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Psicologia e scrittura: gli effetti della scrittura espressiva sul benessere psico-fisicoL'articolo "Psicologia e scrittura: gli effetti della scrittura espressiva sul benessere psico-fisico" parla di:
Articolo: 'Psicologia e scrittura: gli effetti della scrittura espressiva sul benessere psico-fisico'A cura di: Rebecca Farsi
IntroduzioneL'importanza della narrazione era stata già riconosciuta da Bruner (1990; 1996; 2002), che la considerava uno strumento in grado di conferire un senso agli eventi e di costruire il significato della realtà. In particolare, lo psicologo statunitense di orientamento cognitivista ha avuto il merito di conferire all'apprendimento una connotazione interazionista, che tenga conto non soltanto dello stadio evolutivo e delle capacità cognitive del discente, ma soprattutto del suo contesto culturale di inserimento. Ciò nella convinzione che proprio la cultura possa svolgere una funzione in grado di condizionare e direzionare l'apprendimento, in una connotazione rielaborativa funzionale esprimibile attraverso il linguaggio narrativo. Secondo Bruner il linguaggio non consente soltanto di esprimere messaggi e comunicazioni intersoggettive, ma altresì di generare strutture logiche in grado di descrivere la realtà inter ed intrapsichica e di creare, grazie alla fusione di queste due dimensioni, nuove modalità di interpretare e costruire il pensiero logico. Grazie al linguaggio è dunque possibile rappresentarsi una situazione attraverso nuove chiavi di lettura: in poche parole, il linguaggio modifica la visione del mondo, fornendo schemi per analizzare in modo alternativo i fenomeni. Il linguaggio narrativo, in particolare, consente di organizzare l'esperienza e di costruire e trasmettere significati. Esprimendo la realtà sottoforma di racconto diamo luogo ad una nuova disposizione degli eventi accaduti, che vengono esposti secondo una commistione tra il mondo canonico della cultura contestuale e le credenze soggettive, tra le peculiarità del proprio mondo interiore e il contesto sociale di appartenenza. Tramite l'impiego della narrazione, inoltre, si ha la possibilità di valutare gli eventi sotto punti di vista differenti da quelli personali, in base ad un effetto provocato dal decentramento del Sé causato dal pensiero narrativo. Così, quando raccontiamo una storia, non possiamo fare a meno di allontanarci dal nostro punto di vista per assumere empaticamente anche quello di colui che ci sta ascoltando, immaginando quali emozioni potrebbe provare al nostro racconto. Inoltre il pensiero narrativo sviluppa capacità metacogntive in quanto spinge ad elaborare una selezione cognitiva circa il materiale da esprimere e quello da omettere, quello da evidenziare e quello da minimizzare, o da rielaborare: ecco perché il pensiero narrativo, sia scritto sia orale, viene ad essere un modo di valutare la realtà da un punto di vista complementare a quello del pensiero paradigmatico, ovvero logico-matematico, e costituisce un'alternativa all'immodificabile sequenza degli eventi tipica di quest'ultimo. Il potere trasformativo insito nella narrazione scritta offre la possibilità di reinterpretare soggettivamente ciò che è accaduto, una capacità di rileggere le storie prestando il fianco a modulazioni, a chiavi di lettura flessibili e polisemiche, a stemperare punti di vista dicotomici e incontrovertibili, a mettere in discussione l'indiscutibile, a mentalizzare la realtà e i suoi contenuti emotivi. Scrivere può risultare dunque utile in tutti quei casi in cui non è possibile verbalizzare un'emozione, e l'unica alternativa è di segregarla nell'inconscio assieme a tutto il materiale psichico non espresso e non rielaborato simbolicamente. Non dimentichiamo, infatti, che identificare l'emozione con un simbolo comporta l'elaborazione delle stesse, e l'espressione più sublimante con la quale è possibile simbolizzare l'emozione è proprio la parola, la narrazione. Il potere espressivo della narrazione comporta un'importante ricaduta terapeutica. Si è visto come la scrittura espressiva risulti una vera e propria terapia per verbalizzare una serie di emozioni connesse ad eventi traumatici mai del tutto rielaborati. Vediamo il perché. L'esperimento e gli studi specificiJames Pennebaker, professore di psicologia sociale presso l'Università del Texas, ha sempre sostenuto l'esistenza di un effetto terapeutico legato alla scrittura, che sarebbe rivolto non solo alla sfera psicologica del soggetto, ma altresì alla sua dimensione fisiologica e organica, cui sarebbe in grado di apportare giovamenti concreti e oggettivi anche sul lungo termine. Possiamo dire che la gran parte della sua attività di studio è stata dedicata all'indagine di tali effetti e delle modalità specifiche