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Psicologia dell'anzianità: il misterioso viaggio tra "fine e finitudine"L'articolo "Psicologia dell'anzianità: il misterioso viaggio tra "fine e finitudine"" parla di:
Articolo: 'Psicologia dell'anzianità: il misterioso viaggio tra "fine e finitudine"'A cura di: Rebecca Farsi
IntroduzioneLa vecchiaia è una "viaggiatrice di notte", scrive Chateaubriand, cui viene lasciato il compito di ri-assumere il filo narrativo di un'esistenza che sta per compiersi, cercando di non trascurare nessuna delle esperienze di cui il tempo l'ha arricchita. Ma il paradosso è dietro l'angolo: al di là di così intensi e profondi arricchimenti, l'anzianità è soprattutto un momento segnato da perdite, lutti, e depauperamenti. L'ironia di un destino che arricchisce per togliere, avvicinando ad una fine inevitabile. L'anziano incontra un'angoscia di depauperazione e dimenticanza, in un mondo che non gli riconosce più efficienza né efficacia. Orfano di se stesso, e spesso degli affetti più cari, la sua spinta motivazionale è inevitabilmente mortificata, inclinata verso la fine della vita. L'anzianità comporta l'inizio di una corsa rivolta all'indietro: se l'adolescenza viene considerata lo stadio dell'evoluzione fisica, della scoperta, dell'acquisizione, della proiezione e della costruzione del futuro, l'ultima fase della vita comporta i processi totalmente inversi, proiettando l'individuo verso un progressivo depauperamento caratterizzato da vissuti di isolamento sociale, deterioramento fisico e cognitivo, esclusione dalla realtà performante, che possono rivelarsi fattori predittivi di disagio, ove non di patologia. Al concetto di fine si affianca quello di finitudine (Crocetti, 2022). Più ampio, più intenso e misterioso rispetto al primo. Perché comporta la necessità di riconoscere alla vita un confine che, seppur limitante, non si mostri impeditivo. L'anzianità è soltanto in apparenza un processo involutivo. Ingiustamente relegata in una dimensione di inutilità e decadenza, è in realtà la fase della vita che consente una totale riscoperta del Sé, attuata attraverso un ri-collocamento della propria esistenza nel mondo. La ricerca del senso del Sé e della vita, che costituisce, in fondo, l'ambizione narcisistica più comune. I cambiamenti connessi alla senescenzaIl deterioramento mnestico e il disengagementIl passaggio alla veccèiaia risulta più graduale che in passato, soprattutto a causa dell'aumento della durata media della vita, del prolungamento dell'età lavorativa e della modifica della scala di età collettiva, notevolmente spostata in avanti. Proprio questa progressione del limite dell'anzianità e del suo insorgere specifico ne determina l'arrivo quasi improvviso. Ne siamo pressoché colti alla sprovvista. Avvisati, più che da un cambiamento reale delle abitudini, dalle modifiche biologiche correlate alle stessa. Sintomi di decadenza progressiva e inarrestabile di cui la gerontologia ci offre variegata testimonianza. Le modifiche determinate dal deterioramento biologico-cellulare vanno ad impattare in maniera trasversale nel funzionamento di organi e apparati, compromettendone le funzioni specifiche. Da un punto di vista neurologico le performance motorie si rallentano, così come i tempi di risposta agli stimoli. Frequenti l'indebolimento osseo e le perdite di equilibrio. Sotto un aspetto percettivo, l'opacizzazione del cristallino origina disturbi visivi, legati alla percezione di colori e luci; la perdita dell'udito è dovuta all'atrofia dei recettori acustici localizzati nell'orecchio interno (De Beni, Borella, 2015). Si riscontra un sostanziale scadimento cognitivo: l'attenzione perde la propria competenza selettiva e la capacità di focalizzarsi a lungo su un oggetto; anche il ragionamento astratto e percettivo subiscono notevoli rallentamenti; si verifica una compromissione della capacità mnesica, collegata alla perdita di elasticità della corteccia prefrontale, in cui la densità dei recettori dopaminergici subisce una sensibile diminuzione (McCarthy, Warrington, 1996). Questo causa un deficit di dopamina che va ad inficiare la funzionalità della memoria di lavoro e della memoria prospettica, nelle quali l'anziano manifesta scompensi, disarmonie, rallentamenti (Cattell, 