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La tecnica; Valore del sintomo; Patto terapeutico; Resistenze
L'articolo " La tecnica; Valore del sintomo; Patto terapeutico; Resistenze" é tratto dalla rubrica
Spazio Psicoanalisi.
Nell'articolo si parla di:
- La tecnica psicoanalitica come l'insieme delle regole di un'arte
- Il rispetto per l'interezza del paziente
- Il valore del sintomo. Psicoterapia non per l'"adattamento sociale" ma per la "cura dell'anima"
- Il patto terapeutico
- Il prendere coscienza. Resistenze e trasformazioni del carattere
Articolo: 'L'approccio psicoterapeutico di Erich Fromm: La tecnica; Valore del sintomo; Patto terapeutico; Resistenze' (Pag 2)
Leggi la prima parte dell'Articolo: L'approccio psicoterapeutico di Erich Fromm
La tecnica psicoanalitica come l'insieme delle regole di un'arte
Fromm attribuisce alla sua caratterologia un rilievo teorico generale, ma non la cala nel rapporto col paziente, persona concreta,
diversa da tutte le altre, che va compresa nella sua individuale totalità, in un correlarsi spoglio da schemi e diretto,
"centro-contro-centro" (31), in modo da consentire l'apertura al paziente stesso, da immedesimarsi in lui.
L'analista è un uomo addestrato all'ascolto di altri uomini i quali, mentre consciamente gli comunicano ciò che è in
loro conscio, inconsciamente offrono elementi verbali e corporei per comprenderne la vita inconscia.
Il paziente, che prima di essere un malato è un essere umano, esprime la sua totalità, accorgendosene solo di una parte,
quella socialmente più accettata, mentre l'analista coglie anche l'altra e vi risponde, disponendo tutto se stesso secondo regole e
norme proprie di un'arte.
Un'arte perché si applica a processi esprimenti il moto della vita, come lo sono quelli psichici umani, consci e inconsci.
La parola "arte" è la più appropriata per indicare il trattamento di quanto è vivo, e in questo senso la applicazione
della psicoanalisi è un'arte come lo è la comprensione della poesia.
Un'arte si esercita secondo le regole costitutive della sua tecnica applicativa.
Il termine "tecnica" però ha subito un sottile e importante cambiamento: il suo significato è venuto spostandosi dalla messa
in pratica di regole su temi vivi al loro riferimento a oggetti meccanici, non vivi.
Perciò, non è appropriato parlare di tecnica a proposito della psicoanalisi, la quale si rivolge all'uomo, non a una cosa
morta (32).
Già con questa premessa di metodo, coerente con la sua impostazione critica rispetto alle teorie di Freud e con la sua visione
complessiva dell'uomo, Fromm si distanzia dalla psicoanalisi ortodossa anche in termini operativi e propone un'arte della psicoterapia
rispondente ai principi della sua filosofia umanistica.
Il "confronto vivente" attuato nel setting "visavis" col paziente, pur prevedendo l'analisi del transfert e delle resistenze, introduce
elementi fortemente caratterizzanti che conferiscono creatività e originalità alla sua psicoanalisi.
La regola base per praticare l'analisi come confronto vivente è che l'analista deve disporsi ad un ascolto complessivo
dell'analizzando, ricorrendo alla propria totalità di uomo intero che usa i sensi, le emozioni, l'intelletto, la fantasia.
Un ascolto globale, col "terzo orecchio", e anche un "ascoltare con gli occhi", per cogliere le comunicazioni non verbali, importantissime
e nel darle e nel riceverle, poichè "col solo esprimersi verbalmente non è mai guarito nessuno".
La capacità di fiutare dell'analista, che sensorialmente corrisponde all'intuito psicologico, restituisce al corpo il suo diritto
di presenza e di intervento in una analisi, perché ogni persona ha il suo odore che testimonia della sua unicità biopsichica,
cancellata dalla coscienza dallo stesso processo sociopsicologico che copre il reale odore della vita con i cosmetici, un ramo della grande
fabbrica delle illusioni odierne.
