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Il mito dell'ermafrodita: analisi
scritto da:
Dott.ssa Patrizia Napoleone
psicologa e psicoterapeuta - Pisa
- HT page Napoleone Patrizia
Articolo tratto da psico-pratika - Numero 1 Anno 2002
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il mito dell'ermafrodita - parte 1
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il mito dell'ermafrodita
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Integrazione dell'individuo (uomo e donna) nella relazione di coppia - miti e leggende
Tecniche di induzione del sogno lucido
- II Parte: Metodi e tecniche
- Quadro 1. Lei è depressa, a lui fa comodo: i vantaggi secondari;
- Quadro 2. Non vado d'accordo con mio marito. Torno da mia madre!: un modo per non crescere;
- Quadro 3. Davanti a me ho ancora mio padre - sei troppo diverso da lui, mio padre si' che era un uomo: gli stereotipi familiari;
- Quadro 4. Io sono ok. Tu non sei ok.: il ruolo del genitore e del bambino;
- Quadro 5. Ma perché non mi capisci?: è solo una questione di linguaggio?;
- Quadro 6. A che gioco giochiamo? Vittima e carnefice, Tribunale, Crocerossina, Occupatissimo, Burrasca, Silenzio, Guarda che mi hai fatto fare;
- Quadro 7. Noi non litighiamo mai…: c'è qualcosa sotto.
Mi risveglio molto in fretta da questo oblio.
Metto frettolosamente a posto una memoria, uno smarrimento.
Una parola (classica) ha origine dal corpo, che esprime l'emozione d'assenza: "sospirare":
"sospirare per la presenza corporea":
le due metà dell'androgino sospirano l'una per l'altra, come se ogni respiro, incompleto, volesse confondersi con l'altro:
immagine dell'abbraccio, in quanto esso fonde le due immagini in una sola:
nell'assenza amorosa io sono, tristemente, un'"immagine staccata", che si secca, ingiallisce, s'accartoccia.
Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso
I Parte: Analisi
La coppia oggi: quando se ne incomincia a parlare, il discorso diventa immediatamente difficile, perché la "coppia" è un sistema delicato e complesso, in cui si devono considerare diverse dinamiche in gioco: quelle individuali - infatti nella coppia l'individuo deve continuare a esserci -, quelle interne e anche quelle esterne, cioè derivanti da tutto il mondo che circonda la coppia e dal quale non può isolarsi, pena l'impoverimento e quindi il decadimento della coppia stessa.
Vista tale complessità, non stupiamoci allora della difficoltà delle relazioni al suo interno, anche perché la coppia si costruisce su una relazione comunicativa che non può prescindere dall'intimità, intesa come sicurezza, confidenza, empatia, cioè la capacità di entrare nel sentire dell'altro e, nel contempo, di rispettare la libertà e la diversità di se stesso e dell'altro, capacità non certo facile a esercitare.
Le statistiche sulla coppia oggi non sono affatto incoraggianti e sono proprio li' a dimostrare le difficoltà inerenti questo rapporto.
La percentuale del divorzio è del 50%.
L'altro 50% sarà soddisfatto? Forse il 20% di questo restante 50% continua a stare insieme soltanto per i figli? Forse l'altro 20% non si separa per interessi economici? E del 10% restante? Che dire? Quanti hanno relazioni extraconiugali? Quanti sono rassegnati, depressi o somatizzano malattie?
Scoraggiante!
Allora perché l'uomo e la donna si cercano, perché si sposano o comunque diventano compagni di vita, per fortuna, anche con entusiasmo e, nonostante tutto, con il loro carrettino carico di progetti e di desideri?
La risposta è elementare: è così, semplicemente: siamo di fronte a un bisogno primario e imprescindibile - Natura e Cultura ci hanno costruito per la relazione.
Fromm nè L'"arte di amare" dice che se l'uomo è conscio di se stesso, si sente entità separata dal Tutto della Natura e la ricerca della relazione è anche ricerca di ricongiungimento dell'Uno col Tutto. Potrei qui citare un poeta, Montale, che simbolicamente trasfigura noi uomini in "ossi di seppia" rifiutati dal mare, il Tutto acquoreo, e da qui nasce la solitudine esistenziale; potrei anche ricordare l'antico mito del dio ermafrodita in cui perfettamente e armoniosamente congiunti erano il maschile e il femminile, che un altro dio invidioso separò, provocando lo squilibrio, l'ansia di solitudine e la ricerca di ricongiungimento.