1963). Al di là di motivazioni prettamente organiche, i disordini mnestici sono dovuti anche ad un'operazione di separazione dal presente messo in atto difensivamente, al fine di gestire un globale vissuto di perdita e vuoto esistenziale. La gerontologia parla di disengagement, in riferimento ad un distacco graduale dalla realtà operato al fine di familiarizzare con l'idea della morte, rievocando al contempo ricordi maggiormente gratificanti, per appagare un presente desertificato. È la c.d. percezione temporale telescopica (Canestrari, Godino, 2002). Modelli teorici all'opposto (Charles e Cartsensen, 2013) sostengono che l'anziano tenderebbe, proprio nell'ultima fase della vita, a mostrare un atteggiamento emotivo e comportamentale maggiormente centrato sul presente, e molto meno attento a vissuti trascorsi e futuri. La teoria delle selettività socio-emotiva (Carstensen, 1995) sostiene che ciascuna età della vita sia caratterizzata da una serie di priorità a loro volta condizionate da fattori socio-ambientali e individuali. Se durante la giovinezza l'urgenza primaria è incarnata alla proiezione del Sé nel futuro, durante l'età della senescenza gli investimenti si rivolgono principalmente al presente: così, se la personalità del giovane è di tipo prevalentemente centrifugo, perché proiettata in avanti, la personalità dell'anziano è centripeta, in quanto rivolta prevalentemente ad una dimensione interiore, con tutto il carico di ricordi, esperienze e sentimenti che la caratterizza. Secondo la Carstensen (1995) durante la prima fase della vita la spinta di fondo è quella di pianificare il futuro, nell'intento di raggiungere obiettivi in linea con le proprie aspirazioni e i bisogni di autorealizzazione; al contrario, durante la vecchiaia l'istanza motivazionale si restringe e la percezione del tempo si ripiega su se stessa, divenendo piatta e incolore: il presente è la sola certezza, per quanto anch'essa provvisoria, e l'anziano vi si aggrappa contro un'insicurezza globale che investe il futuro, costringendo all'attesa. Questo spinge all'orientamento verso scelte di vita immediate, pianificazioni sul breve termine, obiettivi strategici da raggiungere nel minor tempo possibile. Da queste prospettive, pur dicotomiche, emerge la direzione marcatamente soggettiva che il tempo acquisisce nell'ultima fase della vita, divenendo l'espressione di un condensato emotivo che a sua volta riflette i contenuti più intimi e mutevoli del Sé. È durante l'anzianità che nasce il concetto di tempo narrativo, una dimensione fondata sulla riscoperta di contenuti appartenenti ad un passato riattualizzato e riattualizzante che, proprio attraverso un Sé narrante, non vengono soltanto rievocate, ma letteralmente rivissute. Il ricordo emerge come attivatore di affetti e sensazioni che si reificano nel presente, pur acquisendo una riscrittura diversa, dovuta proprio alla capacità della narrazione di conferire alle cose un senso innovato, trasformato alla luce delle nuove esigenze di vita (Vianello, 2021). Ricordare aiuta a rimanere vivi, a percepirsi come soggetti agenti nella vita che si consuma, e inevitabilmente continua. Disagio psichico e involuzione emotiva nell'anzianoL'anzianità dovrebbe comportare un tentativo di ridefinizione globale, di sintonizzazione e valorizzazione di quanto compiuto in passato: spesso questo fenomeno sintetico-rielaborativo non si verifica, e l'anziano sperimenta le perdite quotidiane cui è costretto come fossero perdite irrecuperabili. Questa incapacità può derivare da un vissuto disfunzionale pregresso, che non ha consentito la maturazione di una generatività prosociale o adattata, in cui l'investimento esula dal S´e; narcisistico per collocarsi in una prospettiva più generazionale (Scabini, Cigoli, 2000). In un processo di invecchiamento funzionale il soggetto si mostra capace di accettare consapevolmente i limiti della vita, elaborando il senso profondo di far parte di una storia più ampia, che comprende le generazioni precedenti, il senso di possedere la saggezza dei tempi, una integrazione finale di tutti gli stadi precedenti. Nel caso opposto scendere a compromessi con la propria fine non risulta possibile: l'individuo non riesce ad accettare di aver perduto la giovinezza, prova grande rimpianto