Frieda Fromm-Reichmann, che tanto era stimata da Fromm, "annusava" la psicosi dei pazienti (33).
Essenziale la concentrazione dell'analista, la cui mente, sgombra da pensieri estranei, ansie, preoccupazioni, può anche
abbandonarsi a una immaginazione libera, ma pertinente al rapporto e abbastanza concreta da prestarsi a una traduzione verbale.
Gli occorre capacità di empatia, per la quale non basta capire l'altro intellettualmente, con pensieri esprimibili in parole,
"così come non è possibile spiegare a un altro qual è il sapore del vino del Reno" (34); si possono
sapere tante cose su una persona, si può essere molto informati sulla sua vita, ma per conoscerla è necessario un movimento
di esperienza piena, una presa di contatto correlante, un immedesimarsi, un provare ciò che lei prova.
Analista e paziente appartengono entrambi al genere umano, affondano le loro radici nelle stesse dicotomie esistenziali, l'esperienza
dell'uno poteva essere l'esperienza dell'altro, sono innanzitutto due uomini a confronto.
Se l'analista "non sopporta" (35) dati aspetti del paziente è perché non li sopporta in se stesso e non riesce a riviverli
nel rapporto terapeutico, con la conseguente interruzione dello scambio empatico e la chiusura dell'accesso al paziente.
Vivere quel che il paziente vive è possibile purché l'analista abbia superato in una certa misura il suo narcisismo e riesca
ad amare tanto da non temere di perdersi nel toccare il cuore dell'altro, unico modo per conoscerlo.
L'arte sta nel togliere ogni formalismo e burocrazia al confronto e nel rendere le ore di terapia tra le più significative della
vita del paziente, di fronte al quale il terapeuta non perde occasione per fare "affermazioni radicali" in quel momento in cui l'"ancora
troppo presto" non si è repentinamente mutato nel "già troppo tardi".
Un 'affermazione radicale non è un discorso preconfezionato con inalterabile validità logica, ma è verbo emotivamente
carico che entra nell'aprirsi spontaneo di chi lo accoglie e ne resta modificato per la sua valenza di verità operante.
Il rispetto per l'interezza del paziente
L'arte della psicoanalisi, come ogni altra arte, implica rispetto per il soggetto a cui si rivolge, che è un modo per praticare
quel "rispetto per la vita" professato da Albert Schweitzer.
La deontologia di Fromm si spinge fino alla scelta di non pubblicare casi clinici, e per l'assoluta salvaguardia del segreto professionale
e, coerente colla sua visione complessiva, per non strumentalizzare, nemmeno nel modo più indiretto e legittimo nella letteratura
clinica, il paziente, pur garantito dall'anonimato.
Non adoperare mai l'altro, non manipolarlo, non etichettarlo: un modo di pensare e di fare.
Il paziente si presenta lamentandosi ed esprimendo nei suoi sintomi la intera personalità, dove premono natura e ambiente,
temperamento e carattere.
Talora la sofferenza del paziente è solo psichica, talaltra solo fisica o fisica e psichica insieme.
Rispettarlo significa ascoltarlo in modo partecipe e comprenderlo nel suo quadro di vita, nella sua situazione d'assieme, la quale
può inibire dati sintomi per incoraggiarne altri, nascondendo il malessere di base.
Una medicina troppo specialistica, centrata sul singolo organo, rischia di perdere di vista l'unità funzionante del corpo umano e
ancor più l'unità sociobiopsichica dell'uomo.
Fuorviante può essere anche un orientamento troppo unilaterale in senso psicologico, che dimentica il corpo, con la sua specifica
capacità di linguaggio simbolico.
L'approccio psicoterapeutico frommiano non esclude nessuna componente del paziente e si lascia suggerire dal linguaggio corporeo tratti
di carattere individuali e sociali e da questi e dai loro squilibri inferisce qualcosa sui sintomi fisici.
