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La scultura del martire

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La scultura del martire
Il corpo come strumento di rappresentazione dei vissuti

L'articolo "La scultura del martire" parla di:

  • La famiglia intergenerazionale e il ruolo del martire
  • La scultura per disvelarne l'organizzazione strutturale
  • Ridefinizione della struttura e ricerca di una nuova omeostasi
Psico-Pratika:
Numero 71 Anno 2011

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Articolo: 'La scultura del martire
Il corpo come strumento di rappresentazione dei vissuti'

A cura di: Tamara Marchetti Autore HT
    INDICE: La scultura del martire
  • Crisi e ripristino omeostatico
  • Le instabilità sociali
  • La difficile età del pensionamento
  • Presentazione di un caso clinico. La storia ufficiale
  • Il significato del nome
  • La scultura sistemica: uno strumento tra valutazione e terapia
  • Livello individuale della scultura
  • Livello sistemico della scultura
  • Ridefinizione attraverso l'analisi sistemica della scultura
  • Il silenzio del cambiamento
Crisi e ripristino omeostatico

L'omeostasi, inteso come equilibrio psico-fisico, è una ricerca incondizionata dell'essere umano. Per essere più chiari, l'adattamento di un individuo a una situazione, a un ambiente o a una relazione, richiede del tempo.
Quando si arriva al raggiungimento di un certo equilibrio tra il sé interiore dell'individuo e una data realtà, questo processo prende il nome di omeostasi, ovvero: adattamento.

Nella regolare crescita delle persone (dalla prima infanzia alla vecchiaia), ogni equilibrio raggiunto subisce una crisi più o meno profonda che ne richiede una ridefinizione parziale o radicale a seguito di eventi trasformativi.

Questi eventi sono distinguibili in due categorie: "eventi normativi", quelli prevedibili che scandiscono la regolarità delle tappe evolutive, come il passaggio da una fase precedente quale ad esempio l'infanzia, e una successiva quale appunto l'adolescenza.

Ci sono poi gli "eventi paranormativi", ovvero accadimenti privi di qualsiasi preannuncio come il dover affrontare un lutto, una separazione da una persona o da un ambiente, come cambiare città oppure lavoro.

Sia i primi che i secondi destabilizzano l'equilibrio inteso come stile di vita adeguato di una persona e necessitano di una rimessa in discussione, totale o parziale. Entrambe gli eventi generano a livello emotivo e intrapsichico, una messa in crisi più o meno forte a seconda dell'entità dell'evento e quindi dell'impatto provocato nell'individuo.
Quello che ne consegue, per dirla con le parole di una scrittrice, Lidia Ravera, è che: «siamo quelli di prima ma diversi da prima», siamo costretti a rimboccarci le maniche per affrontare l'evento traumatico, cercando il più possibile di non soccombere a esso.

Possiamo quindi dire in altri termini che la vita non trascorre omogenea, ma è un po' come un circuito, una pista, dove si disputano gare automobilistiche, composto da un misto tra il rettilineo e le curve. Al pilota viene richiesta una certa abilità nel modificare la sua andatura a seconda del tratto che deve affrontare.

Le instabilità sociali

Stiamo inoltre vivendo e questo a livello internazionale, un periodo sociale segnato da cambiamenti e trasformazioni così rapidi e radicali che, le generazioni attuali non trovano in quelle precedenti un punto di riferimento da cui prendere spunto, perché anacronistico rispetto ai cambiamenti avvenuti. Facendo degli esempi, se anni prima il padre aveva aperto un negozio e con quella attività aveva garantito il sostentamento per tutta la famiglia, oggi potrebbe non essere più così.

Se tutte queste tensioni legate ai cambiamenti generano negli individui, paure e fragilità, ci sono anche molte innovazioni e condizioni che generano entusiasmi e sfide di vita, soprattutto attraverso quello che possiamo definire il prolungamento delle fasi evolutive, molto più longeve di un tempo. Del resto anche la vita si è allungata, ad esempio gli anni dell'adolescenza si sono quasi raddoppiati rispetto a trent'anni fa.

