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I disturbi della consapevolezza di malattia

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I disturbi della consapevolezza di malattia

L'articolo "I disturbi della consapevolezza di malattia" parla di:

  • Anosognosia: storia e definizione
  • Teorie di riferimento e manifestazioni cliniche
  • Valutazione e mancanza di consapevolezza
Psico-Pratika:
Numero 61 Anno 2011

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Articolo: 'I disturbi della consapevolezza di malattia'

A cura di: Aurora Martina Meneo
MANIFESTAZIONI CLINICHE

I casi documentati hanno evidenziato che le manifestazioni cliniche di questo disturbo possono variare molto da paziente a paziente, così come la selettività e il livello di inconsapevolezza del deficit motorio: l'anosognosia, ad esempio può manifestarsi solo in relazione alla plegia5, ma non per altri deficit concomitanti (Bisiach e Geminiani, 1991; Berti et al., 1996; Marcel et al., 2004), può interessare l'arto inferiore ma non quello superiore o viceversa (Bisiach et al., 1986b; Berti et al., 1996) e può presentarsi indipendentemente sotto forma di diniego verbale o comportamentale (Bisiach e Geminiani, 1991; Berti et al., 1996; Vuilleumier, 2000).
Da una parziale ammissione delle difficoltà, il più delle volte attribuita a cause diverse da quella reale (stanchezza, indisposizione temporanea), si può arrivare a una totale negazione del deficit, con una sopravvalutazione delle proprie abilità o delle possibilità di recupero e convinzioni errate che, resistendo anche alla logica e a prove concrete della loro inadeguatezza (Ramachandran e Blakeslee, 1998), rasentano la confabulazione (Berti et al., 1998).

Molti pazienti anosognosici possono mostrare reazioni psicologiche patologiche, come un'apparente mancanza di preoccupazione ed interesse nei confronti dell'arto plegico, definita "anosodiaforia" (Bisiach e Geminiani, 1991) o, all'opposto, un'ostile avversione nei confronti di esso, atteggiamento che prende il nome di "misoplegia" (Critchley, 1974).

Possono manifestarsi fenomeni deliranti e allucinatori concernenti lo spazio corporeo controlesionale, nei quali il paziente può affermare che l'arto appartiene a qualcun altro, negarne l'esistenza (Gooddy e Reinhold, 1952), o asserire che é stato sostituito da una struttura di natura non organica (Ehrenwald: citato da Hécaen et al., 1954).
Questi atteggiamenti sono definiti "somatoparafrenie" (Gerstmann, 1942).

Se tali manifestazioni siano parte di uno stesso fenomeno primario o se siano reazioni secondarie concomitanti ad esso non è ancora chiaro.

VALUTAZIONE

Per molto tempo la valutazione del disturbo anosognosico si è basata su resoconti verbali dei pazienti stessi, in grado di evidenziare esclusivamente la presenza esplicita di un deficit di consapevolezza, senza rilevarne le caratteristiche peculiari.
Di pari passo con una crescente necessità di rigore scientifico sull'argomento, molti autori si sono impegnati nella costruzione di strumenti in grado di valutare in maniera adeguata le diverse dimensioni del fenomeno.

Anche in questo caso, la maggior parte degli strumenti è stata costruita in riferimento all'anosognosia per l'emiplegia.
Il questionario di Cutting (1978), uno dei primi costruiti, ad esempio, indaga oltre alla generale consapevolezza del deficit anche il manifestarsi di fenomeni come l'anosodiaforia e la misoplegia.
Il famoso questionario elaborato da Bisiach e collaboratori (1986) individua la presenza di anosognosia classificandola su tre livelli di gravità.
L'Anosognosia Questionnaire (Starkstein et al., 1992) registra su una scala a quattro punti le risposte del paziente ad alcune domande e la sua performance nell'esecuzione di determinati movimenti.

Negli strumenti più recenti, come la Structured Awareness Interview (Marcel et al., 2004) o la Patient Competency Rating Scale (Borgaro e Prigatano, 2003) viene inoltre introdotto un confronto tra le risposte date dal paziente e una valutazione del medico o del caregiver.

Da questa breve e non esauriente panoramica emerge la frammentarietà degli strumenti attualmente utilizzati e la mancanza di una batteria diagnostica completa in grado di misurare l'anosognosia non solo in termini di presenza o assenza, ma attraverso una valutazione approfondita di tutte le sue possibili manifestazioni.

LA MANCANZA DI CONSAPEVOLEZZA NEI DISTURBI NEUROPSICHIATRICI

Come è stato evidenziato, la maggior parte delle ricerche sui disturbi di consapevolezza si è concentrata sull'anosognosia per l'emiplegia, mentre l'attenzione scientifica nei confronti dell'incidenza di questi disturbi nelle sindromi neuropsichiatriche è piuttosto recente.

Un campo in cui, attualmente, questo interesse trova un ampio riscontro empirico è quello delle demenze.

