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Stato di confusione e blocco delle scelte: come aiutare questi pazienti?
L'articolo " Stato di confusione e blocco delle scelte: come aiutare questi pazienti?", parla di:
- Bisogno di appartenenza e individuazione
I protettori del sé Conoscere le parti di sé
Stato di confusione e blocco delle scelte: come aiutare questi pazienti?
- Stato di confusione e blocco delle scelte: come aiutare questi pazienti?
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I protettori del sé
La nostra personalità mette radici quando siamo molto piccoli; poi cresce, si evolve, ma le fondamenta inizia a gettarle molto presto.
Quando siamo piccoli abbiamo un bisogno istintivo che regola i nostri comportamenti: il bisogno di appartenenza.
Si tratta di un bisogno molto importante perché è quello che ci fa scegliere inconsapevolmente come vogliamo essere.
Facciamo alcuni esempi: se facciamo parte di una famiglia in cui c'è molto senso del dovere, un bambino è probabile che apprenda
il valore del dovere; questo sia perché vede i genitori agire in quella direzione, sia perché quando non segue quel valore,
viene, ad esempio, ripreso e sgridato. Se invece in famiglia prevale la regola del sacrificio, è possibile che si orienti il
comportamento in quella direzione, sia perché si osserva i genitori fare quello, sia perché, se non lo fa, può essere
etichettato o guardato come superficiale ed egoista.
Anche la scuola o l'asilo possono orientare le nostre azioni in funzione del senso di appartenenza: se un bambino mi sta antipatico ma riceve
approvazione dagli adulti e dai compagni, è possibile che scelga di essergli amico per non essere isolato. Se non mi piacciono certi
cartoni animati, è possibile che scelga comunque di guardarli per far parte del gruppetto dei bambini che parla di quel cartone.
Tuttavia, le regole di appartenenza si imparano per lo più in famiglia.
Il senso di appartenenza è vitale negli umani, specie nei bambini, perché appartenere vuol dire sopravvivere. Infatti, la
disapprovazione di un genitore viene letta come un suo possibile allontanamento, con tutte le paure che possono scattare nella mente di un
bambino in seguito a questa possibilità. I bambini, quindi, sono disposti a tutto pur di appartenere. Se constato che i miei genitori
si arrabbiano o si innervosiscono quando piango, imparerò presto a fare ciò che più o meno direttamente mi chiedono: non
dare fastidio e diventare autonomo il prima possibile. Se rilevo che quando chiedo supporto nella vulnerabilità il genitore non mi
accoglie o addirittura mi allontana, è possibile che imparerò presto a mettermi una "corazza" per non dare fastidio e cavarmela
da solo nei momenti tristi.
Il bisogno di appartenenza ci porta, quindi, a fare distinzioni di massima in base a ciò che sentiamo funzionale o meno nella nostra
famiglia: questo sì e questo no. Queste sono le fondamenta della nostra personalità.
Tuttavia, i nostri bisogni non smettono di esistere; quelle parti di noi che abbiamo messo via perché ritenute poco accettabili non
scompaiono (fortunatamente!). Quando mi sentirò vulnerabile, ci sarà probabilmente una parte di me che sente il bisogno di
protezione; quando adempio egregiamente ai miei doveri, ci potrà essere una parte di me che non ha più voglia di lavorare e
manderebbe tutto all'aria per riposarsi due giorni; quando sono educato, allegro e solare, è possibile che ci sia anche una parte di
me che vorrebbe far sparire tutti. Quelle parti di noi che hanno imparato in famiglia ciò che è bene e ciò che è
male, però, si impegnano per scacciare quelle altre parti che agirebbero in modo completamente diverso. Lo fanno per il nostro bene,
in realtà, perché hanno imparato che uscire dagli schemi delle richieste familiari può costare molto caro. Per tale
motivo, queste parti si chiamano Protettori del sé, perché a loro modo ci tutelano dalla critica e dall'esclusione.
Rinnegare le parti di noi meno accettabili è automatico (abbiamo imparato presto a farlo), ma richiede uno sforzo energetico che
può causare tensione, infelicità, ansia, frustrazione, paura e molta rabbia.