per le occasioni perdute, è perseguitato dal pensiero della morte, dell'incombere della fine e della dissoluzione, prova vissuti angosciosi e persecutori. È quella che Erickson (1984) definisce fase della disperazione, in cui la prospettiva della morte viene elaborata attraverso connotati di angoscia narcisistica e perdita irrimediabile. Il contesto viene peggiorato da una deflessione nella capacità di lettura e di comunicazione delle emozioni, tipica dell'età senile (Barucci, 1990), cui consegue un utilizzo del corpo come mezzo espressivo del disagio. Irritabilità, irrequietezza, disforia, così come sentimenti di perdita, inutilità e disperazione possono tramutarsi in stati di malessere generalizzato, oppressioni toraciche, disturbi digestivi, disordini del sonno, problemi cardiaci e respiratori che, fatta salva una possibile componente organica, sono molto spesso la traduzione sintomatica di un malessere emotivo non verbalizzato (Shedler, Westen, Lingiardi, 2008; Carbone, 1990). Vittima di frequenti stati di impotenza ed helplessness, l'anziano crede di non poter trovare una soluzione ai problemi; questo non fa che coinvolgerlo in uno stato stressogeno in grado di apportare negatività non solo nella dimensione emotiva, ma anche in quella fisiologica. Studi di psiconeuroimmunologia hanno dimostrato quanto un eccessivo carico stressorio possa rivelarsi lesivo del benessere psicofisico globale, soprattutto a causa dell'iperproduzione di cortisolo, la cui presenza va a danneggiare l'ippocampo e le funzioni ad esso collegate (mnestiche, di equilibrio, regolative), e di interleuchine, in grado di innescare un processo infiammatorio compromissorio della funzionalità immunitaria: questo espone ad un maggior rischio nella contrazione di virus e limita la possibilità di contrastare attivamente il riemergere di malattie pregresse (Cesa Bianchi, 2009; Agresti, 1990). Senescenza: non solo aspetti negativiL'anziano si trova a vivere il paradosso di una realtà precaria e contraddittoria: egli esiste in funzione di ciò che ancora può dare alla famiglia e alla società in termini economici e affettivi, e al contempo non esiste, perch´ non è più presente nei luoghi della produttività. Se ne origina una sorta di desincronizzazione interiore, in cui la perdita del ruolo socio-produttivo comporta una caduta di senso, unita allo sfumare graduale della connessione tra realtà psichica ed oggettiva, appannaggio di una percezione confusiva e demotivante (Belsky, 2009). Ad un quadro descrittivo altamente critico è doveroso aggiungere il lato opposto della medaglia. L'anzianità può rivelarsi in realtà un periodo produttivo ed emotivamente proficuo non soltanto per il soggetto coinvolto, ma anche per tutti coloro che lo circondano. Studi di neuroimaging dimostrano come l'età senile consenta un maggior controllo emotivo, a sua volta procurato da una minore attivazione dell'amigdala e del sistema limbico, cui fa riscontro una maggiore attività dei lobi frontali, sede dei ragionamenti logici e dei processi attentivo-decisionali (Martin, Balconi, 2015). L'affettività tende a modificarsi sia quantitativamente sia qualitativamente: nello specifico si riduce l'intensità soggettiva, rispetto a contenuti che in precedenza suscitavano reazioni intense e disregolate. L'anziano diventa per questo più accomodante, meno impulsivo e irriflessivo, ma anche meno incline ad un adattamento conformistico e standardizzata. Egli apprezza la propria interiorità, trovando in essa quell'istanza motivazionale stabile e gratificante che prima trovava all'esterno. In età senile si verifica inoltre una stabilizzazione dell'intelligenza cristallizzata, che comporta la possibilità di avvalersi maggiormente di tutte le conoscenze pratico esperienziali acquisite in via pregressa (Belsky, 2009; Martin e Balconi, 2014). L'insostituibile ruolo del nonnoTra le più ricche opportunità fornite dalla senescenza troviamo inoltre la possibilità di svolgere il ruolo di nonno. Quella figura il cui apporto, materiale ed emotivo, risulta imprescindibile all'interno di ogni nucleo familiare e di ogni esperienza affettiva individuale. La figura del nonno, di per sé legata a valori di accudimento e premura pseudo genitoriali, risulta valorizzata dalle connotazioni intrinseche