questo caso,
sono consegnati agli operatori del centro, che poi li suddividono tra gli ospiti, nei locali adibiti e negli orari prefissati. Gli operatori
si occupano anche di consegnare il kit settimanale di biancheria da letto, di coperte d'inverno e di accessori per la barba.
Può essere operativo un servizio di lavanderia interno se il centro ha a disposizione spazi e attrezzature, altrimenti il servizio
è esternalizzato.
Ogni centro dovrebbe organizzare attività di formazione o intrattenimento per gli ospiti. I centri virtuosi che solitamente hanno
un numero limitato di richiedenti asilo da gestire li coinvolgono in percorsi educativi, professionalizzanti, sportivi, che mirano a una loro
integrazione sociale. Nei grandi centri, invece, è meno probabile che le persone siano inserite in progetti di sviluppo o integrazione e,
conseguentemente, non avendo nulla da fare per l'intero arco della giornata, girovagano senza meta per le vie della città o paese
dov'è ubicato il centro, per poi auto-organizzarsi in faccende proprie, non tracciabili e documentabili ufficialmente. È, infatti,
riscontrabile che, in alcuni casi, i richiedenti asilo, già durante la loro permanenza ai centri dove attendono lo status di rifugiato,
si dedichino ad attività illecite. Vagabondare senza controllo per 12 ore al giorno favorisce questo tipo di condotta e a nulla sembra
valere il timore di essere espulsi, se colti in flagrante.
La normativa vigente, infatti, in questi casi dispone la perdita del diritto all'accoglienza ma non la perdita immediata del diritto d'asilo,
la cui domanda continua il suo iter in commissione che solo successivamente terrà conto dell'accaduto, prima di formulare l'esito. Nel
frattempo i richiedenti asilo rei di un crimine sono a piede libero, sul territorio nazionale, con il solo obbligo di firma giornaliero, in
questura.
AFFINITÀ TRA VECCHIO E "NUOVO MANICOMIO" DI STATO
Basaglia, partendo dall'ospedale psichiatrico di Gorizia, iniziò la sua campagna per ridare dignità al malato mentale facendolo
riappropriare dei suoi diritti, che per noi sono elementi talmente scontati della vita da essere considerati privi di un significato particolare
ma che, per chi ne è stato privato, rappresentano il confine tra la vita e la morte interiore e sociale.
Vengono eliminate le misure di contenimento (gabbie, camicie di forza, corde per legare i pazienti agli alberi), sono assegnati ai pazienti
specchi per guardarsi in viso e comodini per tenere i propri oggetti personali, che vengono loro restituiti. L'obiettivo è farli riavvicinare
alla propria identità di persone, che gli è stata brutalmente tolta nel momento dell'etichettatura come matti e del conseguente
internamento. Prima di Basaglia si voleva nascondere i malati, non curarne la patologia. A lui va il merito di aver restituito il diritto di
essere persone inserite nel contesto sociale.
Credo che si possano ipotizzare delle "affinità elettive" tra malati mentali e richiedenti asilo che possono, dopo una lunga permanenza
nei grandi centri, ammalarsi della malattia istituzionale studiata e approfondita da Basaglia e che ha scardinato il manicomio dalle sue fondamenta.
Ad esempio, non so quanto spazio ci sia in un centro sovraffollato per mobili e suppellettili personali; ipotizzo, poi, che gli specchi non siano
consentiti per ragioni di sicurezza.
Essere etichettati come immigrati, richiedenti asilo, ospiti, può suonare meglio - in apparenza - dell'essere considerati matti, ma
presuppone comunque un'esclusione sociale dal sistema ospitante: noi caritatevoli ospitiamo voi bisognosi.
Il senso d'identità personale, se non è annullato, è fortemente compromesso dalla guerra subita, prima, e dalle condizioni
di vita al centro, poi. Essere richiedenti asilo significa essere figli di nessuno: la propria patria è alle spalle, quella nuova forse
solo un miraggio.
Modificherò il testo "Basaglia: 50 anni di lotte e successi" nella parte in cui l'autrice descrive la malattia istituzionale,
sostituendo le parole "malato di mente" con "richiedente asilo" o "immigrato", il "manicomio" con "centro d'accoglienza" e la "malattia mentale"
con condizioni di vita", per vedere se il discorso fluisce ancora come nell'originale e dà vita a un ragionamento realistico. I tempi dei
verbi sono trasformati da passato a presente perché stiamo parlando di un fenomeno contemporaneo. Ogni cambiamento del testo originale
sarà scritto in corsivo, per evidenziarne la modifica.
La malattia istituzionale si associa alle condizioni di vita iniziali e ne aggrava i sintomi impedendo, di fatto, un miglioramento
delle condizioni di vita stesse dei richiedenti asilo. La malattia istituzionale era ed è causata dalla lunga permanenza
e dalle condizioni in cui le persone vivono all'interno di un centro d'accoglienza.
