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Il testo sacro delle parole L'ascolto come fondamento dell'incontro autentico con l'Altro
L'articolo " Il testo sacro delle parole" parla di:
- La capacità d'ascolto dell'Altro nel colloquio terapeutico
Lo Psicologo come professionista, ma anche come uomo Conoscere il proprio pensiero per far spazio ai pensieri altrui
Articolo: 'Il testo sacro delle parole L'ascolto come fondamento dell'incontro autentico con l'Altro'
A cura di: Gilda Cinicolo
INDICE: Il testo sacro delle parole
- Dalla salvezza all'ascolto
- Il counseling psicologico in pratica: le parole come ponte
- L'utente vincente
- Lo psicologo vincente
- Note
- Bibliografia
Dalla salvezza all'ascolto
Nel corso dei colloqui, spesso, non si ascolta veramente l'Altro (l'utente).
Come Psicologi viene quasi spontaneo interpretare immediatamente quello che l'Altro dice, dare un nome al Suo dolore, ricondurre a
categorie note ciò che è ancora ignoto.
Riporto il turbamento sperimentato nel corso di una simulata che ha visto per protagonisti alcuni colleghi di specializzazione: prima parla
una persona, che veste i panni dell'utente, e subito dopo si chiede a un'altra persona, in veste di consulente, di ripetere fedelmente le parole
dette dall'Altro, così come da lui usate. Un esercizio apparentemente semplice ma che ha messo in crisi il "consulente", che non è
riuscito a svolgere il compito affidatogli in quel momento.
A seguito di questa simulazione ha preso vita un dibattito molto acceso che, da un lato, tendeva a mettere in evidenza l'impossibilità
di funzionare come registratori e, dall'altro, tendeva a dar voce al bisogno di aiutare l'Altro, fornendogli subito degli strumenti che
non possiede.
Personalmente mi sono resa conto di quanto sia difficile ascoltare veramente l'Altro e questo è un dibattito che sempre resta aperto
proprio perché ad ascoltare è un professionista ma, soprattutto, una persona che a sua volta ha un proprio mondo interno fatto
di fantasie, di paure, di desideri, di relazioni ecc.
Le parole dell'Altro possono avere una risonanza molto forte in noi proprio perché possono in qualche modo rispecchiare il nostro
funzionamento psichico.
Per questo, secondo me, è fondamentale come professionisti aver vissuto in prima persona un'esperienza terapeutica, non perché
questa possa costituire un passepartout per la propria professionalità, ma perché la consapevolezza di come siamo, di come siamo
abituati a pensare ecc., ci consente in primis di renderci conto che tendiamo spesso a vedere l'Altro per come noi vorremmo che fosse e,
successivamente, ci permette di riconoscerlo per come egli è realmente.
Si sa che chi sceglie di esercitare la professione psicologica si propone di aiutare l'Altro,
o meglio, citando il famoso film di Hithcock, di «salvare l'Altro»...
Dopo qualche anno di studi e di terapia personale ci si rende conto, poi, che attraverso questa professione si cerca di aiutare innanzitutto se
stessi.
Il ruolo dello psicologo viene spesso confuso con quello di un consigliere.
Mi rendo conto in prima persona che, per chi è ancora all'inizio della professione come me, può essere naturale alimentare questa
aspettativa, in quanto si ha bisogno di rassicurazione e desiderio di essere riconosciuti nel proprio ruolo, per cui si può tendere
facilmente a fondare il proprio lavoro su una relazione asimmetrica in cui da una parte c'è l'utente, che ha bisogno d'aiuto, e dall'altra
parte c'è l'esperto, in grado di fornire l'aiuto richiesto.
Ma le persone in realtà non vogliono avere consigli, anche quando sembra che li richiedano esplicitamente. Le persone non vogliono altro
che affermare la propria unicità, distinguersi... essere riconosciute: come insegna la Psicologia dello sviluppo, questa è
l'esperienza più importante nella vita di una persona, a partire dalla nascita.
Il counseling psicologico in pratica: le parole come ponte
Come afferma l'epistemologa Maria Cristina Koch1, l'epoca in cui stiamo vivendo può essere paragonata a un
«nuovo Rinascimento» dove, di nuovo, vi è la persona al centro di ogni evento e di ogni pensiero. Questo implica
che tutti sono cittadini alla pari.
Da ciò deriva la necessità di assumere una posizione professionale diversa, paritaria, in base alla quale «l'Altro non
ha una ragione» ma «l'Altro ha ragione» (M. C. Koch).
Questa affermazione si rifà a un concetto molto noto nell'ambito della Psicologia della salute in base al quale la salute di
una persona non coincide con la normalità.
In particolare, George Canguilhem invita a considerare la "norma" come il senso del rapporto tra una persona e l'ambiente,
ritenendo che la capacità vivente di ogni persona si esprima nella massima misura nella possibilità di instaurare una norma, la
propria norma, nell'ambiente in cui vive, intendendo quindi il normale come «capacità di fare norme».
Si può vedere come in quest'accezione la malattia non è l'assenza della norma,
ma è una norma inferiore di vita in quanto riduce il potere di adattabilità dell'individuo.