dell'anzianità. È proprio lo stadio di vita in cui il soggetto anziano si trova inserito a determinare una spinta propulsiva in grado di potenziare tutte quelle caratteristiche collegate a questo ruolo, rendendolo unico e insostituibile: la saggezza, la pacatezza, la dolcezza, ma anche un vissuto di calma e di serenità interiore che, pur autorevole e attendibile, risulta epurata dalle componenti autoritarie e spesso impositive legate al vissuto affettivo genitoriale. È anzi il nonno, molto spesso, a gestire gli episodi di criticità relazionale ed incomunicabilità tra genitori e figli, stornando i conflitti in una direzione mediatrice e metabolizzante. Quella esercitata dal nonno è una genitorialità amicale, securizzante e priva di investimenti narcisistici, e per questo in grado di fornire oggetti buoni con cui identificarsi, al fine di costruire sani investimenti affettivi e relazionali anche sul lungo termine. Al nonno non è richiesta una funzione di "addestramento educativo comportamentale": egli non deve proiettare il figlio nel futuro, non è suo l'obbligo di responsabilizzarlo e talvolta di frustrarlo, dal punto di vista pulsionale, ostacolandone le scelte e le decisioni in una funzione opportunamente educativa. Il suo è piuttosto un compito volto a radicare il nipote nel passato, a restituirgli le radici di un tempo mai trascorsi, facendogli percepire la continuità di una tradizione interna di cui lui stesso è parte integrante, e dalla quale potrà trarre le risorse per strutturare consapevolmente il proprio nucleo identitario e il proprio spazio d'azione (Scabini, Cigoli, 1992). Il nonno racconta, spiega, narra. E le sue narrazioni gettano le fondamenta per la costruzione di un nucleo identitario attuale, prospettico e al contempo fortemente radicato nel passato. È grazie agli affascinanti racconti del nonno che il bambino comprende di possedere, oltre ad un'identità individuale, un'identità familiare alla quale sente di appartenere, e di cui vuole portare avanti il contenuto simbolico-esperenziale. Ma anche l'anziano beneficia di questo processo identificativo, riuscendo a potenziare, in esso, una motivazione che la prospettiva
della fine rischia di depauperare. Il nonno rappresenta così uno strumento di rievocazione motivante, il punto di convergenza tra un presente e un passato che si uniscono in una continuità indissolubile, stemperando la perdita del S´ e quel senso di angoscia mortifera che tanto allontana dalla vita, prima ancora della fine della stessa (Scabini, Cigoli, 2000). L'importanza del corpoÈ indubbio come, nel periodo dell'anzianità, il corpo si trovi a ricoprire un ruolo connotato da una forte ambivalenza: da un lato cessa di essere un alleato, un riferimento di cui il Sé può avvalersi in una modalità corroborante, per assumere il ruolo di elemento deficitario che è necessario accudire, curare, assistere, ricorrendo spesso all'aiuto degli altri; l'altro diviene appiglio compensativo di funzione deficitarie, canale comunicativo e insostituibile mezzo di relazione. Si è detto come nell'anziano ci sia un gran bisogno di concretezza, di materialità. La sua necessità di appellarsi al qui e ora come segnale confermante della propria esistenza e della propria permanenza del mondo non può che connetterlo con una dimensione in cui l'elemento concreto è il solo aspetto a cui può affidarsi. Quindi, di nuovo un paradosso: ad un disinvestimento nell'aspetto corporeo fa da riferimento un grasping, più deciso e consistente, nello stesso (Crocetti, 2022). Si aggiunga che, a fronte di un impoverimento dell'espressione simbolica e comunicativa, l'elemento somatico viene investito di una capacità espressiva arricchita di significati inconsci. È attraverso il corpo che è possibile stabilire un legame di prossimità, creando occasioni di incontro e vicinanza sfruttabili anche in ambito terapeutico, laddove l'insorgenza di disturbi dementigeni renda meno agevole l'utilizzo dello strumento verbale (Regoliosi, 2014). Da questo punto di vista il soma diventa una sorta di cassa di risonanza, evocativa di tutti quei vissuti presimbolici, preverbali e prelogici che hanno trovato origine nel contesto diadico, e che, grazie ad un contatto somatico con l'altro (ad esempio un familiare o un assistente