L'ispirazione psicosomatica di Fromm non è tematizzata in modo specifico nelle sue opere, però, diffusa negli esempi, nella
caratterologia, nelle discussioni con altri psicoanalisti, risulta presente nella sua visione complessiva dell'uomo, da cui discende uno
stile di intervento terapeutico attento al corpo quando il paziente riferisce problemi psicologici e attento alla psicologia quando parla
del corpo.
In questa prospettiva il terapeuta si fa "traduttore delle lagnanze" (36) del paziente, specialmente quando questi si sente
più accettato se si presenta come malato, socialmente legittimato a chiedere cure, partecipazione e comprensione.
L'uomo, regredendo nella malattia, esprime un'esigenza d'amore incondizionato, d'amore materno, e cerca nel medico o nello psicoterapeuta
la figura materna che garantisca la stabilità di rapporto e la sicurezza atte a fargli rivivere bisogni, paure, difficoltà.
Per dargli il senso di un rapporto sicuro e stabile non basta la gentilezza, comportamento socialmente invalso col quale viene repressa
l'aggressività per ripararsi nel conformismo ed evitare di farsi dei nemici.
Forse il paziente si è ammalato proprio per la sua gentilezza, per "aver mandato giù" (37) avvenimenti sgradevoli
senza reagire, paralizzando le sue energie che, anziché consentirgli un contatto sincero e vivo con l'ambiente, gli provocano
così malattie psicosomatiche, le quali trovano proprio nell'aggressività mascherata da gentilezza un terreno di coltura a
loro assai favorevole.
Per fare affidamento su una persona occorre non già che sia gentile ma amica, avvertire in lei una struttura di carattere pronta
ad offrire spontaneamente aiuto e affetto.
La malattia è dolore e il dolore appartiene alla vita.
Può essere occasione di una domanda su di sè, sul senso della propria esistenza e prestarsi come momento di condivisione
della sofferenze nel rapporto psicoterapeutico, quando lo psicoterapeuta sappia "compatire", soffrire assieme al paziente un dolore che
poteva essere suo come di qualunque altro essere umano.
Il paziente può cogliere la propria interezza quando vede l'esempio dell'interezza del terapeuta.
L'esempio ha, una forza comunicativa unica.
Non le parole del terapeuta infondono coraggio ma il suo proprio coraggio.
I suggerimenti di Fromm conducono ad una psicoterapia che supera se stessa, nella messa in moto della "piattaforma girevole" della
psicoanalisi che consente l'attivazione delle energie produttive umane e configura un suo aspetto transterapeutico (38).
Il valore del sintomo. Psicoterapia non per l'"adattamento sociale" ma per la "cura dell'anima"
Per l'analista c'è un fondamentale problema di scelta quando un paziente presenta sintomi che riducono la sua idoneità
alla vita sociale, così come è praticata dalla maggioranza delle persone, ritenute "normali": la salute del paziente va
riferita a tale norma ambientale disturbata dal sintomo, o questo denuncia il disconoscimento di altre norme, scaturenti dalla natura
umana e quindi valide per tutti gli uomini e non relative a dati contesti sociali? Fromm è molto netto in proposito: le persone
che non presentano sintomi esterni e si adeguano al comportamento prevalente devono in qualche modo stordirsi col lavoro o colle distrazioni,
evitando di stare sole con se stesse e guardarsi dentro.
In quanto esiste nella moderna società alienata e conformista una "patologia della normalità", l'assenza di sintomi
si paga al caro prezzo di una mancata autorealizzazione, nel soffocamento delle più intime aspirazioni e nella perdita di
integrità, cioè nella violata identità.
Il presentarsi di una malattia psicosomatica o di una nevrosi può significare che, nonostante tutto, è in atto un processo
di vitale protesta, c'è una patologia che segnala salute, da un punto di vista umano generale (39).
Se l'obbedienza all'autorità irrazionale, che trasforma le persone in automi illusi dal loro adattamento e successo, non genera
sintomi, la "coscienza umanistica", la voce dell'interesse radicale di ogni uomo ad essere se stesso, è tanto rimossa da tacere
anche inconsciamente, o da parlare così flebilmente che non si mettono in moto sensi di colpa inconsci provocanti disagi consci,
psichici o fisici.