L'istituzione che avrebbe dovuto migliorare le condizioni di vita, peggiora la situazione del richiedente asilo privandolo
totalmente delle proprie abitudini, della sua libertà e individualità, portandolo a un completo decadimento delle abilità
sociali e relazionali.
(Omissis)
La malattia istituzionale è connotata da un processo di depersonalizzazione progressiva del richiedente asilo che,
una volta entrato in un centro d'accoglienza, è trattato come un organismo difettoso che deve essere riportato all'interno di
parametri di vita accettabili dalla società, in modo che non arrechi disturbo alla comunità produttiva.
Il regime istituzionale rigido e controllato non prevede momenti pianificati di ascolto e discussione preventivi con i
richiedenti asilo (omissis).
In effetti, prima di poter inserire un richiedente asilo all'interno di un programma d'integrazione sociale, devono essere attraversate
altre fasi evolutive del rapporto istituzione-immigrato che costano fatica emotiva e cognitiva agli operatori.
È infatti necessario trovare un canale comunicativo efficace che consenta di stabilire una relazione di fiducia con gli ospiti.
Costruire la propria affidabilità è, infatti, un processo lungo, caratterizzato da gesti quotidiani semplici ma coerenti con le
parole espresse.
(Omissis) È impensabile che un direttore di un centro e il suo staff dedichino tempo ai richiedenti asilo per svolgere
quotidianamente attività rieducativa con loro o per abbozzare un dialogo conoscitivo e costruttivo perché, nella mentalità
imperante (omissis), sarebbe inutile e pericoloso per gli operatori.
Da qui il divario incolmabile tra immigrati, frutto dell'esclusione sociale e operatori (omissis) che con le prassi consolidate
alimentano ulteriormente il senso d'alienazione ed emarginazione degli ospiti.
(Omissis) Non esistono protocolli standardizzati generalmente efficaci nella gestione delle diverse tipologie di
richiedenti asilo.
Per quanto precise siano le informazioni nel riconoscimento delle storie e nella loro integrazione in una condizione di
vita codificata, ciò che conta e fa la differenza è la disponibilità dell'operatore a mettersi in gioco con l'ospite,
dedicando continuamente tempo al dialogo sincero.
È solo con la forza e la coerenza delle proprie parole che l'operatore può aprirsi un varco nel complesso mondo
interiore dell'ospite che, sentendosi ascoltato senza preconcetti o giudizi da un altro essere umano, vorrà approfondire il
rapporto, intravedendo la possibilità di uscire dalla sua condizione di sofferenza, grazie all'aiuto di quella persona che, per
la prima volta, ha cercato con lui un dialogo basato sul rispetto e la fiducia.
Credo che quanto sopra espresso possa essere descrittivo anche delle condizioni in cui molti richiedenti asilo vivono, durante la loro
permanenza in un centro d'accoglienza. Questa è una mia interpretazione delle informazioni che ex ospiti dei centri mi hanno riferito,
con assoluta spontaneità e sincerità, al di fuori di ogni setting terapeutico, semplicemente per condividere, con qualcuno le
esperienze che hanno vissuto in patria, in viaggio e al centro.
Le riassumerò in un elenco suddiviso per categorie, che sicuramente non sarà esaustivo delle molteplici evenienze che si
possono manifestare - perché ho avuto modo di dialogare con un numero limitato di ex ospiti che hanno poi ottenuto lo status di
rifugiato - ma che, tuttavia, fornisce delle indicazioni chiare sul percorso d'approfondimento da seguire per conoscere le dinamiche di
vita di un centro, migliorandole laddove si possa intervenire.
I ragazzi con cui ho parlato hanno avuto esperienza di centri grandi, medi e piccoli. Hanno parlato del loro vissuto personale e di
quello che hanno visto succedere ai loro fratelli e compagni di viaggio. Si sono espressi anche sulle relazioni instaurate con il personale
e su come venivano trattati.
Traumi di guerra
Percosse, angherie, stupri, uccisioni dei familiari con il gas, con bombe. Fame e sete. Sequestri e poi rilasci.
Problemi fisici
Menomazioni da percosse, scabbia, otiti, influenze, dissenteria, infestazioni da pulci o altri insetti.
Problemi psichici (insorti successivamente a un periodo prolungato di permanenza)
Insonnia, psicosi, ubriachezza molesta, aggressività, comportamenti pericolosi per sé e gli altri, sproloqui, picacismo, ansia,
depressione. Le cure psichiatriche sono solo su base farmacologica, ma danno comunque risultati soddisfacenti.
Fattori difficili da affrontare
Perdita delle proprie radici, traumi infantili, di viaggio, incertezza sul futuro e sui propri diritti, carenza di oggetti e spazi propri
(vestiti, scarpe, borse, mobili).
Il personale non formato per l'incarico non comprende i bisogni degli ospiti e tende a ignorarli o a trattarli in modo sgarbato. Purtroppo,
in certi casi questo comportamento è messo in atto dagli stessi mediatori, che spesso sono ex richiedenti asilo assunti e possono avere
la stessa origine degli ospiti attuali. In certi casi, sembrano non essere coinvolti in una relazione d'aiuto sincera e proficua nei confronti
dei loro connazionali. Che sia una forma di difesa psicologica o meno, certo è che non trovare solidarietà, nemmeno dai propri
connazionali, aggrava un senso di malessere diffuso già di per sé consistente.