sanitario) riescono a trovare rievocazione e nuova collocazione nel presente (Bowlby, 1969). Aspetti psicodinamici dell'anzianitàIn molti casi lo stress provocato dall'insorgere della senescenza e dei suoi correlati sociali, fisiologici ed emotivi viene affrontato mediante meccanismi di difesa regressivi, da cui scaturisce una sostanziale "involuzione", funzionale ed emotiva. L'anziano perde le proprie risorse emotive e cognitive per regredire ad uno stato evolutivo pseudoinfantile, cui si correlano atteggiamenti volti all'accudimento, alla protezione, al sostegno. A risentirne sono in primo luogo i rapporti all'interno della famiglia. Con l'insorgere della senescenza si verifica spesso un rovesciamento di ruoli: non sono più i figli ad aver bisogno dei genitori, ma l'esatto opposto, e l'amore genitoriale abbandona le proprie caratteristiche oblative per trasformarsi in un affetto captativo e narcisistico (Cigoli, 2000). Il rovesciamento sociale si perpetra anche nella dimensione psichica, proponendo il verificarsi di un conflitto edipico invertito: in qualche caso il padre e la madre sono gelosi del genero o della nuora ed entrano in collisione con gli stessi per ottenere l'amore del figlio o della figlia; in altri casi l'anziano, anziché provare invidia e gelosia verso il figlio si identifica con lui, arrivando talvolta ad innamorarsi del genero o della nuora (Canestrari, Godino, 2009). Col riaffacciarsi delle angosce di morte riemergono i contenuti della fase schizoparanoide (Klein, 1957) in base alla quale l'anziano, esattamente come un bambino, evacua i propri oggetti persecutori all'interno del figlio che si prende cura di lui, in una funzione di difesa e controllo. Anche i meccanismi di difesa si mostrano notevolmente arcaici, in linea con il processo di regressione psichica in atto: in particolare è frequente l'utilizzo della scissione, delle difese paranoidi, dell'identificazione proiettiva e della proiezione. Ricompare l'invidia, che spinge a desiderare la distruzione degli oggetti buoni reputati irraggiungibili (Klein, 1948). L'angoscia schizoparanoide assume connotati distruttivi e di vendetta, che spesso esitano in acting out rivolti all'indirizzo di familiari o di soggetti accudenti, resi meta di massicce proiezioni evacuative, finalizzate a dominare le imperanti angosce di morte. Proprio queste ultime, esattamente come accadeva nelle prime fasi della vita, tornano a manifestarsi con intensità inattesa, provocando un vissuto persecutorio che opera come un Sé alieno, presimbolico e non verbalizzabile, in grado di destabilizzare, talvolta di infrangere letteralmente, l'equilibrio interiore. Lo stesso figlio viene coinvolto in questo processo regressivo: di colpo tenuto a prendersi cura del genitore, egli assume un ruolo parentale nei suoi riguardi, raccogliendo le deleghe egoiche - responsabilità, compiti, decisioni - di cui lo stesso lo ha gravato; al contempo questo ruolo parentale non viene mai pienamente legittimato, poichè ad un mutamento di compiti e funzioni non fa seguito un'effettiva trasformazione dei ruoli. Dunque il figlio deve accudire il genitore come farebbe con un bambino, ma non può metterne in dubbio l'autorità: deve essere figlio e genitore al contempo, deve gestire ed obbedire, in una situazione paradossale che disorienta. La visione del genitore debole e sconfitto suscita inoltre una reazione egoica depauperante, in grado di far vacillare le certezze esistenziali e le illusioni narcisistiche alimentate durante la fase adulta della vita, riattivando la presenza di distruttive angosce di morte. Prendersi cura di un genitore sofferente comporta di fatto l'accettazione di due onerose realtà psichiche: da una parte la visione futura di un Sé fragile e caduco, attivata dal processo identificativo col genitore stesso; dall'altra la ripresa della deidealizzazione genitoriale iniziata durante l'adolescenza. La psicodinamica evidenzia infine come l'insorgere dell'anzianità comporti un sostanziale disinvestimento egoico, a favore di una maggiore attenzione nei riguardi del Sé somatico: aspetto, quest'ultimo, dovuto al fatto che l'Io è innanzitutto un'entità corporea (Freud, 1922), e la sua struttura, formatasi nell'infanzia a partire dal Sé somatico, rimane profondamente legata al medesimo