Il malessere, la malattia possono offrire l' opportunità per iniziare una "cura dell'anima", cioè una psicoterapia che renda
conscia la disobbedienza della parte più riposta del paziente, che non è riuscito a trovare altra strada per affermare la
sua libertà che ammalarsi.
La coscienza umanistica di cui parla Fromm non corrisponde al Superio freudiano, che è più vicino alla coscienza autoritaria,
la quale da dentro all'uomo, poiché introiettata, lo spinge ad obbedire contro i suoi stessi interessi e mina la sua autonomia col
senso di colpa verso l'autorità irrazionale (40), col sentimento di indegnità e di autodisprezzo e col desiderio conscio e
inconscio di venire punito, che copre la paura della punizione e dell'abbandono tipica del vincolo simbiotico.
Il rapporto psicoterapeutico può porgere l'occasione al paziente per comprendere i suoi sensi di colpa derivanti dai tratti autoritari
del suo carattere e distinguerli da quelli per lesa umanità, i quali, resi coscienti attraverso l'atteggiamento maieutico del
terapeuta, anziché deprimere e abbattere, portano energie umane inattinte sul modello del "maestro del ritorno" talmudico, che ha
conosciuto il peccato e forte di questa conoscenza riprende la via del proprio essere se stesso (41).
Sollecitando nel paziente la propria attitudine a interrogarsi e a stupirsi, ad aprire gli occhi e guardare sè e il mondo in modo
diverso, non dando più per scontati il proprio modo di reagire, le proprie ansie, l'agire altrui, scaturirà da lui stesso lo
sperimentarsi nell'essere, il viversi come io unico che aspira all'unità cogli altri, con la vita tutta, col cosmo.
Questo punto alto promosso dalla psicoterapia frommiana è analogo all'esperienza religiosa vissuta al di là di ogni schema e
di ogni dogma, in essenza autonoma da ogni teismo, dove le polarità dell'individuale e dell'universale sono compresenti e tese alla
distinzione e all'unità ad un tempo: non la unità regressivamente cercata nell'inattuabile rientro nell'utero materno o
nell'impossibile rinuncia ai connotati umani per timore dell'individualità consapevole che questi comportano, ma l'unità
prodotta da un attivo amore che trascende l'ego, supera la modalità dell'avere e le sue barriere e pone un libero rapporto col
mondo (42).
La psicoterapia non è imposizione al paziente di una teoria con la quale spiegare i suoi sintomi o le vicende della sua vita,
ma il tentativo di destare la sua capacità di amare, di interessarsi al benessere delle altre persone, nell'esercizio di una forza
sua che sviluppandosi lo rende più libero di scegliere e più capace di pensare in modo autonomo, di produrre convinzioni
proprie sintoniche con la sua intera personalità, che prendono il posto delle opinioni che credeva sue ma in lui non avevano radice
perché provenivano dall'ambiente sociale.
La "libertà di", a differenza della "libertà da", che comporta solo assenza di gravami, di imposizioni e vincoli esterni,
è produttiva, propositiva e implica sollecitudine e interessamento, capacità di amare.
L'amore e la libertà stanno insieme, mentre l'odio, che viene dal narcisismo ferito, fissa, lega, impedisce, oppure conduce a
reagire, non ad agire.
Il prendere coscienza, nella psicoterapia frommiana, è una premessa che trova compimento nell'attività, nell'azione, nella
scelta concreta.
La stimolazione interiore promuove l'espressione produttiva, è vitalità che si accende ed esalta i tratti individuali della
persona.
La pialla dell'adattamento sociale non è compatibile con la creatività del singolo, il quale per adattarsi dovrà
rimuoverla e attendere la stimolazione dall'esterno che lo tolga dalla noia di cui è fatto il vuoto di vitalità socialmente
indotto.