L'analisi dei disturbi di consapevolezza nelle malattie neurodegenerative assume una rilevanza particolare in quanto, a differenza dei casi di stroke o traumi cranici, in queste patologie essi si presentano in maniera progressiva e irreversibile.
L'anosognosia nelle demenze, al di là dei tratti peculiari riscontrabili nelle diverse forme degenerative, si manifesta con alcune caratteristiche comuni che comprendono una scarsa consapevolezza di alterazioni relative alla propria personalità e alla messa in atto di comportamenti sconvenienti o socialmente inadeguati (Reed et al., 1993), un'attribuzione causale erronea dei deficit mnestici e cognitivi (Gil et al., 2001), spesso collegata a una sottovalutazione delle limitazioni causate dalla malattia e alla mancata attuazione di strategie compensatorie (Marcovà et al., 2004) e la mancata ammissione verbale esplicita della propria condizione patologica (Kashiwa et al., 2005).

La valutazione dei disturbi di consapevolezza nelle demenze assume importanza sotto diversi punti di vista: a livello diagnostico, ad esempio, la scarsa consapevolezza dei disturbi può portare il soggetto a ignorare le difficoltà e non rivolgersi al medico, ritardando la diagnosi e, di conseguenza, l'inizio del trattamento; essa, inoltre, interferisce con la compliance al trattamento, compromettendone l'efficacia; infine, la presenza di anosognosia può mettere il soggetto in situazioni rischiose per la propria incolumità e in aggiunta ciò, molto spesso, provoca un importante aumento dello stress percepito dal caregiver.

Attualmente, gli strumenti più utilizzati per la valutazione dei disturbi di consapevolezza nelle demenze sono il Memory Questionnaire (Marcovà et al., 2004), che indaga la consapevolezza del paziente sul funzionamento delle sue abilità cognitive generali (memoria, linguaggio e funzioni cognitive) e le confronta con una valutazione del caregiver, l'Anosognosia Questionnaire for Dementia (Migliorelli et al., 1995), in grado di valutare le funzioni intellettive e il comportamento, la Clinical Insight Rating Scale (Ott et al., 1996) che indaga il motivo della visita, i deficit cognitivi e funzionali e la percezione della progressione della malattia e le Guidelines for the Rating of Awareness Deficit (Verhey et al., 1993), specifiche per la consapevolezza dei disturbi mnestici.

Un altro campo di ricerca interessante e "difficile", a causa della mancanza di strumenti validi e definizioni condivise, riguarda lo studio dell'insight nelle psicosi.
Attualmente, si parla di insight quando il soggetto psicotico è in grado di riconoscere di essere affetto da un disturbo mentale e di essere soggetto a esperienze patologiche e ammette di aver bisogno di cure.
Nella valutazione è importante distinguere ciò che Beck e collaboratori (2004) identificano come insight intellettuale, ossia la tendenza a ripetere meccanicamente ciò che è stato detto dai medici o dai familiari, da una consapevolezza vera e propria, detto emozionale.

Nelle psicosi, la patogenesi del disturbo di consapevolezza è stata affrontata da tre diversi approcci: da un punto di vista clinico, la mancanza di insight dipenderebbe dal processo patologico stesso; a livello neuropsicologico, essa è correlata a deficit neurocognitivi secondari a una disfunzione cerebrale; infine, in termini psicologici, l'assenza di insight è vista come una difesa messa in atto per proteggere il soggetto dallo stress provocato dalla malattia.

Un filone ancora poco esplorato riguarda lo studio dei deficit di consapevolezza nei disturbi dell'umore.
Peralta e Cuesta (1998) sono tra i primi ad essersi occupati dell'argomento rilevando in un campione di soggetti maniacali e depressi che i primi presentavano deficit di consapevolezza più evidenti rispetto ai secondi e che, mentre nel gruppo di depressi la presenza di sintomi psicotici determinava un ulteriore aggravamento dei disturbi anosognosici, ciò non risultava essere un elemento rilevante nel gruppo dei maniacali.

La compromissione della consapevolezza nei pazienti con disturbo bipolare rispetto a soggetti con depressione unipolare è stata confermata da altri studi (Amador et al., 1994; Michalakeas et al., 1994), alcuni dei quali hanno evidenziato come questa differenza sia più evidente nelle fasi acute della malattia (Sturman e Sproule, 2003).

Per la valutazione del deficit di insight nei disturbi dell'umore Sturman e Sproule (2003) hanno riadattato la Birchwood Scale per le psicosi, costruendo la Mood Disorders Insight Scale, una scala auto-compilata composta da item che esplorano la consapevolezza dei sintomi, la compliance e le attribuzioni causali sulla malattia.

Alcuni studi neuroanatomici hanno suggerito la possibilità che i disturbi di consapevolezza abbiano una patogenesi comune sia negli emiplegici che nei soggetti psicotici o affetti da malattie degenerative (Amador et al., 1993; Cosentino e Stern, 2005; Shad et al; 2006).
Nei quadri dementigeni, così come nelle psicosi, infatti, si evidenzia un coinvolgimento delle aree cerebrali frontali, così come avviene nell'anosognosia per l'emiplegia, ma ad oggi l'effettivo coinvolgimento di queste aree non è ancora stato spiegato in maniera esauriente.

Leggi la parte 3: Conclusioni
(I disturbi della consapevolezza di malattia )

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