lungo il corso dell'esistenza. È dunque ovvio che, periodi della vita in cui la struttura corporea subisce dei forti contraccolpi dal punto di vista funzionale e strutturale, comportino altresì una profonda trasformazione dell'aspetto egoico (Crocetti, 2021). Nello specifico la senescenza vede un graduale distacco dalla priorità delle esigenze e delle pressioni egoiche : non si può certo parlare di regressione al processo primario - con le sue connotazioni di impulsività, improcrastinabilità e noncuranza dell'elemento adattivo - né di perdita di contatto con la realtà, ma è egualmente opportuno osservare una maggiore attenzione ai bisogni del Sé somatico, unita ad una posposizione - che in certi casi diventa un'abdicazione - delle funzioni dell'Io rispetto a quelle del Sé (Martini, 2021). Lo scenario appare dunque capovolto: se nell'età adulta erano le funzioni egoiche a mostrarsi dominanti, e con esse un solido investimento nel contesto sociale adattivo, nella senescenza questo investimento perde la propria rilevanza, appannaggio di un ritorno dell'attenzione su una dimensione fisiologica (Martini, 2021; Vianello, 2021). La stessa pulsione vitale si orienta nel soma, trovando in essa la propria gratificazione: il corpo assolve di colpo una pluralità di funzioni, diventando strumento espressivo di esigenze e pulsioni, mezzo di comunicazione e contatto, ma anche ponte con la realtà e l'alterità, il cui valore concreto offre un'istanza confermante della presenza nel qui ed ora. Persino i sintomi somatici - che in precedenza tendevano ad essere trascurati a favore di un' attenzione selettiva sul pensiero, l'astrattezza, il ragionamento - vengono resi oggetto di un iperinvestimento compensativo, volto a manifestare il retaggio più arcaico del Sé mobilitando, al contempo, le premure dei familiari. È infatti noto come il sintomo patologico - sin dal proprio insorgere - si mostri utile a catalizzare l'attenzione circostante, sottraendo all'angoscia di venir dimenticati. In definitiva, da una condizione psicosomatica, in cui la psiche insedia il soma con atteggiamenti dominanti, si passa ad una condizione somatopsichica, in cui è il corpo a guidare la mente in senso orientativo. Si torna al principio, da dove siamo partiti: l'anziano si aggrappa al corpo come fa il bambino, utilizzandolo come riscontro della sua stessa esistenza e della sua importanza per l'altro. Quasi un modo per dire "esisto ancora". L'invecchiamento: tra processualità ed evento"Non si dovrebbe parlare di età anziana, in quanto significa entrare in un equivoco. Significa classificarla. In questo modo la si stadizza, rendendola un segmento dell'essere umano. Si dovrebbe invece far riferimento ad un percorso lungo una vita, connotato da specifici fenomeni, che ha un inizio incerto e una conclusione certa" (Crocetti, 2019). L'anzianità non è una dimensione facile da valicare. Soprattutto è un errore valutarla come un evento circoscritto ed improvviso, che prende vita a partire da un accadimento precipitante, dotato di un inizio e di una fine. Essa corrisponde in realtà ad un processo, un continuum dinamico continuativo, il cui principio si consuma già al momento della nascita, e risulta fortemente collegato a fattori ambientali, individuali e relazionali, in primis originati nel contesto diadico. Numerosi studi di psicologia evolutiva hanno confermato che infanzia, adolescenza ed età adulta sono strettamente connessi in un continuum di benessere e funzionalità. Chi ha goduto di una buona infanzia o adolescenza, dunque, e si è inserito nell'età adulta con potenziali creativi intatti, ha maggiori possibilità di vivere una senescenza positiva, meno isolata e disgregante rispetto a quanti sono risultati vittime di limitazioni, traumi o disregolazioni emotive di varia entità (De Beni, 2015). La capacità di accettare la morte sembra legata alla presenza di un attaccamento sicuro (Bowlby, 1969), alla capacità di tollerare la fine delle relazioni e dei rapporti affettivi, alla competenza di regolazione delle emozioni, alla possibilità di rielaborazione del lutto in vista della perdita del Sé (Freud, 1915). Ma soprattutto si mostra l'esito di un vissuto intersoggettivo appagante maturato nelle prime fasi della vita, grazie al quale si è originato un