Fatto sta che nella relazione uomo - donna c'è quell'energia motore, senza la quale la specie umana si sarebbe presto estinta.
Oggi, sul piano socio - culturale siamo approdati a un'epoca nuova, critica e difficile per la coppia, ma anche, nonostante le statistiche, ricca di potenzialità costruttive verso un progetto fondato sulle ragioni dell'amore, se saremo buoni traghettatori, come sempre succede nei passaggi di guadi.
Infatti, grazie anche all'emancipazione della donna con il lavoro, almeno nell'area del mondo economicamente più avanzata, diventare coppia non è più regolato da scopi esterni alla relazione uomo - donna, come invece nella vecchia istituzione familiare, che un tempo costituiva una cellula economica da cui dipendeva la sopravvivenza di tutti i suoi membri, con l'obbligo che ne derivava rispetto all'erogatore di un unico reddito. Oggi, venute in gran parte meno queste necessità, lo scopo è la relazione in se stessa. Una relazione creativa, dalla quale nasca nei due individui coinvolti qualcosa qualitativamente significativo che prima, come individui, non c'era, ma che sia anche frutto dell'indipendenza di chi forma la relazione. Dice Fromm che questa si ha quando "posso stare in piedi o camminare senza bisogno di grucce, senza dover dominare o sfruttare un'altra persona: l'amore è figlio della libertà, mai del dominio".
Potremmo dire che il rapporto di coppia non segue le regole matematiche dell'uno più uno uguale a due, poichè non è la somma, in termini quantitativi, di due individui, ma qualcosa di diverso e di più, in termini di qualità, e tanto meno è una relazione dove o si domina o si è dominati.
Come si fa allora a costruire una 'relazione creativà?
È proprio partendo dal riconoscimento e dall'apprezzamento nell'altro della parte che è minore in noi (il femminile o il maschile) che possiamo avvantaggiarci dell'energia diversa dell'altro sesso e nel medesimo tempo continuare a coltivare, anche da soli, noi stessi e gli interessi che derivano dalla nostra identità sessuale e socioculturale.
Si tratta di un rapporto di integrazione, all'interno del quale vanno costruendosi interessi e attività che la coppia porta avanti insieme lungo un percorso di comune crescita, che prende inizio dalla condivisione del quotidiano e dall'intesa sessuale, ma che va anche oltre, fino a creare i valori, non dei due individui nella loro separatezza, ma della coppia stessa.
Questo è il punto di forza ma anche di debolezza della coppia di oggi; perciò ho parlato di epoca di traghettamento e della necessità di addestrarsi a essere buoni traghettatori.
Infatti, non più sostenuta da puntelli e scopi esterni alla relazione stessa, la coppia si scopre quale essa è: si sfalda se non esiste nella sostanza o diventa un camicione contenitivo se è in funzione di bisogni impropri e non un luogo di espressione e di comunicazione creativa quale dovrebbe essere.
La complessità è comunque ancora più a monte. Il significato di "uomo" non si esaurisce tutto nel genere "maschile", così come quello di "donna" nel genere "femminile". Dire maschile e femminile non significa perciò dire uomo e donna; infatti non si tratta soltanto di una differenziazione fisica, organica ed emotiva, ma fondamentalmente psichica.
Per parlare in termini junghiani, l'archetipo del maschile è l'"animus" e l'"anima" quello del femminile, intendendo per archetipo l'immagine arcaica iscritta dalle origini nella psiche collettiva, in cui, per dirla con Hilmann, è prescritto il nostro destino personale.
I caratteri del maschile, l'animus, sono la forza, l'azione, il verbo, il pensiero e derivano dal Logos; quelli del femminile sono l'indifferenziata e ciclica simbiosi con la Natura che deriva dall'Eros. Ma tali caratteri non sono così separati come si potrebbe pensare secondo
la differenziazione dei sessi: il maschile e il femminile, come energie psichiche inconsce e come funzioni psichiche consapevoli coabitano nell'uomo e nella donna: l'anima è anche quel "femminile" che fa parte dell'uomo come sua femminilità inconscia e così l'animus per la donna. "Nessun uomo" dice Jung "è tanto virile da non avere in sè nulla di femminile", anzi è da dire che "la rimozione dei tratti femminili fa sì che queste pretese controsessuali si accumulino nell'inconscio. Allora l'immagine della donna diventa per l'uomo il ricettacolo di queste pretese e l'uomo nelle sue scelte amorose soggiace alla tentazione di conquistare quella donna che meglio risponde al particolare carattere della propria femminilità inconscia". Questa stessa cosa avviene nella donna che proietta il suo "animus" inconscio sull'uomo che trova più simile al suo materiale maschile proiettato.