in cui gli stessi riescono ad estrinsecarsi. Dopo una serie di esperimenti svolti su se stesso, il professore e i suoi colleghi, nel 1988, decisero pertanto di intraprendere una sessione sperimentale volta alla verifica dell'ipotesi di partenza circa gli effetti della scrittura emotiva sul benessere psicofisico e sulla funzionalità immunitaria. Vennero così formati due gruppi di studenti universitari: uno sperimentale, al quale fu richiesto di scrivere, per un periodo di venti minuti al giorno distribuiti in 4 giorni consecutivi, la narrazione di esperienze traumatiche dagli stessi vissute, e un gruppo di controllo al quale fu invece richiesto di scrivere, per lo stesso periodo, in merito ad argomenti superficiali e privi di un particolare impatto emotivo. Molti studenti del primo gruppo, mentre scrivevano, piangevano e raccontavano di come, dal momento della narrazione scritta, avessero preso a sognare molte volte gli eventi vissuti, riuscendo a percepire nel profondo emozioni cui fino ad allora non avevano mai avuto accesso. Paradossalmente, inoltre, nei giorni immediatamente a ridosso della narrazione, i loro stati mentali erano apparsi persino peggiorati: l'impatto emotivo, particolarmente forte e traumatico, aveva contribuito a destabilizzare un'omeostasi emozionale a fatica raggiunta proprio attraverso il silenzio e la non rielaborazione. Dopo alcuni giorni, e ancor di più sul lungo termine, si verificarono invece benefici a livello psicologico, ma anche e soprattutto a livello fisico: le persone che avevano scritto in merito a traumi e ad eventi drammatici, al termine della procedura e ancor più nei mesi successivi, mostrarono una maggiore risposta ai mitogeni (fattori cellulari di crescita che svolgono un ruolo fondamentale nella proliferazione e nella moltiplicazione delle cellule infette e di quelle tumorali, causando la metastatizzazione), un notevole calo del numero di visite mediche, un incremento dell'umore positivo e del senso di autoefficacia, oltre ad un generale rafforzamento del sistema immunitario. In tali soggetti è stata, infatti, riscontrata, subito dopo le sessioni di terapia dell'espressione scritta, una maggior quantità dei linfociti t- Killer (particelle del sistema immunitario deputate al riconoscimento delle cellule tumorali o infettate da virus e alla distruzione delle stesse) e dei CD-4 (globuli bianchi la cui funzione fondamentale è quella di mantenere inalterata la funzione vigilante del sistema immunitario, garantendo una risposta tempestiva agli elementi patogeni e ai processi autoimmuni). Come ovvio, l'incremento di tali elementi comporta la riduzione della possibilità di contrarre malattie e il contestuale aumento della risposta difensiva agli agenti patogeni presenti nell'organismo. Il vantaggio in termini di salute e benessere psicofisico è ovvio quanto innegabile. Tali effetti, si specifica, non si verificarono invece nel gruppo di controllo. L'ipotesi di partenza risultò pertanto confermata, e grazie agli studi pionieristici di Pennebaker si è iniziato a sostenere con una certa unanimità che scrivere in merito ad un evento traumatico comporti i medesimi effetti positivi ottenibili attraverso una seduta condotta in un setting terapeutico. In questo caso è la scrittura stessa a svolgere il ruolo di Io Ausiliario, di contenitore delle emozioni, di ventre materno che viene svolto dallo psicologo per tutte quelle emozioni invasive e subsimboliche che appaiono così disgreganti e sconosciute. Al termine degli studi è inoltre parso che l'esperienza della narrazione scritta possa apportare effetti maggiormente positivi in alcune personalità rispetto ad altre: in particolare gli alessitimici, i maschi e le persone che hanno sperimentato traumi particolarmente gravi e mai rielaborati verbalmente(Pennebaker e Graybeal, 2001). Persino le persone appartenenti ad una comunità di minoranza stigmatizzata (gay, lesbiche, ebrei) hanno ottenuto risultati migliori rispetto al gruppo di controllo: in particolare essi dichiararono di sentirsi meno tristi e depressi un mese dopo il completamento del ciclo di scrittura espressiva. Altri studi indicano che la scrittura è associata ad una riduzione del livello di dolore e del consumo di farmaci, ad un iglior
rendimento scolastico in studenti di college (Pennebaker e Francis, 1996; Cameron e Nicholls, 1998) e a tempi più ridotti nel trovare
un nuovo lavoro in ingegneri anziani licenziati (Spera et al., 1994). Perché scrivere può far beneIn primo luogo, scrivere delle e sulle proprie emozioni può avere un effetto catartico, liberatorio, in grado di liquidare l'angoscia che un soggetto non ha potuto esprimere in altro modo (Pennebaker, 1989); scrivendo si verifica quella che nell'ipnosi psicoanalitica viene chiamata abreazione, una scarica emotiva grazie alla quale accedono al conscio vissuti conflittuali intrapsichici, in questo caso condensati in emozioni non verbalizzate e in ricordi non riorganizzati. La funzione narrativa comporta inoltre una sorta di ritrascrizione dell'accaduto, grazie alla quale è possibile mettere in
