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I "Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabe

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I "Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabe

L'articolo "I "Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabe" parla di:

  • Le molteplici funzioni della fiaba
  • Il rapporto con la madre nell'intreccio fiabesco
  • La figura del padre nelle fiabe
Psico-Pratika:
Numero 184 Anno 2022

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Articolo: 'I "Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabe'

A cura di: Rebecca Farsi
    INDICE: I "Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabe
  • Le molteplici funzioni della fiaba
  • Il femminile nella fiaba come rappresentazione simbolica della madre
    • La matrigna
    • La sorellastra
    • La strega malvagia
    • Il femminile buono: la vecchietta e la fata
  • Il simbolico paterno
    • Lo stregone
  • Conclusioni
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT
Le molteplici funzioni della fiaba

Una delle caratteristiche salienti della fiaba è la sua capacità di simbolizzare la realtà attraverso la sapiente commistione tra una dimensione oggettiva e una fantastica, che le appartengono entrambe. Non sarebbe, infatti, corretto definirla come il mero prodotto di un'elaborazione immaginativa: il suo riferimento alla realtà, per quanto latente, è sempre percepibile al di là delle numerose simbologie che la caratterizzano, e contribuisce alla formazione di una struttura in cui proprio gli elementi fantasmatici diventano lo strumento rielaborativo di una dimensione realistica sottesa.

La fiaba è indubbiamente legata ad una capacità trasformativa, pur fondendosi ad un intreccio stereotipato che si ripete, nel modello narrativo e nel contenuto; al contempo la sua dimensione contestuale è collocata in un'ambientazione archetipica, colma di stimoli non saturi, in cui chiunque può riconoscersi. Non esiste in essa un personaggio o un luogo che non sia foriero di un significato simbolico trascendente. E al contempo non v'è nulla, nella sua trama, che richiami esplicitamente un contesto specifico, nulla che faccia riferimento a coordinate spazio-temporali ben precise e per questo delimitanti.
C'era una volta, in un regno lontano, tanto tempo fa... costituiscono la chiara testimonianza di un'ambientazione avulsa da ogni collocazione determinata, e proprio per questo continuamente reiterabile in una continuità che la sottrae a limitazioni di tempo e di spazio.

Nella sua rappresentazione della realtà fantastica e reversibile, la fiaba rappresenta, inoltre, un contesto in cui nulla è definitivo, grazie al potere trasformante della magia che, se può esprimersi come un incantesimo malefico, in grado di provocare conseguenze mortifere e distruttive, è ugualmente capace di tramutarsi d'improvviso in un incantesimo buono che cancella tutto il male. È proprio questa reversibilità a renderla rassicurante, e per certi aspetti salvifica, in quanto le conferisce il potere di esplorare dimensioni della realtà potenzialmente minacciose.
La fiaba evacua le ansie e le paure, anticipa situazioni temute aiutando a trovare soluzioni adattive ad un'oggettività pietrificante; da qui il suo valore indubbiamente liquidatorio di realtà ansiogene e perturbanti.
Al contempo la sua struttura presenta una connotazione fortemente polarizzata - tipica del pensiero fantastico - volta a raffigurare una realtà in cui gli opposti si combattono inconciliabilmente e viene eliminata ogni interpretazione polisemica. Esiste solo il tutto buono, solo il tutto cattivo, senza sfumature.
La linea discriminante tra onesti e malvagi è tracciata in maniera netta, e la non conciliabilità tra gli opposti diventa l'elemento saliente della personalità di ogni personaggio, di ogni scenario, di ogni situazione descritta. In questa connotazione scissionale, dall'indiscutibile finalità difensiva, è possibile reperire la funzione tipicamente catartica di un sincretismo che non è ancora divenuto sintesi, di un'angoscia persecutoria che non consente agli opposti di coesistere in sintonia senza che questo comporti un attacco all'esistenza del Sé.

L'intensa capacità proiettiva della fiaba comporta, inoltre, l'annullamento dei mezzi di difesa, la sperimentazione di un significativo carico pulsionale e la riattivazione del processo primario. È l'Es a mostrarsi dominante rispetto ad una dimensione egoica che allenta temporaneamente il controllo e consente l'esternalizzazione di pulsioni represse, fantasie, memorie arcaiche e preverbali, sottraendone il contenuto ad una dimensione di non coscienza.

La fiaba è, infine, una simulazione dell'avventura della vita, la cui caratteristica immaginativa consente di raggiungere dimensioni espressive enfatizzate, risolute, talvolta estremizzate, che nella dimensione reale verrebbero impedite dalla censura egoica. Da qui la sua funzione indubbiamente terapeutica, che consente l'elicitazione, l'espressione e infine la rielaborazione di una realtà interiore non verbalizzata.

