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Test psicologici e questionari ad hoc nelle aziende

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Test psicologici e questionari ad hoc nelle aziende
Psicologia del lavoro: differenze tra test standardizzati e questionari e come crearne ad hoc a supporto degli interventi in azienda

L'articolo "Test psicologici e questionari ad hoc nelle aziende" parla di:

  • Situazioni in cui è utile disporre di questionari
  • Differenze tra test psicologici e questionari
  • Spunti per costruire le domande di un questionario
Psico-Pratika:
Numero 203 Anno 2024

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Articolo: 'Test psicologici e questionari ad hoc nelle aziende
Psicologia del lavoro: differenze tra test standardizzati e questionari e come crearne ad hoc a supporto degli interventi in azienda'

A cura di: Luisa Fossati
    INDICE: Test psicologici e questionari ad hoc nelle aziende
  • Introduzione
  • Quando un questionario può essere di aiuto?
  • Limiti dei questionari
  • Differenze tra Test psicologici standardizzati e Questionari ad hoc
  • Spunti per costruzione di un questionario ad hoc
  • Aspetti deontologici
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT
Introduzione

Sempre più spesso, nel corso della mia esperienza professionale, è capitato di sentire il bisogno di utilizzare questionari a supporto delle attività di consulenza aziendale. Al momento non farò una distinzione fra test (strumenti standardizzati) e questionari non standardizzati, ma vorrei focalizzarmi principalmente sul fatto che possono esserci situazioni in cui strumenti di questo tipo possono rivelarsi utili. Successivamente nell'articolo prenderò in considerazione anche questa distinzione.

Quando un questionario può essere di aiuto?
Test psicologici e questionari ad hoc nelle aziende

Riporto alcuni esempi che fanno riferimento alle situazioni che incontro più frequentemente in cui reputo importante supportare il mio lavoro di consulenza con un questionario.

  • Analisi dei flussi comunicativi. Capita spesso che un'azienda porti come bisogno qualcosa come: "ci sono problemi di comunicazione". Dopo aver condotto una buona analisi della domanda, può emergere, ad esempio, che per problema di comunicazione si intende che le informazioni non arrivano o non arrivano correttamente da un reparto aziendale all'altro, oppure che vengono commessi errori per mancanza di informazioni. A volte i problemi ci sono perché le persone non si parlano a causa di possibili attriti. I risultati, comunque, sono fraintendimenti o errori o attività svolte con tempi e metodi diversi perché non è stata condivisa (quindi comunicata) una metodologia comune.
  • Tensioni relazionali. Capita che ci siano episodi di turnover (persone che lasciano l'azienda) o conflitti frequenti o tensioni di varia natura. In Italia, il vigente quadro normativo costituito dal d.lgs. 81/2008, stabilisce l'obbligo per il datore di lavoro di valutare il rischio stress lavoro correlato. Tuttavia, le tensioni che si possono incontrare sul lavoro possono essere molteplici e non sempre ricadono esclusivamente in quegli aspetti misurati dai test specifici volti a rilevare lo stress lavoro-correlato. Pensiamo, ad esempio, alle conseguenze dello smart working o agli aspetti legati alla motivazione sul lavoro a quelli che hanno a che fare con la realizzazione professionale. Non sempre questi temi vengono trattati nei test specifici per lo stress lavoro correlato, ma possono comunque impattare molto sulla qualità del lavoro.
  • Atteggiamento verso situazioni specifiche come, ad esempio, lo smart working. Mi è capitato più di una volta che le aziende chiedessero di capire come i responsabili gestissero e motivassero i collaboratori in Smart Working e come i collaboratori vivessero e gestissero il lavoro in smart working.

In situazioni di questo tipo può essere utile disporre di questionari da somministrare in forma anonima ed esaminare i risultati in modo aggregato, così da cogliere quelle che sono le tendenze del gruppo.
Questo è il primo vantaggio di disporre di un questionario: la possibilità di rilevare le percezioni che le persone hanno su un problema, in modo anonimo, lasciando quindi loro la possibilità di esprimersi senza l'ansia di sentirsi direttamente esposte.
Questo risultato può essere un punto di partenza chiaro e oggettivo da cui poter partire per proseguire poi con altri interventi come, ad esempio:

  • I Focus group1: una volta individuate le aree di difficoltà, ad esempio sulla comunicazione, attraverso il questionario, si possono condurre dei focus group per comprendere meglio come si concretizza il problema nello specifico. Se dal questionario emergesse che le informazioni arrivano incomplete, il focus group consente di comprendere il motivo per cui arrivano incomplete e quali sono, nello specifico, gli ostacoli che impediscono alle informazioni di arrivare correttamente. Dal focus group può emergere, ad esempio, che quando ci sono i picchi di lavoro, la direzione richiede esplicitamente di dare priorità a determinate attività: questo impedisce di tenerne d'occhio altre, con il risultato che si perdono dettagli che poi non vengono condivisi.
  • Gli interventi informativi: nel momento in cui emergesse, ad esempio, che le persone si sentono poco motivate perché non si sentono coinvolte nelle scelte direzionali sugli obiettivi aziendali a lungo termine, è possibile aiutare l'organizzazione a creare un momento di incontro volto a condividere obiettivi, sfide e aspettative future.
  • Gli interventi formativi: se, ad esempio, emergesse che a bloccare le informazioni sono i conflitti tra le persone, il passo successivo può essere quello di progettare un intervento formativo specifico sulla gestione del conflitto.
Limiti dei questionari

Il questionario è quindi una base di partenza sul percezioni personali di gruppo da cui è possibile iniziare a progettare interventi specifici e mirati.

