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I "Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabeL'articolo "I "Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabe" parla di:
Articolo: 'I "Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabe'A cura di: Rebecca Farsi
Le molteplici funzioni della fiabaUna delle caratteristiche salienti della fiaba è la sua capacità di simbolizzare la realtà attraverso la sapiente commistione tra una dimensione oggettiva e una fantastica, che le appartengono entrambe. Non sarebbe, infatti, corretto definirla come il mero prodotto di un'elaborazione immaginativa: il suo riferimento alla realtà, per quanto latente, è sempre percepibile al di là delle numerose simbologie che la caratterizzano, e contribuisce alla formazione di una struttura in cui proprio gli elementi fantasmatici diventano lo strumento rielaborativo di una dimensione realistica sottesa. La fiaba è indubbiamente legata ad una capacità trasformativa, pur fondendosi ad un intreccio stereotipato che si
ripete, nel modello narrativo e nel contenuto; al contempo la sua dimensione contestuale è collocata in un'ambientazione archetipica,
colma di stimoli non saturi, in cui chiunque può riconoscersi. Non esiste in essa un personaggio o un luogo che non sia foriero di un
significato simbolico trascendente. E al contempo non v'è nulla, nella sua trama, che richiami esplicitamente un contesto specifico,
nulla che faccia riferimento a coordinate spazio-temporali ben precise e per questo delimitanti. Nella sua rappresentazione della realtà fantastica e reversibile, la fiaba rappresenta, inoltre, un contesto in cui nulla è
definitivo, grazie al potere trasformante della magia che, se può esprimersi come un incantesimo malefico, in grado di provocare
conseguenze mortifere e distruttive, è ugualmente capace di tramutarsi d'improvviso in un incantesimo buono che cancella tutto il male.
È proprio questa reversibilità a renderla rassicurante, e per certi aspetti salvifica, in quanto le conferisce il potere
di esplorare dimensioni della realtà potenzialmente minacciose. L'intensa capacità proiettiva della fiaba comporta, inoltre, l'annullamento dei mezzi di difesa, la sperimentazione di un significativo carico pulsionale e la riattivazione del processo primario. È l'Es a mostrarsi dominante rispetto ad una dimensione egoica che allenta temporaneamente il controllo e consente l'esternalizzazione di pulsioni represse, fantasie, memorie arcaiche e preverbali, sottraendone il contenuto ad una dimensione di non coscienza. La fiaba è, infine, una simulazione dell'avventura della vita, la cui caratteristica immaginativa consente di raggiungere dimensioni espressive enfatizzate, risolute, talvolta estremizzate, che nella dimensione reale verrebbero impedite dalla censura egoica. Da qui la sua funzione indubbiamente terapeutica, che consente l'elicitazione, l'espressione e infine la rielaborazione di una realtà interiore non verbalizzata. Il femminile nella fiaba come rappresentazione simbolica della madreIl legame instaurato con la madre mostra una matrice universalmente vitale, generativa, significante. È anche il legame più
arcaico, il primo e il primigenio, in grado di fornire una direzione agli altri rapporti affettivi che lo seguiranno. Ma in esso si nasconde
una natura inevitabilmente conflittuale, in cui pulsioni contrapposte vengono reciprocamente ad incontrarsi, spesso a scontrarsi, in una
modalità più o meno integrativa. La dimensione femminile presenta caratteristiche indubbiamente polarizzate, in quanto contemporaneamente legate alla vita e alla morte,
alla nascita e alla distruzione. Esiste, dunque, una madre buona e una madre cattiva, una generosa e una castrante, una premurosa e una
abbandonica, così come esistono la paura del distacco materno e la voglia dell'esplorazione, l'attrazione motivante verso la dipendenza
e la percezione minacciosa della separazione come perdita definitiva: ed è proprio questo inconciliabile dualismo che spinge alla
ricerca della madre, così come alla difesa dalla stessa e dal suo potere persecutorio. La matrignaÈ la nuova moglie del padre, la straniera che ha preso il posto della vera madre, pur essendo incapace di donare il suo stesso
amore, generoso incondizionato; al contrario il suo ruolo è legato a vissuti di minaccia e sofferenza crescente per la protagonista.