Il femminile nella fiaba come rappresentazione simbolica della madre
I Tra fantasia e realtà: la valenza simbolico-proiettiva delle fiabe

Il legame instaurato con la madre mostra una matrice universalmente vitale, generativa, significante. È anche il legame più arcaico, il primo e il primigenio, in grado di fornire una direzione agli altri rapporti affettivi che lo seguiranno. Ma in esso si nasconde una natura inevitabilmente conflittuale, in cui pulsioni contrapposte vengono reciprocamente ad incontrarsi, spesso a scontrarsi, in una modalità più o meno integrativa.
È forse per questo che all'interno dell'intreccio fiabesco il rapporto con la madre viene declinato in molteplici sfaccettature, attraverso la creazione di personaggi fantastici nei quali ogni sfumatura emotiva può trovare una saliente rappresentazione. La strega, la fata, la matrigna: ruoli che, proprio grazie ad un'oppositività dicotomica inconciliabile, sono in grado di rappresentare al meglio la contraddittorietà dei vissuti sperimentati verso la madre e la femminilità in generale.

La dimensione femminile presenta caratteristiche indubbiamente polarizzate, in quanto contemporaneamente legate alla vita e alla morte, alla nascita e alla distruzione. Esiste, dunque, una madre buona e una madre cattiva, una generosa e una castrante, una premurosa e una abbandonica, così come esistono la paura del distacco materno e la voglia dell'esplorazione, l'attrazione motivante verso la dipendenza e la percezione minacciosa della separazione come perdita definitiva: ed è proprio questo inconciliabile dualismo che spinge alla ricerca della madre, così come alla difesa dalla stessa e dal suo potere persecutorio.
Si tratta di una dicotomia tormentosa - presente già nelle prime fasi della vita - dalla quale è possibile difendersi a mezzo di meccanismi di difesa proiettivi, di spostamento e di rimozione che nella fiaba trovano impiego frequente. L'odio rivolto verso una strega cattiva si mostrerà consciamente più accettabile di un odio esplicitamente rivolto alla madre, e non provocherà gli stessi vissuti superegoici censuranti. Ma se la strega incarna il riflesso simbolico di una maternità negativa e distruttrice, è proprio questa maternità che viene odiata e combattuta - attraverso la strega - sia dall'eroe, sia dal lettore della storia. Con un effetto indubbiamente catartico del contenuto conflittuale rimosso.

La matrigna

È la nuova moglie del padre, la straniera che ha preso il posto della vera madre, pur essendo incapace di donare il suo stesso amore, generoso incondizionato; al contrario il suo ruolo è legato a vissuti di minaccia e sofferenza crescente per la protagonista. Le discrepanze tra le madre vera e la matrigna sono evidenti: laddove la prima nutre e protegge, la seconda limita, opprime, punisce, ostacola l'eroina in ogni sua velleità di realizzazione; è una matrigna perché cattiva e deprivante, mancante negli atteggiamenti affettivi e direzionanti che contraddistinguono una madre: non c'è empatia in lei, né rispondenza ai bisogni della figliastra, ma solo velleità di limitarla e di annichilirne la soggettività, a vantaggio dei propri interessi.
La matrigna è pervasa da una genitorialità crudele e narcisistica in cui trova terreno fertile la radice dell'invidia, e dunque della pulsione avida e mortifera di privare l'altro dei suoi beni più preziosi, per distruggerli definitivamente. E la matrigna invidia tutto della figlia: la sua bellezza, la giovinezza, il primato che occupa nel cuore del padre, le sue ricchezze. Ma soprattutto invidia la sua bontà e purezza, che, non potendo possedere, progetta di annientare. La matrigna è legata a vissuti di guerra interiore, passibili di condurre ad una distruttività irreversibile del Sé.

La sorellastra

Si tratta della figlia della matrigna, di cui ricalca la malvagità, la medesima voglia di insediarsi nella vita della protagonista e di privarla di ciò che le appartiene, a partire dall'affetto paterno. E tuttavia notiamo delle differenze nella cattiveria delle due: più astuta e crudele quella della matrigna, più invidiosa, infantile e per certi versi inconcludente quella della sorellastra, che si lascia guidare dalla volontà della madre in un rapporto di totale sottomissione.
I suoi comportamenti non sono mai autonomi, risultando piuttosto il frutto della manipolazione del ben più astuto oggetto materno (la matrigna, appunto), che la usa alla stregua di oggetto-Sé per la realizzazione dei suoi piani, impedendone un'evoluzione autonoma e consapevole.