Ci troviamo infatti, a vivere un periodo sociale di profonde quanto radicali trasformazioni anche rispetto alle fasi evolutive. Viviamo un prolungamento dell'adolescenza estesa fino ai 25 anni circa, il ritardo nella formazione della famiglia rispetto alla generazione precedente e, anche la terza età è affrontata con uno stile di vita diverso, dove si cura il benessere e il mantenersi giovani.

La difficile età del pensionamento

Per molte persone è talmente difficile affrontare il pensionamento (anche se esso appartiene alla categoria degli eventi paranormativi), che in questa fase si "reinventano", mettendosi in gioco attraverso un nuovo lavoro, oppure attraverso il prolungamento dello stesso, fatto per una vita.
Per antonomasia è difficile, almeno nella fase iniziale, gestire il pensionamento.
Sfumano gli impegni personali che scandiscono la giornata e gli interessi di una persona, sfumano la sua affermazione e riconoscimento in uno specifico ruolo e status sociale. Andare in pensione, è come cambiare pelle, cambiare identità.

È quanto accaduto al signor Biagio che, in questo momento critico della sua vita personale, è come se avesse agito un rigurgito di sospesi e di relazioni difficili, ma mai affrontati come tali. Come spiega il detto: «prima o poi tutti i nodi vengono al pettine», e una vita dedicata al lavoro è un modo anche per fuggire da aspetti che intanto coabitano dentro di noi e quindi, prima o poi le energie per la fuga finiscono e inizia il grande momento dei resoconti.

Presentazione di un caso clinico. La storia ufficiale

Il signor Biagio nella prima seduta di quella che sarà una psicoterapia familiare individuale (solo in un incontro partecipa il fratello), racconta:

«Da sempre sono un martire. Prima con mia madre, che per ogni cosa se la prendeva con me e mai con mio fratello, eppure ci correvano solo due anni, quindi sbagliavo io, ma sbagliava anche lui, però tutto ricadeva sempre su di me. Poi con mia moglie, per ogni cosa la colpa è sempre ricaduta su di me, nelle scelte fatte in 35 anni di matrimonio, a partire dall'educazione di nostra figlia. Tutto ciò che stabilivo io, per lei non andava bene.
Ora sono in pensione, la mattina esco per andare a comperare il pane, ma per mia moglie non va mai bene, o è troppo cotto oppure lo è troppo poco e inizia a lamentarsi senza fine. Che devo fare? Io mi sento da sempre solo e ora che sono da quattro mesi in pensione dalla fabbrica in cui ho lavorato, mi ritrovo a fare un bilancio della mia vita, ed è scoraggiante».

Con questa descrizione tra il passato e il presente, il signor Biagio mi introduce nella storia della sua vita, e nella sua problematica da cui parte la propria richiesta di terapia individuale.

Il significato del nome

La prima seduta con il signor Biagio è stata di "Holding", ovvero basata sull'accoglienza e l'ascolto delle sue problematiche, considerato quanto fosse carico di emozioni, in un misto tra rabbia e sofferenza per le tante umiliazioni (almeno nel suo vissuto), ricevute dalle sue donne più importanti, quali appunto, la madre prima e la moglie poi.
Proprio la madre aveva scelto il suo nome, anche se al padre non piaceva.
La donna s'impose a dargli il nome di Biagio e quella, era stata la prima imposizione che, a parer suo, la mamma aveva fatto nei suoi confronti. A un certo punto tirò fuori dalla tasca della sua giacca un foglio, dove era riportato il significato del suo nome, tratto dal Dizionario della Garzanti.
Iniziò a leggere:

«Biagio deriva dal latino blaesus, balbuziente, incrociato con l'italico blaisus, ovvero zoppo. San Biagio vescovo, Martire in Armenia nel 316, protettore degli otorinolaringoiatra e dei suonatori degli strumenti a fiato».

Dopo aver letto lo scritto, mi consegnò il foglietto come se fosse stata la sua carta d'identità. Nel suo nome dunque, erano contenuti due aspetti invalidanti quali:
le balbuzie e il claudicare, ma c'era anche il ruolo del Protettore.