I questionari non devono mai essere utilizzati come unico strumento di indagine perché, se da un lato hanno il vantaggio di raccogliere informazioni su tutto il gruppo su cosa stia accadendo (es. ci sono tensioni, manca la condivisione degli obiettivi da parte della direzione, manca la formazione tecnica per sentirsi sicuri di quello che si fa, ecc.), non danno informazioni sul perché le cose stiano accadendo (ad esempio, può emergere che non arrivano le informazioni dalla direzione ma non si conosce il motivo per cui ciò non avvenga); per questo possono rendersi necessari interventi di approfondimento come, ad esempio, i focus group.

Il questionario è come se facesse una sorta di "fotografia statica" dello status quo, ma se non segue una condivisione dei risultati e, soprattutto, un intervento, le persone che hanno risposto possono sentirsi disorientate, perché non capiscono il senso della raccolta delle informazioni, aumentando la probabilità di vissuti di ansia e rassegnazione (es, "l'azienda vuol far vedere che fa qualcosa, ma in realtà non cambia nulla").

Differenze tra Test psicologici standardizzati e Questionari ad hoc

I test psicologici sono strumenti standardizzati. In estrema sintesi, sono questionari che sono stati sottoposti più volte a gruppi di persone e tarati su un campione di standardizzazione, ossia in gruppo di persone con caratteristiche simili ai destinatari del test. Se, ad esempio, creo un test per la selezione di manager, lo strumento deve essere tarato su un campione di riferimento fatto da manager.

Il test genera punteggi che si basano su un insieme di analisi statistiche che confermano che lo strumento è affidabile (preciso) e valido (misura esattamente il costrutto psicologico che si prefigge di misurare).
Questo perché le domande del test vengono somministrate più e più volte a un insieme di persone per verificare se funzionano.

Queste caratteristiche di stabilità in termini di affidabilità e precisione non si ritrova nei questionari ad hoc (detti anche questionari non standardizzati) perché, essendo ad hoc, spesso le domande vengono generate e somministrate direttamente ai destinatari senza studi statistici. Chiaramente lo svantaggio principale è che lo strumento potrebbe non essere così preciso. Per questo motivo è necessario approfondire quanto emerso dai questionari con altri strumenti (incontri di condivisione dei risultati per discuterlo, focus group, interviste, ecc.), perché possono esserci dei limiti metodologici che impediscono di cogliere aspetti importanti.

Se si utilizza un test standardizzato è importante che venga affiancato ad altri strumenti, ma non tanto per una questione di affidabilità e validità, quanto perché il test, misurando in modo molto rigido determinati costrutti psicologici, ne esclude altri. Se, ad esempio, utilizzo un test per l'analisi del clima organizzativo e il test non misura, ad esempio, aspetti legati alla percezione dello smart working, potrei avere la necessità di rilevare questo aspetto con un'altra metodologia.

Il vantaggio dei questionari ad hoc è quello, però, di essere pensato per approfondire quei temi specifici che emergono in fase di analisi della domanda. Se, ad esempio, emergesse l'esigenza di rilevare aspetti legati al flusso comunicativo, alla presenza di conflitti e all'adeguatezza percepita della formazione tecnica, posso tranquillamente generare un questionario ad hoc su questi aspetti. Difficilmente, invece, troverò un test standardizzato che misura esattamente questi aspetti.

Spunti per costruzione di un questionario ad hoc

Anche se il questionario non è uno strumento preciso e affidabile come un test, è possibile seguire alcune regole che possono permettere di ridurre distorsioni e imprecisioni. Senza la pretesa di essere esaustiva (ci sono manuali interi sulle tecniche di costruzione delle domande per i questionari), di seguito riporto qualche spunto chiave.