Dal punto di vista simbolico, la sorellastra rappresenta un alter ego negativo, l'espressione di una passività invidiosa e involutiva che paralizza la crescita, la scoperta del Sé. La sorellastra incarna l'invidia e la gelosia proiettiva, e per questo destinata a rimanere ostaggio di una immobilità evolutiva, manipolata da un materno fagocitante e intransigente.
Ella rappresenta, inoltre, lo straniero, l'intruso che giunge a privare il Sé delle sue certezze e solidità, ma è anche quell'elemento interiore che spinge a colludere con la volontà di una madre onnipotente, invasiva e per questo distruttiva, accettando di divenire un mero prolungamento della stessa, anziché di cercare una propria direzione evolutiva. La sorellastra, potremmo dire, è la nemica del Sé in formazione. È l'oggetto collusivo di una colonizzazione materna castrante ed involutiva.

La strega malvagia

Il simbolico femminile più distruttivo è quello della strega, la temibile nemica non solo del protagonista, ma del mondo intero. Potremmo definirla l'incarnazione del maligno, il male totalizzante e assoluto, in cui non c'è neppure una parvenza di bontà, intesa come attaccamento ad Eros e dunque alla vita.
Il suo intento è quello di annichilire, bloccare l'evoluzione e l'avanzamento del protagonista, facendolo regredire a stati involutivi - lo trasforma coi suoi incantesimi in una bestia - o privandolo della libertà - lo imprigiona nelle segrete di un tetro castello. Il richiamo ad un utero materno che soffoca e distrugge è evidente. Il maleficio è una maternità pervasiva e invadente che blocca il progresso trasformativo: così di nuovo si diventa piccoli, indifesi, immobili, e bisognosi della madre-tutto che, mentre genera, distrugge.

Alcune volte l'operato della strega è ben identificabile: ella si mostra chiaramente in tutta la sua malvagità e il protagonista può fronteggiarla a viso aperto.
In altri contesti il suo agito si nasconde dietro condotte manipolatorie e seduttive, ed è teso a sortire un tranello all'eroe che crede di trovare in lei una figura protettiva e adiuvante. Allo stesso modo in cui il bambino si illude di reperire nella madre un elemento supportivo, realizzando solo in un secondo momento quanto dannosa e pericolosa possa mostrarsi una maternità narcisistica e incistante.
La strega paralizza l'eroe e ne impedisce l'evoluzione, allo stesso modo in cui una madre crudele e captativa monopolizza il contesto diadico e lo pietrifica in un eterno immutabile, divorando la soggettività del figlio in un rapporto simbiotico-distruttivo in cui ogni possibile accesso esterno risulta negato, e la differenziazione viene connotata di significati minacciosi da cui rifuggire.
E se la strega vuole impedire l'unione tra la protagonista e il suo amato, allo stesso modo la madre crudele impedisce la maturazione sessuale-amorosa del figlio, mostrandosi come un elemento ostativo alla creazione di nuovi legami, fecondi e generativi di vita. Ci vengono in mente madre Gothel di Rapunzel, la strega della Bella Addormentata nel Bosco, la Regina Grimilde in Biancaneve, e gli esempi potrebbero essere ancora tanti...

Dunque, la relazione con la madre strega è circolare, chiusa in un cerchio abortigeno che impedisce il rinnovamento e la continuità. Un legame destinato a morire in se stesso, perché sottratto alla progressione che apre la prospettiva al nuovo, all'accesso di altri elementi vitali nel sistema diadico. È questa ricorsività del cerchio materno, cieca e distruttiva, a togliere al bambino-eroe ogni possibilità di sviluppo.

Il femminile buono: la vecchietta e la fata

Le fiabe ospitano anche la presenza di un femminile rassicurante e devoto, la cui presenza è fondamentale per il raggiungimento del lieto fine, inteso come liberazione dal maleficio che immobilizza e uccide. Sono le sfumature della madre buona, proiettate nell'istanza simbolica di personaggi buoni, perché preziosi e fedeli alleati del protagonista, durante le mille peripezie (maturative) che deve attraversare.