ordine gli eventi, analizzarli non solo dal punto di vista oggettivo, ma anche e soprattutto soggettivo, trasformando in linguaggio le emozioni
specifiche che allo stesso si sono accompagnate: stendere un resoconto dà luogo all'organizzazione di una narrazione coerente, alla
riflessione sull'evento, alla moltiplicazione dei punti di vista, al riconoscimento di connessioni causali tra gli stessi, alla mentalizzazione
emotiva, all'organizzazione sequenziale di quanto è accaduto. Scrivere mette dunque in ordine gli eventi da un punto di vista emotivo e
spazio temporale. Ha un effetto raziocinante, grazie al quale il soggetto può maturare diverse prospettive di valutazione in merito
agli stessi, trovare spiegazioni più complesse, polisemiche e flessibili. Narrando si verifica, inoltre, una semplificazione del ricordo, grazie al quale una storia può essere archiviata nella memoria a lungo termine o richiamata volontariamente: esattamente il contrario di quanto avviene nel PTSD, in cui le tracce mnestiche relative all'evento si alternano in modo confusionario ed intrusivo (Pennebaker e Seagal, 1999). Per questo si sostiene che la narrazione possa avere degli effetti trasformativi anche nel funzionamento della memoria di lavoro, grazie alla quale è possibile integrare informazioni pregresse con nuove conoscenze, creare inferenze tra gli eventi e ordinarli da un punto di vista strutturale e dunque sintattico. Inoltre, narrare le cose per iscritto libera la mente dalle distrazioni e dai pensieri intrusivi (Lepore, 1996). Secondo teorie più afferenti alla prospettiva comportamentale, la scrittura espressiva avrebbe un effetto analogo a quello dell'abituazione, in quanto consente al soggetto coinvolto di esporsi all'evento vissuto, proprio come farebbe in una sessione di esposizione terapeutica, e di approcciarsi allo stesso in una finalità di estinzione degli effetti negativi che lo concernono (Greenberg, Wortman e Stone, 1996). Significato emotivo della scrittura espressivaL'atto di costruire storie, scrivono Pennebaker e Seagal nel 1999, è un processo naturale che aiuta le persone a comprendere le
esperienze e se stessi. Questo processo permette di organizzare e ricordare gli eventi in un modo coerente, integrando pensieri e stati d'animo.
In sostanza, dà alle persone un senso di prevedibilità e controllo sulla loro vita. Pennebaker (1997) descrive nello specifico le modalità in cui tale scrittura deve essere realizzata, affinché gli effetti terapeutici legati alla stessa possano verificarsi: in primo luogo non è necessario scrivere sempre, né su tutto, e neppure sugli eventi più traumatici della propria vita (1997). L'importante è che lo si faccia con sincerità intellettuale, tenendo conto degli elementi oggettivi e soprattutto soggettivo-emozionali che hanno popolato gli eventi, rendendoli drammatici ma non "drammatizzabili". Né bisogna scrivere troppo, o troppo a lungo, o semplicemente per creare una strategia di evitamento dei ricordi. Scrivere non deve servire per distanziarsi da ciò che è accaduto, o per convincersi che quanto è successo riguardi qualcun altro, e dunque per evitare di affrontare certe tematiche di rielaborazione soggettiva. Scrivere sul proprio vissuto emotivo esperienziale non deve neppure diventare un'abitudine, un esercizio stilistico, un obbligo senza motivazione precipua. Deve trattarsi al contrario di un atto liberatorio, dotato di organizzazione cognitiva, di motivazione, di organizzazione oggettiva e soggettiva, in grado di mettere ordine laddove non ce n'è. E non deve neppure costituire un atto finalizzato ad ottenere pietismo e compassione, e dunque uno strumento per consentire appagamento di velleità di vittimismo e autocommiserazione. Deve servire al contrario ad esprimere con onestà narrativa ed emotiva gli eventi cui siamo stati sottoposti e dai quali ci siamo lasciati trascinare, senza per questo provare vissuti di vergogna, né tantomeno di autocompiacimento. Scrivere sempre per raccontare la verità, la propria verità personale, e da questa trarre forza psichica per il futuro. In altre parole, "scrivere dovrebbe permettervi di prendere un po' le distanze dalla vostra vita e vederla più obiettivamente" (Pennebaker, 1997). Riferimenti bibliografici
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Commenti: 11 MAURA MARIA CAISUTTI alle ore 11:14 del 06/08/2021 Molto interessante. Espresso in modo chiaro e sintetico. Grazie Cosa ne pensi? Lascia un commento
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