  1. Affidarsi sempre alla letteratura scientifica, possibilmente recente. Se ci si trova a costruire un questionario, ad esempio, sulla gestione dei conflitti, è buona norma cercare test standardizzati esistenti per prendere spunto per creazione degli item (non copiare! I test sono opere comunque che hanno una proprietà intellettuale). Se si sta costruendo un questionario sulla leadership è necessario studiare la letteratura scientifica recente, per capire come viene definita e come è stata studiata.
  2. Creare domande semplici, che prendano in considerazione un solo tema. Ad esempio, "ritengo di essere una persona capace di motivare e ascoltare i bisogni dei miei collaboratori" non è una buona domanda, perché motivare e ascoltare sono due temi diversi; pertanto le domande dovrebbero essere due: "ritengo di essere una persona capace di motivare i miei collaboratori" ;"ritengo di essere una persona capace di ascoltare i bisogni dei miei collaboratori".
  3. Evitare troppe negazioni; complicano. "Non mi piace avere a che fare con persone che non dicono quello che pensano" è una domanda complicata. "Non mi piace avere a che fare con persone che evitano di esprimere ciò che pensano" è già meglio.
  4. Evitare gli avverbi (sempre, mai, di solito). Meglio scegliere una scala di risposta che consenta di esprimere la frequenza o l'intensità. Invece di dire: "mi sento sempre criticato dai miei colleghi" meglio chiedere: "mi sento criticato dai miei colleghi" affiancato da alternative di risposta del tipo: sempre, frequentemente, a volte, mai.
  5. Rileggere le domande più volte dopo averle scritte e chiedere a colleghi e amici di rileggerle, chiedendo un feedback sulla chiarezza.
  6. Creare questionari di lunghezza congrua. Non c'è una regola sul numero di domande "giuste", dipende dagli obiettivi. Di solito suggerisco di evitare di andare oltre le trenta domande perché, ho notato che dopo le persone faticano a mantenere l'attenzione.
  7. Creare domande brevi. La lunghezza confonde, la sintesi favorisce attenzione e comprensione.
Aspetti deontologici

Lavorare con i questionari in progetti di consulenza aziendale è un'attività molto vicina alla ricerca-azione. Pertanto suggerisco di attenersi alle regole deontologiche che il Codice indica a proposito della ricerca. In particolare l'Art. 7 del Codice Deontologico (recentemente entrato in vigore):
«Nelle attività di ricerca, nelle comunicazioni dei risultati e in ogni altra attività professionale, nonché nelle attività didattiche, di formazione e supervisione, la psicologa e lo psicologo valutano attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità, di attendibilità, di accuratezza, di affidabilità di dati, informazioni e fonti su cui basano le conclusioni raggiunte; espongono, all'occorrenza, le ipotesi interpretative alternative ed esplicitano i limiti dei risultati a cui sono arrivati. La psicologa e lo psicologo, su casi specifici, esprimono valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata, coerente con il tema oggetto di valutazione ed attendibile.»

Sulla base dell'art. 7, quindi, segnalo alcune cose che andrebbero sempre fatte:

  • ispirarsi alla letteratura scientifica nella costruzione dei questionari;
  • dichiarare che si tratta di questionari e non di test, chiarendone i limiti;
  • affidarsi anche ad altri strumenti

Nella attività di intervento con l'uso di questionari è importante anche tenere conto dell'Art. 9:
«Nella loro attività di ricerca la psicologa e lo psicologo sono tenuti ad informare adeguatamente le persone in essa coinvolte rispetto agli scopi, alle procedure, ai metodi, ai tempi e ai rischi della stessa, nonché alle modalità di trattamento dei dati personali raccolti al fine di acquisirne il consenso. Sono altresì tenuti a fornire adeguate informazioni anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale della ricercatrice e del ricercatore ed alla loro istituzione di appartenenza. Devono altresì garantire alle persone partecipanti alla ricerca la piena libertà di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso. Nell'ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente, correttamente e completamente le persone partecipanti su alcuni aspetti della ricerca stessa, la psicologa e lo psicologo hanno l'obbligo di fornire, alla fine dell'attività sperimentale e/o di ricerca, le informazioni dovute e di acquisire l'autorizzazione all'uso del materiale e dei dati raccolti. Per quanto concerne le persone che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere dato da coloro che esercitano la responsabilità genitoriale o la tutela. È altresì richiesto l'assenso delle persone stesse, ove siano in grado di comprendere la natura dei contenuti delle attività in cui saranno coinvolte e della collaborazione richiesta, in relazione alla loro età e al loro grado di maturità nel pieno rispetto della loro dignità. Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto delle persone alla riservatezza, alla non riconoscibilità ed all'anonimato.»

All'atto pratico possiamo tradurre questo articolo nel nostro operato professionale con queste indicazioni che andrebbero sempre seguite:

  • aprire qualunque attività con un incontro iniziale in cui spiegare ai partecipanti obiettivi, metodi (questionari, test, focus group, ecc.) e tempi di ricerca. Chiarire che la partecipazione è volontaria e che sarà garantito l'anonimato;
  • chiarire chi vedrà i risultati e con quale obiettivo;
  • dare la possibilità di fare domande;
  • condividere i risultati a fine attività con i relativi piani di azione.
Note
  1. Un focus group è una metodologia di ricerca qualitativa in cui è coinvolto un gruppo di partecipanti che discutono dando un feedback su un tema specifico sotto la guida di un facilitatore. L'obiettivo è quello di raccogliere opinioni, idee e percezioni che emergono attraverso la discussione di gruppo.
Bibliografia
  • Pedrabissi, L.; Santinello, M. (1997). "Test psicologici. Teorie e tecniche. Bologna". Il Mulino, Bologna.
  • Zammuner V.L. (1998). "Tecniche dell'intervista e del questionario". Il Mulino, Bologna.
  • "Codice Deontologico delle Psicologhe e degli Psicologi Italiani", Psy.it
    www.psy.it/la-professione-psicologica/codice-deontologico-degli-psicologi-italiani/codice-deontologico-referendum-2023
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