La noia può essere più o meno conscia, più o meno attenuabile da uno stimolo esterno o da una distrazione; nei suoi
aspetti più profondi sfugge alla consapevolezza e talora dà luogo ad una frenetica ricerca di scopi esteriori e di pungoli.
Tale attivismo è funzionale alla società e legittimato, creduto sano per i suoi successi e atto a rendere felici, per cui
la persona sorride e si pensa realizzata, ma la discrepanza tra il suo comportamento e la sua depressione inconscia può manifestarsi
nei sogni o in sintomi psicosomatici o in fallimenti affettivi o familiari.
Queste situazioni possono offrire il punto di partenza per una psicoterapia ispirata umanisticamente, cioè non volta all'adattamento
sociale ma a svelare le "energie di riserva" inconsce che si sono ribellate.
Il patto terapeutico
Il confronto tra due persone sussiste e si sviluppa se avviene in un clima di franchezza e comprensione, dove certe gentilezze siano
smascherate per quello che sono, cioè modi di difendersi, e dove il sentimento di amicizia che anima il terapeuta sappia infondere
concretezza al dialogo, sorreggendo inevitabili zone d'attrito fra lui e il paziente.
Anzi, questi ha il diritto, quanto mai legittimo, di discutere su quel che afferma il terapeuta, e di lottare anche, rientrando nel processo
psicoterapeutico e contribuendovi la capacità del paziente di manifestare la propria aggressività, di cui vanno promossi gli
aspetti autoaffermativi.
Spesso questi restano repressi nella vita quotidiana, facendo così aumentare l'astio e l'ostilità, il senso di impotenza e
la paura di ribellarsi e di protestare, che inducono forme aggressive indirette e sadiche.
"Poichè l'aggressione autoaffermatrice accresce la capacità di raggiungere i propri obiettivi, diminuisce enormemente
l'esigenza del controllo sadico" (43).
Per lo psicoterapeuta è interessante osservare il grado di sviluppo dell'aggressività autoaffermativa, perché
può trarne indicazioni circa la struttura caratteriale del paziente e comprenderne i sintomi, specialmente quelli ossessivo-coatti,
la timidezza, le inibizioni.
La terapia delle persone che hanno difficoltà nell'esprimere direttamente e adeguatamente le proprie esigenze di vita
"per prima cosa, deve aiutarle a prendere coscienza di questo ostacolo, poi a capire come si sia sviluppato e, ciò che è
più importante di tutto, a capire quali altri fattori nel loro sistema caratteriale e nel loro ambiente lo sostengano e lo carichino
di energia" (44).
E' necessaria un'atmosfera nella quale ci si intenda bene entrambi e si faccia esercizio di razionalità, evitando interventi
suggestivi che limitino la portata della terapia non rendendola liberatoria.
L'analista si deve mettere a disposizione offrendo un rapporto stabile, basato su un patto terapeutico, i cui parametri essenziali sono:
la sua capacità di immedesimarsi nel paziente, la sincerità reciproca, il rispetto della libertà e
dell'individualità del paziente (45).
L'immedesimazione nel paziente sta in una attitudine vitalizzante del terapeuta, che non si pone come chi è sano di fronte a
chi è ammalato, o come chi è normale di fronte a chi è folle, ma crea un'atmosfera benevola e calda, dove poco importa
raccogliere informazioni "attorno" al paziente e molto invece sentire con lui, dandogli il senso della sua non estraneità, di essere,
come uomo, intuibile da un altro uomo.
Una interpretazione, per quanto profonda, è priva d'effetto se la atmosfera in cui ha luogo il trattamento è gravosa, morta,
noiosa (46).
La sincerità caratterizza la psicoterapia frommiana in quanto non consolatoria.
Il paziente non va tranquillizzato nè vanno abbellite le circostanze della sua vita; bisogna via via deluderlo, essendo la delusione,
cioè la caduta delle illusioni, la strada che porta alla verità.
Il paziente si difenderà in vari modi.