Il signor Biagio aveva fatto del suo nome una sorta di cartina di tornasole, per dare a se stesso e alla sua esistenza una spiegazione già scritta nell'etimologia del proprio nome di quello che sarebbe stato il suo dover stare al mondo. Si era infatti sempre lamentato e auto commiserato dei maltrattamenti ricevuti che lo avevano invalidato, riconoscendosi una personalità claudicante, incapace cioè di difendersi e quindi Martire, colui che soccombe ai soprusi imposti dagli altri.

Dopo la presentazione di se stesso con tanto di "pergamena" del nome, mi venne spontaneo chiedergli: «ma con il suo essere Martire, di chi è stato al contempo protettore?». E il signor Biagio mi rispose:

«Sempre di loro due, di mia madre e mia moglie, in quanto, ricadendo sempre la colpa su di me, loro sono sempre state quelle che non sbagliavano, che non commettevano errori, e lei dottoressa lo sa, non è possibile che un essere umano commetta solo errori e qualcun altro sia invece perfetto. La perfezione non è di questo mondo».

Mi colpiva come quest'uomo, che aveva superato i 60 anni di età, fosse ancora totalmente imperniato nel suo rapporto con la madre e con la moglie, in una modalità così fusionale, dipendente dalla loro volontà.

Certo è che, stando alla teoria bowlbiana, la qualità della relazione primaria si ripropone nelle relazioni significative successive, e che questo attaccamento, che possiamo ipotizzare come insicuro ambivalente con la madre, (quando cioè la madre non è assente nella crescita del figlio, ma presente nel soddisfacimento delle proprie esigenze personali anziché del piccolo), il signor Biagio se lo sia portato dietro per tutta la sua vita.
Ora però, nella fase evolutiva del pensionamento e del "bilancio" della propria vita, appare stanco di trascinarsi dietro questo fardello, e sente il bisogno di distaccarsene.

La scultura sistemica: uno strumento tra valutazione e terapia

Il signor Biagio era talmente abituato al non sentirsi ascoltato, che aveva modulato la sua voce a una sorta di cantilena, lenta e mono tonica. Neanche la sua rabbia e il suo rancore si placavano, e continuava il suo bisogno di parlare senza lasciare al terapista la possibilità d'intervenire. Interrompere il monologo poteva essere utile solo se la relazione terapeutica veniva portata sul piano del non verbale.
Proposi dunque la "scultura", uno strumento creativo e dinamico.

La scultura è uno strumento psico-corporeo utilizzato in psicoterapia familiare.
Si tratta di rappresentare, attraverso l'utilizzo del corpo e la posturalità, la percezione di un individuo in una relazione che lo riguarda. Espressione di un vissuto attraverso il corpo, quindi.

Il confronto della rappresentazione, tra i vari membri coinvolti nella relazione presa in esame (la coppia, la famiglia...), consente la messa in crisi di un punto di vista soggettivo a volte rigido e impermeabile.

Attraverso lo strumento della scultura in psicoterapia, come sostiene Andolfi, (psicoterapeuta familiare e teorico nell'ambito della psicologia sistemico relazionale), viene data al paziente la possibilità di rappresentare analogicamente le proprie relazioni, con i membri del suo gruppo familiare, e le relazioni degli altri tra loro, in un dato momento storico della famiglia. Liberati nel lavoro di scultura dai rigidi schemi della razionalità e della forma, si è in grado di esprimere emozioni e sentimenti.

La scultura in altri termini rappresenta un lavoro di manipolazione e assemblaggio, e consente la realizzazione di un'opera dinamica dove si crea un movimento, che si ferma e si riavvia con la discussione e il confronto.
Non idee o principi, ma emozioni e sensazioni.

È la partita dei corpi più che delle menti, poiché «il corpo riesce a esprimere ciò che non riesce alla parola». In questo processo, «individui, famiglia e terapeuta, si servono
di un materiale grezzo o assemblano diversi materiali: i loro corpi e le loro emozioni»
, come affermano Martorelli e Crozzo (psicoterapeuti familiari autori del libro:
"La scultura Familiare. Teoria e tecnica di uno strumento tra valutazione e terapia").