Più sono estremizzati i caratteri naturali e primitivi del proprio sesso e rimossa e respinta nell'ombra la propria parte controsessuale, più il maschio e la femmina sono dipendenti l'uno dall'altra, in quanto affidano all'altro il compito di agire una parte di se stessi che non conoscono. Gli uomini per le donne e viceversa sono allora soltanto tramiti, passaggi attraverso i quali accedere alla parte maschile o femminile non riconosciuta e non rielaborata di se stessi. Se mi si concede un esempio che potrebbe sembrare scherzoso, porto quello di Tarzan e Jane, l'uno il prototipo del maschile in assoluto, senza mediazioni, l'altra del femminile. Ma nè Tarzan, così "macho", nè Jane, così "femmina" sono persone intere, in cui sia avvenuta un'integrazione: nella donna del suo "maschile",
nell'uomo del suo "femminile", come processo di riappropriazione che è fonte di creatività e di armonia, senza il quale nella coppia si producono legami simbiotici e di dipendenza. La mancata integrazione porta all'unilateralità, come nel caso di Tarzan e Jane, ma può portare anche all'impossessamento della propria persona da parte della figura inconscia non riconosciuta, dando la preminenza a quei tratti che sono considerati caratteristici del sesso opposto: è il caso dell'uomo troppo sentimentale che esprime il suo "femminile" inconscio nella ricerca lamentosa di protezione da parte della donna; è il caso della donna rigida, dogmatica, castrante, incapace di stabilire veri rapporti erotici con l'uomo. L'uomo, in questi casi, ha rinunciato al suo "logos" e la donna al suo "eros" e la forza inconscia controsessuale agisce distruttivamente nei confronti della loro identità sessuale.
Da tutto ciò si deduce che la prima relazione uomo - donna si ha dentro noi stessi e si elabora nel riconoscimento, accettazione e integrazione della nostra parte controsessuale. Questo rende l'uomo e la donna anche indipendenti da quello che si deve o non si deve fare secondo i canoni collettivi e patriarcali e, nel rapporto di coppia, permette di scegliere, e non di subire, come essere uomo e donna.
Solitamente la relazione con l'altro da sè nell'innamoramento è una proiezione che spesso è immediatamente preceduta dal cosidetto "colpo di fulmine" e seguita dall'illusione.
Questa è una fase transitoria in quelle relazioni in cui l'inizio seduttivo, proiettivo e simbiotico verrà traghettato verso l'intimità, dove la dipendenza per il soddisfacimento dei bisogni reciproci si evolve in rispetto della diversità e della libertà dell'altro.
Molti però, direi troppi, non reggono l'urto della caduta delle illusioni perché non hanno maturato una personale integrazione e consapevolezza. Una proiezione infatti nasce da un'immagine inconscia e collettiva e non può coincidere con un individuo. La discrepanza tra l'ideale e il reale genera il conflitto, che non è in sè negativo, ma necessita di rielaborazione e di differenziazione tra la realtà e la proiezione, il riconoscimento della propria parte controsessuale e del ruolo che questa svolge a livello di personale consapevolezza, infine una valutazione delle autentiche parti del partner reale con il quale si vuole stare in contatto e se lo si vuole veramente.
Si sono scritti fiumi di parole sull'uomo, la donna e la coppia con analisi sempre più aggiornate ai contesti economici e socio - culturali nei quali la coppia è inserita, ma vorrei qui prestare attenzione a quel prodotto dell'immaginazione e dell'esperienza collettiva che sono i miti e le antiche leggende, dove troviamo rappresentata l'espressione dei modelli psicologici fondamentali. Ebbene, l'individuazione dell'uomo e della donna, se riandiamo nella notte dei tempi al mito platonico dell'ermafrodita originario, scisso in due sessi diversi, nasce dalla ferita, dall'accettazione della ferita di separazione, con la nostalgia per l'assenza e l'ansia di ricongiungimento. Sembra che nel progressivo elaborarsi dei miti e leggende in cui misteriosamente si sono iscritti nel tempo i destini dell'uomo e della donna, la "ferita" sia sempre presente.