Potrà banalizzare Il suo discorso, chiacchierare, reagire alla vitalità del terapeuta con atteggiamenti grevi, con
razionalizzazioni insistenti, stancanti.
Il terapeuta potrebbe essere franco e osservare: "Prima che lei arrivasse ero fresco e riposato e ora sono stanco, come mai?".
Oppure il paziente potrà reagire con un forte rancore verso il terapeuta, conscio o inconscio, direttamente espresso, o inibito
in tutto o in parte, o tradotto in un lapsus o in un atto mancato, o rilevato in un sogno.
Fromm diceva: "Lei mi vuole mangiare con pelle e capelli" (47).
Il rispetto per la libertà e l'individualità del paziente sta nel non imporgli nulla, non dargli direttive o consigli,
come talora anche la sua passività vorrebbe; piuttosto va promossa la sua iniziativa.
Anche se il paziente a volte vuole essere trattato come un bambino, lui non è un bambino, e l'indispensabile regressione che si
verifica nella psicoterapia non deve impedire l'appello alla parte sana e responsabile, per quanto nascosta.
L'analista deve avere eliminato da sè ogni tratto autoritario, perché questo finirebbe col non lasciare che il paziente
diventi autonomo.
Anche il verbalizzare direttamente un incoraggiamento può far sentire il paziente in una posizione subalterna e mettergli in moto
delle difese, come l'assumere atteggiamenti competitivi.
Il coraggio va praticato, non verbalizzato; tra due persone che si confrontano ci sono risonanze dall'una all'altra, e così come
il terapeuta lascia risuonare in sè, senza timore, le angoscie e le paure del paziente, questi avvertirà che l'altro lo
comprende al punto di vivere i suoi stessi tormenti senza tirarsi indietro e potrà restare anche sorpreso che un altro uomo
comprenda proprio lui che è abituato a sentirsi considerato solo un nome o un numero, mentre ora è trattato come un
individuo al di là dei suoi dati anagrafici o del nome della sua malattia.
Se il paziente, specialmente all'inizio del trattamento, s'accorge di questa comprensione, allora l'analista trova un primo momento di
verifica sulla giustezza della via intrapresa.
Quando avvenga invece che una affermazione dell'analista non sia rispondente alla situazione e non dia esiti buoni, è meglio che
lo si riconosca apertamente.
Fromm diceva al paziente che si era sbagliato, affidandosi alla forza dell'onestà che favorisce la fiducia.
Il prendere coscienza. Resistenze e trasformazioni del carattere
Ciò di cui il paziente è conscio corrisponde per lo più alla "falsa coscienza" dell'uomo medio, a illusioni
e finzioni, mentre non è consapevole della sua realtà di uomo intero, universale.
Le sue esperienze sono strutturate socialmente e anche i suoi sintomi sono modellati sulla persona contingente, sociale, quale lui si
considera e quale è convalidata dal comportamento altrui.
La psicodinamica sociale che percorre l'interno dell'individuo lo scinde in modo da lasciargli conscia solo un'area socialmente condivisa,
illusoria e finta, nella sua estraneazione dal contenuto di umanità totale che gli vive inconscio.
Questa realtà umana universale soggiace a processi di rimozione socialmente condizionati dal filtraggio delle esperienze e dalla
manipolazione cerebrale dei vissuti, che si alienano nel corrispondente pensato e verbalizzato (48).
Dietro la superficie conscia e comportamentale del paziente l'analista dovrà scoprirne la struttura caratteriale, cioè
l'organizzazione persistente delle sue energie psichiche, con la quale, condizionato dalla società in tutte le vicissitudini della
sua esistenza dove pure agiscono incancellabili le particolarità del suo temperamento, egli risponde al quesito fondamentale
inerente alla vita umana.
E' una sorta di religione personale segreta che bisogna comprendere (49), di cui il paziente non è consapevole.
Se, di fatto, egli professa una data religione, questa potrà rivelarsi una forza molto vitale atta ad aiutarlo, ma potrà
anche solidificarsi in una resistenza al processo di scoperta dell'inconscio.