Appartenenza e individuazione
Man mano che le persone crescono, il senso di appartenenza lascia spazio a un altro bisogno: quello di individuazione. Mentre nell'appartenenza
mi riconosco come parte di un gruppo, l'individuazione è ciò che mi dice cosa mi rende una persona diversa dagli altri. I
genitori degli adolescenti sanno bene cosa accade quando fa capolino il bisogno di individuazione!
Se, ad esempio, vengo da una famiglia di imprenditori della ristorazione, è possibile che nel tempo l'individuazione mi porti a dire
che voglio essere qualcosa di diverso, ad esempio un geometra. Però, può essere davvero molto faticoso, perché il senso
di appartenenza spinge in direzione opposta. Quante persone vi è capitato di incontrare in studio o tra i vostri amici in confusione
perché non sapevano che strada prendere condizionati dai valori familiari? Quante persone in crisi perché non avevano intenzione
di sposarsi, ma questa scelta avrebbe avuto ripercussioni sul clima familiare?
Quando i nostri pazienti arrivano da noi dicendo di sentirsi confusi, tristi, arrabbiati o bloccati nelle scelte probabilmente stanno facendo i
conti proprio con questo: il dilemma della scelta tra i propri bisogni e le regole interiorizzate che stanno investendo energie per rinnegare.
Per riuscire a stare bene c'è, quindi, bisogno di trovare un equilibrio tra il nostro bisogno di appartenenza e individuazione. Detto
diversamente, immagina che ogni persona sia fatta da tanti personaggi: quello con il senso del dovere, quello perfezionista, quello leggero,
quello spensierato, quello triste, quello che si sacrifica, ecc.
Per poter aiutare i nostri pazienti a uscire dalla confusione, è importante aiutarli a fare ordine fra le diverse parti di sé,
in modo che possano scegliere quale ascoltare nelle diverse situazioni.
Conoscere le parti senza giudizio
Quando una persona arriva da noi in confusione o in ansia o in uno stato di blocco delle scelte, probabilmente lascerà trasparire una
certa irritazione che si manifesta con frasi del tipo: "mi sto sulle scatole perché non sono capace di fare una scelta"; "mi sento
stupido ad essere sempre bloccato qui".
La prima cosa importante è ricordarci che quelle parti che le persone dicono di detestare, o comunque non vorrebbero sentire,
probabilmente sono protettori del sé. Si tratta di parti che per un periodo di vita hanno avuto una funzione di adattamento tutelando
il bisogno di appartenenza, ma ora probabilmente vanno strette alla persona che ha bisogno anche di qualcos'altro connesso più al
bisogno di individuazione.
Evitiamo di colludere con la persona pianificando una crociata contro quelle parti. Ma davvero pensate che si possano estirpare così
facilmente parti di sé che hanno funzione di adattamento? Proviamo con una strategia diversa dalla battaglia: ascoltiamole.
Il nostro obiettivo è quello di aiutare la persona a fare ordine fra le diverse parti, in modo da capire cosa stanno dicendo e da cosa
stanno proteggendo, per poi mettere a fuoco ciò che è utile per il presente e ciò che è solo un condizionamento
passato.
Quella parte che vorrebbe accettare quel lavoro a Londra di cosa ha bisogno? Come si sentirebbe a Londra? In cosa si sentirebbe soddisfatta?
La parte che invece è resistente all'idea di andare a Londra di cosa ha paura? In quale momento della vita la persona ha sentito quella
paura per la prima volta? Cosa è successo? Che differenza c'è fra la persona che era allora (in termini di risorse) e la persona
che è adesso?
Facilitare le persone a comprendere che le parti di sé, per quanto la mandino in confusione, sono tutte dalla sua parte e che a loro
modo cercano di proteggerla, abbassa già molto la tensione. Questo perché quelle resistenze e quelle paure non sono più
viste come delle debolezze, ma come dei messaggi che si può scegliere di ascoltare o meno.
Una parte che compare quasi sempre in seduta è il critico interiore, quello che dice cose tipo: "sei debole", "non vali", "non vai
bene", ecc. Voi giustamente vi starete chiedendo quale sia il valore protettivo di una parte che dice queste cose! In realtà si lega
sempre al bisogno di appartenenza. Se le mie figure di riferimento, di solito i genitori, mi dicono che sono debole o che non vado bene
così come sono, non posso fare altro che crederci quando sono un bambino. Ho bisogno di credere agli adulti e di pensarla come loro
per essere certo di averli dalla mia parte. Così impariamo a crederci anche noi, ma questo è il risultato di un condizionamento.