Le discrepanze tra le madre vera e la matrigna sono evidenti: laddove la prima nutre e protegge, la seconda limita, opprime, punisce, ostacola
l'eroina in ogni sua velleità di realizzazione; è una matrigna perché cattiva e deprivante, mancante negli atteggiamenti
affettivi e direzionanti che contraddistinguono una madre: non c'è empatia in lei, né rispondenza ai bisogni della figliastra,
ma solo velleità di limitarla e di annichilirne la soggettività, a vantaggio dei propri interessi. La sorellastraSi tratta della figlia della matrigna, di cui ricalca la malvagità, la medesima voglia di insediarsi nella vita della protagonista
e di privarla di ciò che le appartiene, a partire dall'affetto paterno. E tuttavia notiamo delle differenze nella cattiveria delle
due: più astuta e crudele quella della matrigna, più invidiosa, infantile e per certi versi inconcludente quella della
sorellastra, che si lascia guidare dalla volontà della madre in un rapporto di totale sottomissione. Dal punto di vista simbolico, la sorellastra rappresenta un alter ego negativo, l'espressione di una passività invidiosa e
involutiva che paralizza la crescita, la scoperta del Sé. La sorellastra incarna l'invidia e la gelosia proiettiva, e per questo
destinata a rimanere ostaggio di una immobilità evolutiva, manipolata da un materno fagocitante e intransigente. La strega malvagiaIl simbolico femminile più distruttivo è quello della strega, la temibile nemica non solo del protagonista, ma del mondo
intero. Potremmo definirla l'incarnazione del maligno, il male totalizzante e assoluto, in cui non c'è neppure una parvenza di
bontà, intesa come attaccamento ad Eros e dunque alla vita. Alcune volte l'operato della strega è ben identificabile: ella si mostra chiaramente in tutta la sua malvagità e il
protagonista può fronteggiarla a viso aperto. Dunque, la relazione con la madre strega è circolare, chiusa in un cerchio abortigeno che impedisce il rinnovamento e la continuità. Un legame destinato a morire in se stesso, perché sottratto alla progressione che apre la prospettiva al nuovo, all'accesso di altri elementi vitali nel sistema diadico. È questa ricorsività del cerchio materno, cieca e distruttiva, a togliere al bambino-eroe ogni possibilità di sviluppo. Il femminile buono: la vecchietta e la fataLe fiabe ospitano anche la presenza di un femminile rassicurante e devoto, la cui presenza è fondamentale per il raggiungimento del lieto fine, inteso come liberazione dal maleficio che immobilizza e uccide. Sono le sfumature della madre buona, proiettate nell'istanza simbolica di personaggi buoni, perché preziosi e fedeli alleati del protagonista, durante le mille peripezie (maturative) che deve attraversare. Prendiamo l'esempio della vecchietta: l'antitesi assoluta della strega, evocativa della figura di una nonna buona, paziente, saggia
perché esperta e intimamente legata ad una volontà di aiuto autentica e leale. Ancora più potente e idealizzata è la figura della fata, in cui i poteri della madre buona vengono enfatizzati e resi
invincibili. Ella compare nei momenti di impasse estrema, di blocco e impossibilità dell'azione, e come una madre buona aiuta a superare
le difficoltà, dà direttive, si oppone al poter della strega. La sua è un'opera liberatoria nel senso più ampio
del termine: la fata libera dal maleficio perché come lei è magica, e con il suo potere è in grado di sopraffare la
malvagità della magia nera; scioglie l'eroe dalla prigionia aprendo magicamente la cella, opera trasformazioni evolutive rendendo di
nuovo principe un ranocchio, risveglia da sogni mortiferi, guarisce ferite, dona vie d'uscita quando non ne esistono, e talvolta si spinge
oltre, consentendo di tornare indietro nello spazio e nel tempo per rimediare gli errori o sconfiggere gli incantesimi. Il simbolico paternoIl paterno fiabesco viene spesso dipinto sotto una luce di non-azione, e dunque di presenza-assenza: ne risulta il quadro di