Questa traccia rossa troviamo nella leggenda del re Pescatore, Amfortas, sovrano nel castello del Graal, che è stato ferito all'inguine, praticamente castrato e il cui regno è in pericolo.
Il simbolo sotteso alla leggenda vuole mettere in evidenza come il benessere del regno dipenda dalla virilità del re, è il suo potere e ha una funzione salvifica, che viene meno se la virilità è menomata e ferita.
In questi tempi, in occidente, il significato della leggenda sembra essere venuto a una nuova attualità.
Lo psicoterapeuta Risè afferma che la maggior parte degli uomini occidentali oggi sono re Pescatori: hanno proceduto lungo il loro sviluppo maschile ma, a metà strada, hanno incontrato qualcosa che è più grande di loro e la loro mascolinità ne è rimasta ferita.
Passando dalla leggenda alla storia e alla cultura in cui siamo inseriti possiamo elencare le cause di tale condizione: la fine della famiglia patriarcale, i cui membri dipendevano e si organizzavano verticalmente intorno al "maschio" padre o padrone: figli, moglie, sorelle; la fine della funzione dei ruoli maschili socialmente riconosciuti e della loro preminenza (potere militare, politico, economico).
Gli effetti sono stati nel maschio il disorientamento e lo smarrimento di fronte a un vuoto di potere e a una inettitudine al cambiamento, mentre le alternative di trasformazione sono rimaste nell'ombra perché fanno paura, vengono rimosse, ingoiate dentro, dove diventano oscuri nodi complessuali oppure sono proiettate negativamente sulla controparte sessuale, la donna, incolpandola della nuova condizione di re senza scettro.
Ma la ferita è anche una "felix culpa", una "ferita" che è anche "feritoia", come la chiama Carotenuto, «un minuscolo varco che ti consente
di tenere d'occhio il tuo mondo interiore, di scrutare e indagare la parte più misteriosa e segreta di te stesso, la parte "sommersa"» perché si apra la via al processo di trasformazione: dalla coscienza ingenua alla coscienza di sè.
Nella leggenda questo percorso è rappresentato da Parsifal, che si allontana dalla madre per compiere la sua missione di cavaliere e sarà il salvatore del re Pescatore. La madre lo libera della sua protezione, gli dona un abito filato da lei stessa da portare sempre indosso.
Parsifal, fra le molte avventure, incontra il Cavaliere Rosso, simbolo-ombra del "maschile", forza potenzialmente distruttiva, lo sfida e lo vince.
Sotto il velo della leggenda si iscrive una grande verità: per diventare uomini bisogna lottare con l'Ombra del Cavaliere Rosso, senza tuttavia rimuoverla, perché significherebbe la rimozione della propria aggressività ( da 'adgredior': procedo, vado avanti).
Con l'emancipazione della donna e anche, almeno in certe aree, con la femminilizzazione della società, è invece aumentato il "complesso materno".
Finchè l'uomo rimane avviluppato, in linea difensiva, nel "complesso materno", non può riappropriarsi della propria mascolinità e neppure mettersi in relazione con il femminile interiore, cioè i sentimenti, gli affetti, ed esteriore, cioè le donne reali.
Per "complesso materno" si intende il desiderio regressivo di ritornare a essere bambino, allo stato di dipendenza dalla madre. È il desiderio dell'uomo di lasciar perdere, il suo disfattismo, la sua richiesta che gli altri, le donne, si occupino di lui.
Tutto questo provoca nell'uomo un malessere profondo; oggi, in una società che tendenzialmente pone l'accento sul femminile, molti uomini cercano di delegare a una donna reale la loro realizzazione e ne restano insoddisfatti, perché nessuna donna può assumersi un ruolo che non può incarnare in quanto non è il suo, a meno che non si instaurino relazioni asimmetriche e di dipendenza.
Il risvolto più pericoloso di questa situazione di disagio dell'uomo è la risposta reattiva, violenta.
Il maschio "matrizzato", dipendente dalla madre, intesa questa sia come madre reale sia come idea che il maschio si fa della donna, può rappresentare l'eterno fanciullo; nella mitologia erano i fanciulli-fiore, Narciso, Giacinto, incapaci di amare se non se stessi e in maniera sterile; il loro destino ultimo è infatti un destino di morte, pensiamo al mito di Narciso, perché non si può amare se stessi se non attraverso l'amore per gli altri e la capacità di prendersi cura propria dell'adulto e di confrontarsi col diverso da noi.