senso del Sé stabile, coeso e capace di investimenti affettivi altrettanto solidi. L'accettazione della morte è inoltre subordinata alla presenza della c.d. generatività sociale, un concetto intrapsichico grazie al quale l'investimento vitale viene esteso da un confine narcisistico ad un più ampio contesto intergenerazionale, trovando in esso una prospettiva appagante (Scabini, Cigoli, 2000; Erickson, 1984). Ed è proprio questa capacità di vedere al di là della propria fine - fornita da una maturata lungimiranza egoica - a disegnare il momento del passaggio terreno come una fase obbligata, qualcosa di inesorabile che, per quanto doloroso, non può essere evitato (Erickson, 1950). "La morte è un passaggio che attiva soprattutto gli aspetti simbolici. Il passaggio dalla presenza all'assenza - l'anziano che esce di scena - lascia un vuoto reale ma contemporaneamente fa emergere il piano delle connessioni familiari e sociali" (Scabini e Cigoli, 1992, p. 171). La relazione affettiva familiare può mostrarsi, da questo punto di vista, un fattore protettivo dal nichilismo disperante procurato dalla prospettiva della morte, favorendo un aspetto di transizione, in cui il passaggio dalla vita alla non vita diventa la trasformazione di un'esistenza che non si interrompe, ma continua oblativamente attraverso le generazioni future. Non si tratta di rassegnazione, né di spegnimento di ogni desiderio vitale, ma di una rivalutazione globale dell'anzianità, che da serbatoio di impotenza e infertilità deve trasformarsi in seme generativo di un futuro da vivere per e attraverso gli altri (De Mijolla, 2020). Come raggiungere questo importante obiettivo? Prima di tutto è necessario riconoscere all'anziano una valenza individuale radicata nel qui e ora: egli deve sentirsi in grado di gestire la propria esistenza, di sfruttare le capacità residue in modalità autonoma e consapevole. Non dovrà percepire il Sé come un oggetto amorfo o privo di significato, prigioniero di un ruolo depauperato e passivizzante, destinato soltanto all'attesa della fine. Dovrà invece riconoscere e vedersi riconosciute le proprie competenze socio affettive e cognitive, potenziare le capacità relazionali, ampliare le occasioni di comunicazione e contatto, ma soprattutto far emergere il proprio contenuto esperienziale, in una modalità rievocativa e al contempo potenziante. Soltanto l'anziano lasciato solo è destinato a morire, se con la morte si intende l'oblio, il dissolversi del ricordo di un'esistenza che non può iscriversi in nessun contesto generazionale validante e significativo. Torna a farsi spazio il significato soggettivo del tempo, in cui gli eventi non risultano meri fatti da riferire meccanicamente, ma sono piuttosto un condensato di significanti interiori, frammenti impressi nella memoria per plasmare il senso del Sé e dar vita al mistero della tradizione interna. Intesa quest'ultima, come il filo narrativo che tiene insieme episodi maturati lungo il percorso di vita: ricordi diversi, eterogenei e distanti tra loro, ma che, attraverso la funzione coesiva della narrazione, assumono un assetto di nuovo significante. Validare le esperienze di vita di un anziano equivale ad ammettere che, malgrado la malattia o la vecchiaia lo abbiano colpito, egli ne sa più di noi. E prestare attenzione, uditiva ed empatica ai racconti che hanno come finalità la rievocazione di eventi passati ma ancora così presenti, significa legittimare un intero percorso di vita, offrendo allo stesso un contenuto omogeneo, circolare e coerente, in cui l'anziano può rispecchiarsi armonicamente, lasciando segni del proprio passaggio nel mondo. Per questo, anche in un contesto di terapia, è essenziale portare l'anziano ad un reincontro narrativo con il Sé, cercando di attuare una regressione incrementale che, mentre torna indietro, progredisce creativamente e dona nuovi significati di vita. L'anziano deve essere ascoltato. "Essere ascoltati e poter ascoltare è alla base di tutte le relazioni in cui un essere umano si prende cura del proprio simile. È un compito vitale"(Barbaglio, 2020, p. 165). Non sono necessarie grandi competenze: è sufficiente porsi con intento empatico nella dimensione esistenziale dell'altro, e saperne cogliere la volontà vivificante anche tramite un silenzio