un personaggio incolore, mediocre e pusillanime, le cui pulsioni vengono sacrificate in virtù di una personalità femminile
più forte - quella della moglie-matrigna - alla quale non ha il coraggio né la volontà di contrapporsi. Alternativamente il padre può assumere i connotati fiabeschi di un padrone, severo e autoritario, pronto ad ostacolare il figlio nel raggiungimento dei propri obiettivi, per costringerlo ad obbedire al suo volere: e allora gli amori contrastati, i matrimoni impediti, le volontà filiali avversate, sono il simbolo latente di quegli afflati di libertà e di autonomia che una paternità narcisistica non vuol lasciar esprimere. Dunque la genitorialità paterna, nel fiabesco, si alterna in una fluttuazione tra polarità opposte di passività - manifestata con lassismo e pusillanimità - e di dinamismo, espresso a mezzo di una genitorialità autoritaria, impositiva e intransigente. Con un esito, in entrambi i casi, di una coartazione del processo evolutivo e maturativo della prole. Lo stregoneLa cattiveria soprannaturale maschile, nel mondo delle fiabe, non si mostra meno intensa e distruttrice del suo analogo femminile: tutta
costruita intorno a figure evocative di minacciosità e violenza, quali stregoni, orchi e maghi cattivi, al pari di quella della strega
è legata al demonio da un patto di fedeltà e sudditanza, e, come quest'ultima, desidera privare il protagonista di una meritata
possibilità di realizzazione finale. Nella battaglia finale contro questo oscuro nemico, l'eroe o la principessa dovranno mostrarsi in grado di fronteggiare le sue forze - fisiche e soprannaturali - con dosi adeguate di coraggio e astuzia. Dovranno imporsi su di lui talvolta affrontandolo direttamente e contrastandolo con le sue stesse armi, talvolta aggirando la sua potenza con sotterfugi scaltri e ingegnosi in grado di annientarlo. Il lieto fine della fiaba, identificabile con la sconfitta del mostro o dello stregone malvagio, rappresenta il buon esito del conflitto edipico, grazie al quale il bambino potrà riappacificarsi con la figura autoritaria del padre, stemperandone l'aggressività, la minacciosità e la potenziale pericolosità a favore di una visione meno persecutoria nella quale finirà con l'identificarsi, realizzando così quell'intento adattivo che gli consentirà di compiere i primi passi verso l'evoluzione del Sé. ConclusioniNell'universo delle fiabe viene riprodotta, in chiave simbolica, la metafora degli aspetti più salienti del processo evolutivo:
l'allontanamento dalla famiglia, la scoperta del Sé, la conquista della identità, della sessualità, la costruzione
dell'autonomia, la separazione materna e l'individuazione del Sé, la capacità di affrontare e risolvere difficoltà con
l'aiuto di personaggi esterni alla famiglia, la costruzione di nuovi legami. Quello della maturazione del Sé si preannuncia un percorso irto di difficoltà, conflitti e ambivalenze, di cui i personaggi delle fiabe possono costituire un prezioso ausilio elicitante e rappresentativo, lo strumento liquidatorio di paure inconfessabili e di parole impronunciabili, oltre che una risorsa ludica e creativa, attraverso cui familiarizzare con la funzione simbolica e scoprirne l'infungibile valenza adattiva. Il significato sotteso alla celebrazione del matrimonio tra il principe e l'orfanella, o tra la principessa e il ranocchio, in fondo
è proprio questo: dietro questa unione amorosa, suggellata da un per sempre finale, si cela la maturazione di un Sé in
grado di riconoscere aspetti dicotomici tra la propria realtà psichica e quella esterna, e di creare tra gli stessi un compromesso
esistenziale in grado di unirli senza distruggerli né invalidarne i confini. Bibliografia
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