Livello individuale della scultura

Per livello individuale s'intende la rappresentazione dell'individuo nel proprio sistema familiare. Spiegai al signor Biagio che poteva utilizzare a suo piacimento tutto lo spazio (del setting terapeutico) a disposizione, per rappresentare se stesso nel suo gruppo familiare, logicamente sulla base di quello che è il suo vissuto rispetto agli altri.

Il signor Biagio, nella scultura rappresentativa della sua esistenza nel gruppo famiglia, si alzò in piedi, si mise al centro della stanza con il busto ricurvo fino a toccare con le dita delle mani la punta dei suoi piedi. Intorno a lui facevano da cornice 5 sedie che aveva disposto a cerchio. La sua spiegazione fu che aveva voluto rappresentare se stesso che si era piegato alle richieste e ai rimproveri della madre e poi, alle critiche di sua moglie. Le sedie intorno raffiguravano gli altri significativi che lo stavano a guardare senza fare nulla per salvarlo, ovvero: sua madre, suo padre, il fratello, sua moglie e la figlia.

Dalla mia osservazione, quello che ne emerse, era la centralità del signor Biagio nella sua famiglia estesa: da quella di origine a quella mononucleare (ovvero costituita), anche se persisteva l'auto percezione di martire.
Del resto la centralità non si guadagna mai facilmente, bisogna essere degli eroi, oppure agire una fragilità e, nel caso del signor Biagio, la sua fragilità era proprio lo stare al centro delle attenzioni per subire. Dunque, la fragilità diventa forza.
Restituii quindi questa mia impressione al paziente, il quale però non sembrava cogliere la differenza tra il suo sentirsi attaccato dal resto del sistema familiare e gli altri che invece lo consideravano un punto di riferimento.

Chiesi pertanto al signor Biagio di mettere una delle 5 sedie al centro del cerchio, e lui al posto della sedia. Sperimentata la posizione mi disse che quello non era il suo posto, in quanto, lui che era il Martire, aveva la vocazione a fare da protettore, quindi il perno centrale dove tutti gli altri si potevano appoggiare e sfogare e, nessuno poteva sostituirsi a lui in quella funzione, che aveva da quando era molto piccolo.

Livello sistemico della scultura

Non potei convocare in terapia la mamma del signor Biagio, che purtroppo era venuta a mancare circa dieci anni prima. Il fratello Luca, di due anni più giovane, era l'unico membro rimasto della sua famiglia di origine. Luca partecipò a un'unica seduta, quella successiva alla scultura del signor Biagio. Chiesi pertanto anche a Luca, di rappresentare attraverso il metodo della scultura il loro sistema familiare, come e dove avrebbe collocato suo fratello nel quadro familiare.

Tutto questo ci sarebbe servito per analizzare meglio la loro storia familiare, passando attraverso vissuti sentimentali ed emozionali di un altro esponente della famiglia.

Luca prese due sedie che mise vicine tra loro, raffiguranti i loro genitori.
Di fronte a esse, al centro della stanza, collocò Biagio, con le gambe divaricate e le braccia conserte. Lui si collocò in piedi con le braccia lungo il corpo in una posizione quasi inerte, alle spalle del fratello, distante da lui, in un angolo della stanza.
Colpiva come Luca si fosse messo in un angolo mentre il fratello dominava la scena con una postura imponente.

Nella prospettiva di Luca, Biagio era il punto di riferimento dei genitori e suo, e veniva messo in secondo piano, quasi una figura impercettibile rispetto a suo fratello.
Luca racconta che lui avrebbe tanto desiderato il ruolo che aveva Biagio in famiglia, ma quest'ultimo, da sempre, sembrava non rendersene conto, anzi, era sempre infastidito e permaloso per come percepiva di essere trattato.

La moglie del signor Biagio invece (anche lei in pensione, aveva lavorato al Ministero di Grazia e Giustizia) non accettò di venire in terapia e quando la contattai io, per chiederle di persona la partecipazione a una sola seduta al fine di conoscere meglio la famiglia, mi rispose che lei era contenta per suo marito che stava facendo una cosa che gli interessava e che gli sarebbe stata quindi utile, per lei invece, che non crede alla psicologia, non aveva senso partecipare e non sarebbe venuta.
L'unica cosa che volle raccontarmi, quasi come il togliersi un sassolino dalla scarpa, fu che in famiglia il signor Biagio era sempre stato assente, anche quando fisicamente presente. Non aveva, mi racconta la moglie al telefono, mai potuto contare sulla collaborazione di suo marito, neanche quando la loro unica figlia era piccola.