Allora che cosa fare, per tornare, ma in maniera nuova, non replicante un passato improponibile, a essere maschi, padri, amanti, senza dipendenze, proiettive o reattive rispetto alla donna?
Come fare a uscire da questa frustrazione?
Simbolicamente il maschio deve andare alla riconquista del proprio "fallo".
Il maschio che non ha costruito una relazione positiva con la propria fallicità è oscillante e pauroso, ha paura del Cavaliere rosso, della sua aggressività e, senza integrarla in sè come forza equilibrata, la nega e si mette in dipendenza della donna oppure la esaspera, ma in maniera separata dalla mente e dagli affetti, ne viene come impossessato perché non la sa gestire e può diventare violento o semplicemente diffusivo, affettivamente inconsistente.
Oggi, in una società di immagine, si assiste anche al fenomeno dell'esibizione del corpo fallico maschile - il maschio che cura con la palestra la sua struttura muscolare, che si preoccupa di avere le giuste dosi di proteine, di ormoni, e, secondo l'età, anche di Viagra in funzione di buone performance sessuali, ma può trattarsi soltanto di un camuffamento del disagio per la propria inconsistenza maschile. Può accadere allora che questo tipo di uomo viene "usato" e non amato dalle donne, a causa della sua avarizia sentimentale ed emotiva, allora si sente solo come un cane.
Potremo usare le parole forti di Risè, quando prende in considerazione questi comportamenti maschili oggi diffusi: "questi uomini si sono castrati con le proprie mani, pensando anche di fare un buon affare", perché, riconoscendo passivamente la scalata compiuta in questi decenni dalla donna e non interagendo con lei, le affidano, come per alleggerirsene, responsabilità proprie.
Se l'uomo non si distacca dalla dipendenza materna e non riesce ad assumere la posizione fallica, che è generosità, prendersi cura di, paternità, rimane prigioniero dell'atteggiamento fondamentale di quella relazione: la richiesta verso di lei, il bisogno che la madre deve assolvere, la protesta anche violenta quando non lo fa.
Egli si comporta come se tutto il mondo fosse un grande seno che lo deve rifornire di alimento, senza chiedergli nulla in cambio e senza smettere mai.
Ma il maschio eterno figlio della madre è destinato a sperimentare spesso la frustrazione.
Le mamme da cui egli perennemente dipende, la fidanzata, la moglie, l'azienda, l'Associazione, la stessa madre, prima o poi esauriscono l'energia e lo lasciano a bocca asciutta; o peggio, profittano del suo stato di continuo bisogno per renderlo succube.
C'è una sola donna che potrebbe amare quest'uomo: il tipo "crocerossina", la donna che ama storie con un uomo debole, interiormente povero perché questo gratifica il suo senso di potere. Ma si sarebbe di fronte a un rapporto asimmetrico e fonte di reciproche frustrazioni.
Parsifal, per non essere deriso dalle donne che incontrava, dovette togliersi l'abito che la madre gli aveva detto di portare sempre indosso.
L'uomo deve riappropriarsi del proprio spazio maschile interiore e fare agire l'immagine interiore del padre.
Anche per spiegare la situazione in cui si trovano oggi le donne possiamo partire da un mito antico, quello di Amore e Psiche; anche qua l'attrazione - separazione è segnata dal varco rosso della ferita. Psiche è una fanciulla tanto bella da suscitare l'invidia di Venere, che la espone su una roccia in cima a una montagna, dalla quale viene salvata da Eros, figlio della stessa Venere, che di lei si innamora e la trasporta in un palazzo incantato, dove ha tutto, compreso l'amore del suo sposo, che però non deve mai vedere e i loro rapporti avvengono soltanto nel buio della notte; quando Psiche si avvicinerà a Eros con una lampada mentre dorme, la sua curiosità sarà punita: una goccia d'olio bollente cadrà sulla spalla di Eros che nel ferirsi si risveglierà e punirà Psiche con l'abbandono.
La nostra storia ci parla della scoperta di un dio in quello che nel buio era stato temuto come un mostro.
È l'iniziazione all'amore sessuale, prima temuto come divorante e poi, nella scoperta dell'innamoramento, così profondamente toccante da attribuire all'amante qualità al di sopra dell'umano tanto da diventare dolorosamente consapevoli dell'impossibilità del rapporto, perché, si potrebbe dire, troppo grande, quando è bello, quando sembra alla donna quello giusto per lei; in ultima istanza è allora che ne è soverchiata. A questo punto incomincia l'iniziazione di Psiche imposta da Venere attraverso il superamento di quattro difficili prove al compimento delle quali, presa da un sonno profondo che la porterebbe alla morte, interviene a salvarla Eros.