Non funzionamento degli impianti di riscaldamento d'inverno e di condizionamento d'estate. Servizi igienici da ristrutturare. Sovraffollamento.
Lunghi tempi di permanenza. Senso d'inutilità estrema per l'impossibilità di essere inseriti in qualsivoglia attività:
"Non avevamo niente da fare tutto il giorno anche per un anno e mezzo".
Quantità limitata di cibo, di qualità scadente che risulta, inoltre, non calibrato sulle abitudini alimentari degli ospiti -
ad esempio, si mangia pasta e non riso, ogni giorno - impossibilità a comperare e consumare cibo proprio anche se confezionato, compreso
il tè.
Tutti questi elementi sembrano caratterizzare la vita dei centri di grosse dimensioni. La mia, però, può essere solo un'ipotesi
interpretativa di pochi racconti e andrebbe verificata sul campo con una ricerca-azione governativa, per monitorare effettivamente se le dimensioni
del centro determinano una modifica significativa delle condizioni di vita degli ospiti. Vanno comunque ricordate le ricerche statunitensi che,
già negli anni sessanta, evidenziavano che la buona quantità e qualità del cibo fornito ai detenuti delle carceri è
un fattore che ne riduce l'aggressività e ne migliora l'umore.
C'è stato chi, dopo un periodo in un centro di grandi dimensioni nel quale, a detta sua, stava impazzendo, è stato trasferito
in una casa alloggio, dov'è rinato, semplicemente perché aveva a disposizione una cucina dove prepararsi il tè. Per molti
richiedenti asilo, infatti, bere il tè è una specie di rituale molto importante nella vita quotidiana, che mantiene vivo il legame
con la propria terra. Non poterlo preparare liberamente perché mancano le strutture per farlo - basterebbero dei bollitori attaccati
a una presa di corrente e una stanza adibita allo scopo - crea un ulteriore stress psichico a una persona che è già provata
emotivamente, mentalmente e fisicamente da ciò che ha vissuto in precedenza.
Noi italiani dovremmo capire bene questa situazione: pensiamo, infatti, se ci impedissero di bere il caffè ogni giorno, tutte le
volte che lo desideriamo. Quale sarebbe la nostra reazione se il problema non si risolvesse in tempi rapidi? Ansia, depressione, rabbia? Ma
è solo un caffè, che sarà mai? Un caffè/tè puì fare la differenza per chi non ha altro e anche per
chi ha tutto. Gli italiani all'estero non importano dall'Italia tutti i generi alimentari possibili perché la "roba" italiana è
più buona? Si mantiene sempre un legame nostalgico, romantico e tragico con la terra in cui si è nati e che si è dovuto
abbandonare, ogni elemento che la ricorda ha un valore affettivo e di conforto per ciascun individuo.
STORIA A LIETO FINEMi sembra incoraggiante, dopo un'elencazione delle problematiche, evidenziare anche un'esperienza molto positiva avuta da un richiedente
asilo afgano, coronata dall'apertura di una florida catena di ristoranti etnici in una grande città d'arte italiana.
Dopo un periodo in un centro d'accoglienza strutturato con piccoli bungalow di legno, immersi nel verde, dove aveva la possibilità
d'invitare amici a mangiare, ha partecipato a diversi corsi su argomenti di suo interesse e ha usufruito di finanziamenti europei per richiedenti
asilo dedicati all'apertura di attività imprenditoriali. Ha iniziato con un ristorante etnico, per asporto, con cucina tipica della
sua terra. Poi ha coinvolto altri connazionali con cui ha aperto, nella stessa città, altri otto ristoranti, entrando in società
con loro. Un caso da studiare e proporre come best practice.
Tra le attività organizzate nei centri degne ugualmente di un'attestazione di merito, di cui sono a conoscenza, segnalo:
- psicologi che dopo un'esperienza in un centro ne hanno aperto uno di piccole dimensioni, gestito da loro;
- formazione dei mediatori con percorsi di counseling;
- corsi d'italiano e di educazione civica per richiedenti asilo;
- scuole serali;
- stage con successivi inserimenti lavorativi;
- volontariato non retribuito in lavori socialmente utili (pulizia aree pubbliche, giardinaggio, manutenzione, tinteggiatura);
- percorsi professionalizzanti in sartoria, orticoltura e apicoltura;
- corsi di pittura, ceramica;
- mostre fotografiche e di lavori creativi degli ospiti;
- festa dei popoli con musica e cucina tipiche dei paesi d'origine;
- pubblicazione di libri di favole o ricette tipiche delle zone d'appartenenza;
- partecipazione a tornei di calcio;
- predisposizione di uno spazio per la preghiera comune;
- disponibilità di un luogo adibito alla preparazione del tè.
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