Il nostro lavoro deve essere anche quello di aiutare la persona a capire quando, come e perché ha iniziato a dirsi che non valeva o
che era una persona fallita. Rendere esplicito l'automatismo può fare moltissimo la differenza, perché aiuta la persona a vedere
che ciò che percepisce non è la realtà oggettiva ma un suo automatismo, un condizionamento.
Come iniziare a conoscere le parti di sé
Come prima cosa aiutiamo le persone a mettere a fuoco cosa stiano dicendo le diverse parti di sé nella confusione in termini di bisogni
che vorrebbero soddisfare e di bisogni insoddisfatti. Facciamolo esplorando una parte per volta, e quando c'è la tendenza della persona
a spostarsi su un'altra, riportiamola alla parte che stiamo esplorando. Esempio:
A: "Vorrei davvero andare a Londra perché avrei bisogno di realizzarmi, di vivere in una realtà cosmopolita e piena
di stimoli, ma ho paura che non sarò in grado."
B: "Restiamo per ora sulla parte di sé che a Londra ci vuole andare; dopo lasciamo spazio anche a quella che ha paura di non
farcela."
Chiediamo in quali situazioni si attiva quell'idea di noi, ad esempio quella di non farcela.
Chiediamo quando la persona abbia imparato quella cosa di sé e come l'abbia condizionata nella vita quel pensiero.
Aiutiamo la persona a mettere a fuoco le differenze fra le condizioni e le reazioni passate e quelle presenti. Ad esempio, quando ero un
bambino e mi veniva detto o fatto capire che non ero in grado di fare nulla se qualcuno non avesse deciso per me, probabilmente non avrei
avuto modo di reagire o difendermi. Adesso, quali risorse ho a disposizione che potrebbero farmi reagire in modo diverso rispetto a quando
ero un bambino?
Far vedere le differenze aiuta a smontare gli automatismi, permettendo alle persone di prendere consapevolezza che le proprie azioni sono
spesso la conseguenza del modo che hanno di vedere se stesse e non di quelle che sono le loro reali potenzialità.
Come professionisti abbiamo il dovere di guardare con grande rispetto ai protettori del sé, per quanto possano dire cose brutte. Sono
state le forme di adattamento migliori che la persona è riuscita a trovare con gli strumenti che aveva. Chi siamo noi per giudicarli?
Ora, per fortuna, ci sono altre parti di sé che sentono il bisogno di uscire e noi possiamo essere lì per accoglierle tutte,
ascoltarle e aiutare la persona a fare ordine.
Concludo con una frase bellissima che mi ha detto una paziente successivamente a una seduta di lavoro sulla sua parte critica e che ancora mi
commuove: "Quando ho sentito che la parte critica iniziava a parlare, ho fatto due infusi, uno per me e uno per lei. Abbiamo parlato e ho
ascoltato cosa aveva da dirmi. L'ho ascoltata, l'ho ringraziata per essere sempre con me a proteggermi e ho scelto quale suo consiglio seguire
e quale no. Ci siamo sentite entrambe più leggere".
Bibliografia
- Hall e Sidra Stone. Il dialogo delle voci. Conoscere ed integrare i nostri sé nascosti (1996). Torino: Edizioni Amrita
- Onno Van Der Hart, Ellert R. S. Nijenhuis (Autore), Kathy Steele (2010). Fantasmi del sé. Trauma e trattamento della
dissociazione strutturale. Milano: Raffaello Cortina editore.
Altre letture su HT
- Rebecca Farsi, "Il falso sé nel setting
psicoanalitico", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 175, 2021
- Giulia Tortorelli, "La personalità e i suoi
molteplici Sé: la Psicologia dei Sé. Una visione delle dinamiche (inter)personali", articolo pubblicato su HumanTrainer.com,
Psico-Pratika nr. 90, 2012
- Monica Vivona, "Attaccamento e configurazione
del Sé", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 32, 2008
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