Gli sbarramenti che trattengono le componenti inconsce sono molto attivi, non vanno intesi nel senso statico di divisione in due della
mente, il conscio e l'inconscio sostantivati, ma configurazioni di forze agenti durature che assegnano le qualità di conscio o
di inconscio ai vissuti.
Restano inconsci non solo contenuti ritenuti malvagi, ma anche attitudini produttive e capacità di amare.
Bisogna distinguere ciò di cui una persona è conscia, che risulta da processi di alienazione e distorsione, da ciò
di cui "diviene" conscia, che è realtà sottostante, finalmente emersa alla sperimentazione consapevole.
Il terapeuta dovrà evitare di imbottire il paziente di spiegazioni e interpretazioni complesse, poichè la conoscenza
sperimentata trascende quella puramente intellettuale, del tipo in cui il "soggettointelletto" osserva se stesso come oggetto.
Il divenire conscio di un contenuto prima inconscio è un atto di scoperta totale, spontaneo, immediato: Fromm lo definisce
"de-rimozione" (50).
Ripetute derimozioni volgono alla coscienza successive componenti inconsce, così da trasformare "la semplice idea
dell'universalità dell'uomo nella vivente esperienza di questa universalità".
Si tratta della "realizzazione effettiva dell'umanesimo".
Il terapeuta si dispone come una levatrice, assecondando il processo di ulteriore nascita del paziente col fare via via emergere quel
che egli non sa di sapere.
Il metodo della libera associazione interviene sulla memoria vivente del paziente, che può sperimentare il carattere attivo e
operante dei nessi colti e l'inquietudine e l'angoscia che ne derivano: le cose che egli ricorda non stanno ferme come in un catalogo,
ma si muovono evocandone altre prima dimenticate, accostandosi le une alle altre in modi inattesi, conferendosi reciprocamente luce e
significati che allargano e ristrutturano l'area conscia.
Man mano che ci si avvicina a contenuti rimossi, a conflitti inconsci molto carichi, il paziente reagisce tentando in vari modi di
allontanare la sua attenzione e quella del terapeuta dal materiale sfiorato, oppure negandolo vivamente e talora rabbiosamente.
Inconsci sono il contenuto lambìto, la resistenza opposta al proseguimento in quella direzione e le ragioni di tale resistenza.
Le resistenze sono cariche energetiche che il paziente, o qualunque altra persona, oppone all'affermazione di una verità che
lo tocca e minaccia di sconvolgere il quadro conscio che ha in sè, il suo comportamento abituale e le razionalizzazioni,
cioè i motivi non veri, che lo giustificano.
E' richiesta al terapeuta molta abilità e molto tatto nel trattare le resistenze che continuamente si presentano durante il
processo analitico.
Sono momenti in cui il paziente può agire un'aggressività difensiva anche intensa, fino all'interruzione del rapporto
psicoterapeutico.
Egli va innanzitutto concepito come persona autonoma che ha tutti i diritti di andarsene, se crede.
E' pericoloso e lesivo per il paziente se il terapeuta lo vuole trattenere ad ogni costo, per un proprio non risolto problema di potere.
Può cadere opportuno un "dosaggio omeopatico" degli interventi del terapeuta, che avanzerà continue e calibrate offerte,
come il dirgli: "non ci crede nemmeno lei".
Il perché di una data resistenza del paziente andrà scoperto.
"Può darsi che abbia paura di essere punito, di non essere amato, o di essere umiliato qualora i suoi impulsi rimossi vengano
rivelati agli altri (o a se stesso, per quanto riguarda rispetto e amore di sè)" (51).
Vari sono i modi in cui si manifestano le resistenze: il paziente può arrabbiarsi molto; può evitare una seduta; può
sbadigliare e mostrarsi insonnolito, o avere freddo, o distrarsi; può allontanarsi dall'argomento e parlare di altro; può
fornire argomentazioni anche assai elaborate sui motivi di un suo comportamento, o di una sua scelta, o di una sua opinione.