Per ascoltare veramente la ragione dell'Altro, allora, può essere utile imparare prima a «copiare» l'Altro (M.
C. Koch) nel senso di ascoltare attentamente le sue parole, rimandandogliele in maniera amplificata, perché esse ci raccontano la sua
verità, quella migliore per lui perché ci si possa occupare di lui, e perché le sue parole rappresentano la porta di
ingresso da cui vuole farci entrare per stabilire una relazione.
In questo senso le parole dell'utente sono un testo sacro che non bisogna dare mai per scontato e che sarebbe utile preservare nella
fase iniziale di conoscenza, senza contaminarlo con le nostre aggiunte personali che, se non esplicitate, creano una cornice che vincola e
modifica il discorso dell'utente.
In base a questa concezione epistemologica, dopo aver imparato a copiare, si può riuscire a creare qualcosa di nuovo, agganciandosi
alle parole usate dall'Altro, non per andare nella direzione che ha già prefigurato per Sé, ma per portarlo su territori nuovi
in maniera tale che l'utente possa scegliere la forma più economica per Sé con cui soddisfare le sue aspirazioni.
L'utente vincente
Si può intravedere come questo atteggiamento professionale, che si rifà al modello della Psicologia della salute2,
sia estremamente rispettoso dell'utente e lo riconosca, dall'inizio alla fine dell'esperienza psicologica, come vincente, nella misura
in cui gli si restituisce il potere di determinare l'esperienza migliore per lui.
Mi rendo conto che a prima vista potrebbe sembrare che in questo modo il lavoro psicologico sia facilitato, in quanto affidato completamente
alle mani dell'utente, ma questo riproporrebbe di nuovo una relazione asimmetrica.
In realtà è molto più difficile creare e mantenere una relazione democratica, che non una autoritaria, soprattutto
perché agli Psicologi spetta, innanzitutto, il compito non facile di ascoltare l'Altro, come quella simulata dimostra, e poi
quello di perturbare l'Altro, portandolo su territori nuovi perché le sue parole non raggiungano la solita direzione che egli
prefigura e si aspetta, ma guardino verso il futuro, prospettando il vantaggio di una scelta.
Lo psicologo vincente
Ricordo sempre con piacere la mia esperienza terapeutica, che è stata tale perché mi ha consentito di accedere a delle emozioni
e a dei pensieri che, pur avendo fondato la mia personalità, erano sempre stati assolutamente inconsci e ignoti.
Ricordo la rabbia che provavo in risposta alle provocazioni che mi sembrava di ricevere dalla mia terapeuta e che non riuscivo a capire in
quel momento.
Oggi quelle provocazioni le chiamerei "perturbazioni" e sono state proprio queste la parte più significativa della mia esperienza
perché mi hanno fatto capire di essere stata ascoltata veramente, di essere stata riconosciuta ma anche di essere stata portata per mano
a confrontarmi con un Altro da me, e scegliere come utilizzare la nuova consapevolezza acquisita.
Ritengo che questa esperienza sia stata per me molto formativa, così come lo sono le svariate occasioni di confronto e di parivisione
che ho la possibilità di sperimentare con i miei colleghi all'interno della scuola di specializzazione che frequento: esse danno la
possibilità di narrare di sé, di ciò che si fa, di come si giunge a un intervento piuttosto che a un altro, in sintesi,
di conoscere il proprio pensiero... per poter fare spazio ai pensieri altrui.
Note
- Maria Cristina Koch, psicologa e psicoterapeuta, lavora a Milano.
- La Psicologia della Salute nasce negli Stati Uniti, alla fine degli anni '70.
Nell'ambito del modello salute schematicamente possiamo rilevare due linee generali di tendenza:
"il benessere soggettivo" e il "ben-essere psicologico". Da una parte cioè si possono includere gli studi mirati alla
valutazione soggettiva del benessere e, dall'altra, gli studi orientati a individuare le dimensioni "vitali" di quello che si può
definire il ben-essere psicologico: questo è l'ambito di gran lunga più rilevante per la Psicologia della Salute. In sintesi, i
principi fondamentali a cui la Psicologia della Salute si ispira sono: dinamico-evolutivo, sistemico e co-costruttivo.
Bibliografia
- Antonovsky A., The salutogenic model as a theory to guide health promotion, in "Health Promotion International", Vol. 11, 1, 1996, da
pag. 11 a pag. 18
- Bertini M., Psicologia della Salute o sviluppo salutare della psicologia?,
Relazione al "Iº Congresso Italiano di Psicologia della Salute", Orvieto, 15, 16, 17 ottobre 1993
- Bertini M., Dal "modello malattia" al "modello salute": difficoltà del passaggio e insufficienza delle parole, in "Psicologia
della Salute", 3, 2008,da pag. 107 a pag. 140
- Canguilhem G., "Le normal et le pathologique", Press Universitaires de France, Paris, 1966
trad. it. "Il normale e il patologico", Einaudi, Torino, 1998
- Koch M.C., "L'ascolto e il corpo come consulenti", Relazione al Centro studi di Psicologia della Salute di Orvieto, 1 e 2 luglio 2011
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