L'amore si realizza quando Psiche muore alla sua preoccupazione fanciullesca nei confronti della propria bellezza, innocenza e purezza e si lascia coinvolgere dalla complessità della vita, si confronta con il compito stesso dell'individuazione, che è anche riconoscere in sè, e non in un dio che la possieda, la forza e la capacità di riscatto.
Soltanto allora quello stesso dio, l'amore, la salva.
Se la donna vive anche interiormente il maschile come rimosso, rifiutato, in Ombra - si pensi al buio in cui Psiche aveva rapporti con Eros - difficilmente si individua anche come donna capace di mettersi in relazione con l'uomo.
Questo, come accade all'uomo nei confronti della madre, può avvenire con un padre assente o troppo incombente, sviante o prevaricatore, resta comunque come l'ignoto terrifico.
A questa situazione la donna può reagire inconsapevolmente cercando di fare da madre al proprio uomo per tenerlo in una dipendenza infantile che può controllare.
Oppure il maschile si manifesta interiormente in modo reattivo, ribelle e contestatore; la donna non riesce a prendersi la responsabilità di se stessa e della sua vita, ma rimane in un atteggiamento di opposizione infantile e di critica sterile.
Il femminismo pretendeva la realizzazione di una donna in sè e per sè, che non abbia bisogno del mondo maschile, negando la relazione con il diverso che è fonte di ricchezza e di trasformazione.
La donna autosufficiente non è quella che nega l'altra metà di quell'essere perfetto che era l'ermafrodita, il maschile, che, separato, provoca sofferenza come una presenza - assenza fantasma, ma è quella che riesce a essere una cosa con se stessa, senza rinunciare, anzi, coltivando la relazione con il maschile sia interiore che esteriore.
È una donna che ha incominciato a occuparsi delle cose per propria scelta, rifiutando di farle solo per amore di un uomo, e questo va bene, ma, attenzione, nella misura in cui la donna sacrifica l'eros ( che la caratterizza ) ne deriva un intellettualismo rigido e dogmatico, un'incapacità di stabilire rapporti erotici: è tagliata fuori dalla vita dei sentimenti e dalla propria natura.
La donna, se vuole compiere uno sviluppo che non sia unilaterale e snaturante per lei, non deve negare a se stessa oltre che all'uomo, il mondo dell'eros.
Occorre però una resistenza alla modalità femminile di vivere l'Eros come stato di identità con l'altro in cui ogni distanza è annullata e la donna rischia di perdere la consapevolezza di sè e la capacità di distinguersi dall'altro come individuo a se stante.
Ricordiamoci il mito di Psiche e il suo destino di smarrimento quando scopre stupefatta Amore.
La relazione è invece possibile soltanto quando esiste una distanza psichica.
Invece, senza distinzione tra l 'io e il tu, non può esistere rapporto nè scambio.
Questo lo si vede anche alla fine di una relazione in quelle donne che si sentono distrutte e perdute in seguito al crollo del rapporto di coppia.
L'equilibrio della donna consiste anche nella capacità di porre una distanza nel rapporto d'amore. Ciò non significa sacrificare il proprio sentimento, ma divenire più cosciente di sè e del proprio valore.
Senza distinzione fra sè e l'altro non può esistere nè coscienza di sè nè sviluppo della personalità, nè vera relazione.
Tuttavia sono ancora troppo poche le donne che hanno raggiunto questo grado di consapevolezza.
Purtroppo molte vivono la situazione di coppia nella tradizionale condizione di simbiosi, oppure vogliono emanciparsi in modo drastico dal loro ruolo biologico, senza accorgersi che a questo l'inconscio può reagire con una vendetta dell'istinto e del corpo femminile negato.
La donna ha bisogno di superare il rischio - implicito nella sua complessità - di frammentazione, dispersività, disarmonia, non attraverso una riduzione mutilante e alienante della sua natura, ma con un sentimento unificante di amore verso di sè e verso l'altro, senza lasciarsi sviare dal fatto che l'uomo è sconcertato e disorientato dalla molteplicità inafferrabile dei suoi aspetti.
Continua con la parte II, Metodi e Tecniche.
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il mito dell'ermafrodita
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