Prendiamo l'esempio della vecchietta: l'antitesi assoluta della strega, evocativa della figura di una nonna buona, paziente, saggia perché esperta e intimamente legata ad una volontà di aiuto autentica e leale.
L'agito delle due figure è dunque opposto: se la strega distrugge e inganna, la vecchietta sostiene, guida, consiglia. Se la strega compare nel buio del bosco per tendere una trappola, la vecchietta appare all'improvviso in mezzo alle tenebre o ad una radura sconfinata, in un villaggio sconosciuto in cui l'eroe della storia capita per caso e non sa come orientarsi.
La nonna delle fiabe è foriera di una genitorialità ormai scevra di ogni investimento narcisistico, e di quella pretesa simbiotico-idealizzante che l'oggetto materno può far valere nei confronti del figlio: questa nonna - che abbraccia senza stringere - sarà sempre disposta a farsi da parte per il bene del bambino - identificabile nell'autorealizzazione e nell'autonoma scoperta del mondo.

Ancora più potente e idealizzata è la figura della fata, in cui i poteri della madre buona vengono enfatizzati e resi invincibili. Ella compare nei momenti di impasse estrema, di blocco e impossibilità dell'azione, e come una madre buona aiuta a superare le difficoltà, dà direttive, si oppone al poter della strega. La sua è un'opera liberatoria nel senso più ampio del termine: la fata libera dal maleficio perché come lei è magica, e con il suo potere è in grado di sopraffare la malvagità della magia nera; scioglie l'eroe dalla prigionia aprendo magicamente la cella, opera trasformazioni evolutive rendendo di nuovo principe un ranocchio, risveglia da sogni mortiferi, guarisce ferite, dona vie d'uscita quando non ne esistono, e talvolta si spinge oltre, consentendo di tornare indietro nello spazio e nel tempo per rimediare gli errori o sconfiggere gli incantesimi.
Difficile non rivedere in tutto questo il richiamo ad una madre "onnipotente e salvifica" che, come una fata, compare per sostenere nei momenti di difficoltà o di paura e, dopo aver svolto il suo compito adiuvante, non pretende nulla in cambio. Perché il suo non è un amore captativo, ma è un amore che libera e lascia liberi, consentendo l'evoluzione consapevole del Sé del figlio.

Il simbolico paterno

Il paterno fiabesco viene spesso dipinto sotto una luce di non-azione, e dunque di presenza-assenza: ne risulta il quadro di un personaggio incolore, mediocre e pusillanime, le cui pulsioni vengono sacrificate in virtù di una personalità femminile più forte - quella della moglie-matrigna - alla quale non ha il coraggio né la volontà di contrapporsi.
Dal punto di vista simbolico possiamo riconoscere, nel padre delle fiabe, un paterno incapace di penetrare una simbiosi diadica invasiva ed escludente, e di creare una triangolazione salvifica in cui il maschio diviene un oggetto trasformante e portatore di vita. In questo caso il padre si mostra debole o non sufficientemente interessato alla prole, fiaccato dalla pervasività di un potere femminile col quale non intende competere, preferendo contemplarne l'operato dominante in un silenzio inerte e collusivo. Ed è forse questa la sua colpa maggiore, tanto nelle fiabe che nel processo evolutivo: non contribuire a differenziare la simbiosi indistinta tra madre e figlio, laddove se ne riscontra la necessità evolutiva.

Alternativamente il padre può assumere i connotati fiabeschi di un padrone, severo e autoritario, pronto ad ostacolare il figlio nel raggiungimento dei propri obiettivi, per costringerlo ad obbedire al suo volere: e allora gli amori contrastati, i matrimoni impediti, le volontà filiali avversate, sono il simbolo latente di quegli afflati di libertà e di autonomia che una paternità narcisistica non vuol lasciar esprimere.

Dunque la genitorialità paterna, nel fiabesco, si alterna in una fluttuazione tra polarità opposte di passività - manifestata con lassismo e pusillanimità - e di dinamismo, espresso a mezzo di una genitorialità autoritaria, impositiva e intransigente. Con un esito, in entrambi i casi, di una coartazione del processo evolutivo e maturativo della prole.

Lo stregone

La cattiveria soprannaturale maschile, nel mondo delle fiabe, non si mostra meno intensa e distruttrice del suo analogo femminile: tutta costruita intorno a figure evocative di minacciosità e violenza, quali stregoni, orchi e maghi cattivi, al pari di quella della strega è legata al demonio da un patto di fedeltà e sudditanza, e, come quest'ultima, desidera privare il protagonista di una meritata possibilità di realizzazione finale.
Tuttavia la crudeltà maschile si mostra più annientante: lo stregone opera facendo sfoggio di caratteristiche prettamente virili quali aggressività, distruttività, violenza che penetra e annienta. Il mago non esita a far uso di spade, bastoni, lame che scaglia contro il protagonista per ucciderlo. Alla stregua di un fallo che penetra e massacra, egli si contrappone al femminile della strega che ingloba, avviluppa e divora all'interno di un utero-prigione.
Potremmo dire che l'invasività del maschio è più proditoria e basata sulla forza, laddove quella femminile è più improntata su connotati seduttivi e maliziosi. Per quanto gli effetti si rivelino i medesimi, alla fine.