L'analista coglierà i momenti per sottrarre al paziente una razionalizzazione dopo l'altra, una forma di resistenza dopo l'altra,
così da stringerlo dentro se stesso in modo che trovi un varco per sperimentare una sua realtà inconscia.
Spesso il processo dà luogo ad un'angoscia così intensa che solo la "presenza rassicurante" dell'analista la rende sopportabile,
consentendo l'apertura di quel varco.
Ma il sostegno è tutto nella presenza empaticamente partecipante alla presa di coscienza del paziente, non in parole che inibirebbero
l'esperienza che solo lui può fare (52).
L'analista può sostenere, immedesimarsi, ma non sostituirsi, questo è impossibile.
Ogni uomo solo in prima persona può sperimentarsi nella sua profondità, nessun altro può farlo per lui.
Non ci sono parole per comunicare questa esperienza così come viene vissuta; la "presa sul mondo immediata, diretta,
totale" non trova discorso che la renda senza distorcerla e alienarla.
La comprensione globale della psicodinamica del paziente non è una interpretazione o una ricostruzione attraverso i dati
anamnestici della vita del paziente e della genesi dei suoi sintomi, non ha carattere descrittivo, ma intuitivo.
L'analista si serve dei ricordi che il paziente rivive nella situazione analitica per scoprire i processi inconsci attuali, e solo se
questi diventano consapevoli anche per il paziente stesso si otterrà il risultato trasformativo che la semplice ricostruzione
storica non può dare.
I dati, le informazioni, i loro nessi, le loro successioni devono essere percepiti come le manifestazioni di processi vitali in una
struttura in movimento.
Va colta la complessità via via più limpida della personalità totale del paziente, dove i suoi sintomi, i suoi
comportamenti promanano dinamicamente dagli orientamenti caratteriali e dai conflitti profondi tra impulsi di temperamento e forze
rimoventi socialmente modellate.
E' una sorta di radiografia vivente del correlarsi di tutte le componenti cariche di energia nella risposta attuale del paziente al
quesito fondamentale della sua esistenza umana.
Questa sperimentazione totalizzante ed empatica della realtà del paziente sarà operante solo se il terapeuta riuscirà
a indurgliela affinché la viva in proprio come premessa per una trasformazione caratteriale, che avverrà però se
sarà via via fatta maturare anche da scelte pratiche conseguenti, dall'azione.
Per modificare i tratti del carattere, la presa di coscienza, per quanto profonda, sentita come espansione pur nell'angoscia delle
resistenze che cedono, non basta, si deve accompagnare al salto nell'azione, al cambiamento nel modo pratico di vita, a scelte di fatto
spesso dolorose, a rinunce, al soffrire la perdita di vecchi appoggi, di vantaggi che rinforzavano l'orientamento precedente.
Per esempio, una donna, che afferri pienamente la sua realtà di vita non vissuta perché fissata al padre, non riuscirà
a trasformare in senso produttivo il suo carattere e crearsi una esistenza nuova e soddisfacente se continuerà ad abitare con lui,
ad accettarne gli aiuti economici, a ripararsi nella sua compagnia per paura della solitudine; se non troverà il coraggio di compiere
un passo in avanti, con tutta l'angoscia che comporta, la presa di coscienza si potrà ripetere all'infinito, ma la struttura
caratteriale non cambierà.
La situazione assomiglia a quella di una persona che voglia imparare a nuotare e che abbia già ricevuto tutte le cognizioni
necessarie: se non si tuffa, se resta ferma sull'orlo della piscina a ripetersi quel che deve fare, ma ha paura e non si decide, tutto
quel che sa sul nuoto potrà anche tornarle utile, ma non le basterà per nuotare (53).
La psicoterapia frommiana si presenta esplicitamente come psicoanalisi del carattere volta alla trasformazione dei suoi tratti in senso
produttivo, affinché le riserve di energie umane liberate possano esprimersi e riempire il vuoto di esistenza che affligge sempre
più numerose persone nella società contemporanea.
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