recettivo, una condizione di recepimento che non si identifica in un immobilismo inerme, ma piuttosto in una posizione astinente grazie alla quale è possibile entrare nelle altrui profondità, comprenderne i meandri e riuscire ad indossarne le vesti affettive, in una dimensione generativa. L'ascolto affettivo e rivalutante rappresenta il principale mezzo di ogni terapia, clinica o di meramente supportiva. Non è necessario perseguire un cambiamento radicale in vista di un progetto futuro: è sufficiente perseguire una risintonizzazione di Sé attuata mediante un riesame globale e progressivo della vita, nella finalità di orientare questioni problematiche, conflittuali, disorganizzate in una direzione sintetica e riappacificante. L'anziano deve essere aiutato ad accettare, talvolta, la non possibilità di cambiamento. Deve essere coinvolto in un processo di accoglimento del presente e del passato, creando il filo narrativo di un'intera esistenza, in modo da inserirla in un contesto coerente e significante che generi vissuti di riappacificazione ed accettazione consapevole. Il concetto di successfull aging, intesa come la capacità di trarre, anche da un'età potenzialmente critica come quella della senescenza, frutti di generatività e benessere, non è poi così impossibile da raggiungere. Infine... non è la fine"La vecchiaia sorprende gli uomini quando nello spirito non sono ancora cresciuti e li coglie impreparati e inermi. Non lo avevano previsto, infatti. E si trovano dentro da un momento all'altro senza aspettarselo. Non si rendevano conto che la vecchiaia si avvicinava un po' tutti i giorni" (Seneca, Tempo). L'essere umano deve imparare a convivere con la realtà inesorabile della morte, inserendola in un'ottica che, per quanto non piacevole, riesca perlomeno a giungere a compromessi con l'inevitabilità del suo verificarsi. Allo stesso modo deve ritrovare la tenacia e l'amore per il Sé, in vista di un recupero di valori in grado di conferire dignità e speranza non solo alla senescenza, ma all'esistenza i ntera. È pertanto necessario operare un recupero vitale, credendo che il tempo a propria disposizione non sia limitato ad un compiacimento narcisistico delle "ricchezze" - sociali, estetiche, motivazionali - apportate dalla giovinezza, ma corrisponda piuttosto ad un costruire continuo e sempiterno, in cui è il progetto di vita, più della vita stessa, a svolgere un ruolo cruciale. Per riuscire nell'obiettivo è opportuno stemperare, a livello collettivo e culturale, i livelli di una pulsione perfezionistica mai abbastanza appagata, e promuovere un progetto motivazionale che sia in grado di potenziare il valore insito in ognuna delle fasi della vita. In caso contrario questo stesso valore vitale rischia di venir tralasciato, o inopportunamente perduto, con grave mortificazione dell'intera dimensione esistenziale. "L'uomo riconosce senza affanno la morte degli altri, ma non mostra la stessa capacità nell'accettare la propria" (Freud, 1915). È evidente come il concetto stesso di fine vita rappresenti uno schiaffo all'onnipotenza, una cocente deidealizzazione del Sé, un limite a quel vissuto narcisistico che spinge ad un'autovalutazione megalomane. Il cammino per accettarne la presenza ineluttabile è lungo, tortuoso, non privo di trappole e passi falsi. Per questo è necessario intraprenderne il percorso sin dalla giovinenzza, promuovendo la sostituzione del concetto mortificante di fine con quello ben più produttivo di finitudine, intesa come esperienza trasformativo-poietica grazie alla quale l'illusione generativa trova una nuova e più ampia funzione: iscrivere il proprio contenuto vitale nella tradizione interna dell'altro, disegnando i confini di un Sé radicante e transgenerazionale, capace di trascendere il tempo e la morte senza venirne sconfitto (Vianello, 2021; Crocetti, 2019). "Tenendo presente che l'esperienza del vivere e quella del morire sono strettamente intrecciate, non sfuggirà come solo quest'ultima appartenga al contesto della prima, e non viceversa" (Vianello, 2021, p. 207). Dunque solo il morire appartiene al vivere. La vita, forte di un infinito potere creativo e trasformativo, è destinata a non conoscere fine, né confine. Bibliografia
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