Nella battaglia finale contro questo oscuro nemico, l'eroe o la principessa dovranno mostrarsi in grado di fronteggiare le sue forze - fisiche e soprannaturali - con dosi adeguate di coraggio e astuzia. Dovranno imporsi su di lui talvolta affrontandolo direttamente e contrastandolo con le sue stesse armi, talvolta aggirando la sua potenza con sotterfugi scaltri e ingegnosi in grado di annientarlo.

Il lieto fine della fiaba, identificabile con la sconfitta del mostro o dello stregone malvagio, rappresenta il buon esito del conflitto edipico, grazie al quale il bambino potrà riappacificarsi con la figura autoritaria del padre, stemperandone l'aggressività, la minacciosità e la potenziale pericolosità a favore di una visione meno persecutoria nella quale finirà con l'identificarsi, realizzando così quell'intento adattivo che gli consentirà di compiere i primi passi verso l'evoluzione del Sé.

Conclusioni

Nell'universo delle fiabe viene riprodotta, in chiave simbolica, la metafora degli aspetti più salienti del processo evolutivo: l'allontanamento dalla famiglia, la scoperta del Sé, la conquista della identità, della sessualità, la costruzione dell'autonomia, la separazione materna e l'individuazione del Sé, la capacità di affrontare e risolvere difficoltà con l'aiuto di personaggi esterni alla famiglia, la costruzione di nuovi legami.
Ma come nella vita questo percorso verso la piena realizzazione verrà ostacolato da elementi ostruenti che assumeranno la foggia alternativa di streghe, maghi, animali feroci. Entità più o meno soprannaturali che immobilizzeranno l'eroe nel corpo e nello spirito, provocando un'autentica siderazione del pensiero e dell'agito. Improbabile non percepire in questi ostacoli la rievocazione simbolica delle figure genitoriali, che occupano un ruolo fondamentale nella gestione del percorso evolutivo e che, con la loro presenza affettiva, con il loro stile educativo, con il loro modello relazionale specifico possono aiutare il figlio a costruire un Sé assertivo ed autonomo, o al contrario possono mostrarsi un fattore persecutorio e distruttivo di ogni sua risorsa, ogni sua certezza.

Quello della maturazione del Sé si preannuncia un percorso irto di difficoltà, conflitti e ambivalenze, di cui i personaggi delle fiabe possono costituire un prezioso ausilio elicitante e rappresentativo, lo strumento liquidatorio di paure inconfessabili e di parole impronunciabili, oltre che una risorsa ludica e creativa, attraverso cui familiarizzare con la funzione simbolica e scoprirne l'infungibile valenza adattiva.

Il significato sotteso alla celebrazione del matrimonio tra il principe e l'orfanella, o tra la principessa e il ranocchio, in fondo è proprio questo: dietro questa unione amorosa, suggellata da un per sempre finale, si cela la maturazione di un Sé in grado di riconoscere aspetti dicotomici tra la propria realtà psichica e quella esterna, e di creare tra gli stessi un compromesso esistenziale in grado di unirli senza distruggerli né invalidarne i confini.
Aspetti maschili e femminili, buoni e malvagi, coraggiosi e spaventati, impulsi legati al passato e proiettati al futuro: sono tutti elementi all'apparenza inconciliabili che, grazie ad un sé assertivo e consapevole, nella dimensione della fiaba riescono non soltanto ad andare d'accordo, ma a fondersi in un tutt'uno compenetrato, differenziato e differenziante, nel quale l'uno non può più fare a meno dell'altro.
Se non è un lieto fine questo...

Bibliografia
  • Erikson, E.H. (1982), I cicli della vita, Continuitù e mutamenti, Armando editore, Roma
  • Klein, M. (1961), Analisi di un bambino, Boringhieri, Torino, 1971
  • Santagostino, P. (2006), Guarire con una fiaba: usare l'immaginario per curarsi, Feltrinelli, Milano
  • Sordano, A. (2006), Fiaba, sogno e intersoggettivitù. Lo psicodramma analitico con bambini e adolescenti, Bollati Boringhieri, Torino
  • Von Franz, M.L. (1972), Il femminile nelle fiabe, Bollati Boringhieri, Torino
  • Von Franz, M.L. ( 1985), L'ombra e il male nella fiaba, Bollati Boringhieri, Torino
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