Ridefinizione attraverso l'analisi sistemica della scultura

La scultura è riuscita a mettere a nudo l'organizzazione strutturale della famiglia intergenerazionale del signor Biagio, il quale era stato sin da molto piccolo responsabilizzato dai genitori, anche se la madre per imprimere questo insegnamento ricorreva spesso a modalità dirette senza tener conto della sensibilità e fragilità emotiva di suo figlio che era un bambino.

Crescendo, in Biagio le punizioni e i maltrattamenti della madre venivano codificati come espressione di punizioni e rifiuto, e non come un insegnamento. Si sviluppò così nel signor Biagio il suo bisogno di "tirarsi indietro" dalle responsabilità, come a voler diventare "trasparente", ovvero cercare di non esserci anche se fisicamente presente, per non essere accusato e ricevere attacchi. Paradossalmente, sarà proprio il tirarsi in dietro da relazioni dirette a innescare comportamenti accusatori e critici nei suoi confronti.
È quanto accaduto nel rapporto con sua moglie, trovando il signor Biagio una sorta di rifugio nel lavoro.

La conseguenza di questo atteggiamento rinunciatario dell'uomo al fare e al prendersi responsabilità suscitò in sua moglie sentimenti di rabbia e di rifiuto, espressi attraverso le accuse e nel riprenderlo costantemente, anche in eventi banali.

Possiamo pertanto concludere che, attraverso l'espressività agìta nella scultura il signor Biagio, nei suoi passaggi di vita, si era ritagliato il suo ruolo di martire, inteso come colui che fosse costantemente pronto a soffrire per le accuse mosse nei suoi confronti che, parallelamente in una sorta di circolo vizioso, ne creava le condizioni per prestare il fianco al "persecutore".

Il silenzio del cambiamento

Il monologo iniziale del signor Biagio, in terapia attraverso la scultura, aveva poi lasciato spazio a un improvviso quanto profondo silenzio di auto-riflessione. Per lui era infatti arrivato il momento, se lo voleva, di cambiare, e il cambiamento consisteva nell'uscire da quel "guscio protettivo" e buio di vittima, che ormai, dopo la seduta con la scultura, iniziava ad andargli stretto, in quanto disvelato.

La mia restituzione fu prescrittiva, ovvero di dare le coordinate per una nuova omeostasi di coppia. Ora il tempo a disposizione c'era, in quanto lui e sua moglie potevano iniziare a prendersi spazi di vita insieme, come ad esempio andare insieme a fare la spesa spezzando quel rigido circolo vizioso di chi va per fare acquisti, mentre l'altro, al ritorno effettua il controllo e la critica.

La collaborazione dunque sarebbe l'antidoto alla competizione, una competizione tra coniugi che per molti anni era stata funzionale nel rinforzare l'identità del martire e della sadica, nel loro percorso di vita comune. La terapia era stata funzionale a mettere in luce dinamiche antiche quanto poco chiare, che non sono nate all'interno del matrimonio, ma che in esso si sono consolidate, in un'omeostasi a lungo tenuta in vita.

Commenti: 1
1 Rocco alle ore 14:04 del 17/12/2012

Sono un pensionato da 15 anni il lavoro mi teneva molto impegnato forse non ho potuto essere presente nell'educazione di mio figlio. Mia moglie mi rinfaccia tutti gli sbagli che ha fatto su mio figlio. Non prendendosi mai una colpa lei, questo lo trovo in giusto, il mio difetto di essere stato un pò permissivo. Forse i miei sbagli sono dovuti quello di non aver conosciuto mia madre morta quando io avevo due anni, facendo una vita molto travavagliata dal punto di vista degli affetti. Per sfuggire alle loro continue lamentele ho trovato il modo di frequentare il nuoto che mi appaga e mi sono rimesso a studiare alla mia età frequento il 5° Ragioneria. Saluti Rocco. 

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