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Da un mazzo di marsigliesi ad un modello sistemico-relazionale

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Da un mazzo di marsigliesi ad un modello sistemico-relazionale
Descrizione di un caso clinico

L'articolo "Da un mazzo di marsigliesi ad un modello sistemico-relazionale" parla di:

  • Psicoterapia: ruolo dell'inviante e fase anamnestica
  • Dalla cartomanzia alla Psicoterapia
  • Lettura del caso clinico in chiave sistemico-relazionale
Psico-Pratika:
Numero 64 Anno 2011

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Articolo: 'Da un mazzo di marsigliesi ad un modello sistemico-relazionale
Descrizione di un caso clinico'

A cura di: Tamara Marchetti Autore HT
    INDICE: Da un mazzo di marsigliesi ad un modello sistemico-relazionale
  • Introduzione
  • La fase anamnestica
  • Lo svelamento dell'arcano: l'inviante
  • Il mio incontro con l'inviante
  • Presentazione del caso clinico attraverso le informazioni avute dell'inviante
  • Il mandato familiare
  • Presentazione del caso clinico attraverso il rapporto tra l'inviante e la paziente
  • Dalla cartomanzia alla psicoterapia
  • Lettura del caso clinico in chiave sistemico-relazionale
  • Considerazioni conclusive
Introduzione

Non esiste una formula standard che stabilisca come le famiglie o i singoli individui vengano inviati al terapista. Certo è che ogni caso è a sé, sia per l'originalità dell'inviante sia per il modo in cui un paziente vive la scelta personale di iniziare un percorso più o meno breve di psicoterapia.
Andare in terapia da uno psicoterapeuta significa iniziare a lavorare su se stessi, mettersi in gioco e imparare a definirsi.

Ritengo sia molto importante il ruolo dell'inviante, ovvero di chi suggerisce ad una persona di sua conoscenza di iniziare una psicoterapia; tanto più quando si consiglia per motivi vari un professionista specifico, fornendo cioè il nominativo dello psicologo.
E' proprio da questa figura che ha inizio la "relazione terapeutica".
Ogni relazione infatti, non inizia al momento in cui due persone si incontrano in carne ed ossa, ma prima. La relazione inizia nell'immaginario di entrambe, nella preparazione sia fisica (il vestirsi per andare, l'uscire di casa, etc.), che psicologica: come si immagina l'incontro, a cosa serve ed il suo strutturarsi.

Una situazione interessante a tal proposito mi è capitata al mio centro di "psicologia relazionale: I Sistemi" nel 2006, con una donna che mi venne inviata da una figura professionale, almeno per me, inedita.
L'inviante di questa paziente non era la classica figura: medico di base, farmacista, insegnante e o un passa parola, ma... vediamo di seguito come andarono le cose!

La fase anamnestica

Quando conobbi Elfride aveva 42 anni e fu un incontro strano, direi anomalo, in realtà aveva del "paranormale"!
Suonò al campanello del mio studio e per quel giorno avevo terminato da mezz'ora l'ultimo appuntamento con i pazienti. Guardando dalla finestra vidi questa donna dai lunghi capelli color rame, aprii la porta e scesi un po' di scale per andarle incontro, la salutai presentandomi e le chiesi se avevo dimenticato di avere questo appuntamento con lei.

La donna, pronunciando il suo nome di battesimo, si presentò chiedendomi se potevo fissarle il prima possibile un incontro per iniziare una psicoterapia di cui sentiva di avere profondamente bisogno. Qualcosa mi trattenne dal dirle di tornare nei giorni successivi, o magari di sentirci prima al telefono.
La invitai quindi a salire per compilare la scheda di accoglienza (ovvero raccolta di dati anamnestici). Mi feci descrivere il suo momento attuale e quello che ne emerse fu che, da una settimana, era uscita dalla sua casa coniugale trovando provvisoria ospitalità per lei e suo figlio di 11 anni presso un'amica d'infanzia.

Nella sua vita sentimentale c'era, da circa due anni, un altro uomo libero da vincoli matrimoniali; a legarli né la passione, né la trasgressione ma un sentimento profondo e sincero. La sincerità per entrambi era stato fin dall'inizio un valore imprescindibile ma, al contempo, Elfride mentiva a suo marito e questo la faceva soffrire anche se lei affermò che l'uomo che aveva spostato non era mai stato nulla di buono. Nonostante questo il tradimento l'aveva lacerata, facendola sentire squallida e di basso profilo morale.
A seguito di tutto questo, una settimana prima, aveva portato tutte le sue cose da questa amica; poi rivelò il suo segreto al marito.

Lo svelamento dell'arcano: l'inviante

Quel pomeriggio che venne da me, Elfride era stravolta e in un certo senso stravolse anche me.
Terminata la fase anamnestica, le fissai una data per iniziare la "psicoterapia individuale" (almeno inizialmente), informandola che se ci fosse poi stato bisogno di inserire persone significative lo avremmo visto andando avanti.
Spiegai in modo chiaro ad Elfride il mio modo di lavorare, compreso il mio orientamento sistemico-relazionale di psicoterapeuta familiare.

Elfride mi chiese se io lavorassi anche con i tarocchi in quanto lei non aveva mai avuto contatti con psicologi, ma solo con cartomanti. Mi disse che da ormai cinque anni, dopo molto girovagare, ne aveva finalmente trovata una con la quale aveva un'ottima sintonia, facendo con lei due consulti, come li definì, al mese.
Era stata proprio questa cartomante a fornirle il mio nominativo, in quanto io curavo un rotocalco di psicologia in una radio locale che questa cartomante ascoltava con interesse. Durante le trasmissioni radiofoniche veniva fornito il mio nominativo ed indirizzo dello studio, mentre solo in privato (chiamando in radio) si poteva conoscere il mio recapito telefonico.
Era ora più chiaro perché Elfride si presentò direttamente in studio senza un appuntamento telefonico come prevede la prassi.

Dopo aver ricevuto queste informazioni, chiesi ad Elfride se poteva lasciarmi il numero di telefono dell'inviante, così che se ne avessi avuto bisogno l'avrei potuta contattare.
Spiegai alla paziente che io non lavoro con i tarocchi, che sono uno strumento specifico dei cartomanti, anche se li conosco dal punto di vista del simbolismo.
Le dissi inoltre che se ne aveva bisogno, per sentirsi rassicurata, poteva portarli e li avremmo utilizzati a sfondo psicologico, non come strumento per la divinazione del futuro che non è competenza dello psicoterapeuta.
Definita la cornice del setting terapeutico salutai la donna.

Il mio incontro con l'inviante

Dopo averci riflettuto per qualche giorno, mi convinsi di contattare l'inviante prima di iniziare la terapia con la paziente.
L'obiettivo era quello di capire che tipo di relazione ci fosse tra loro ed avvicinarmi a quel mondo magico di cui tanto aveva bisogno Elfride per andare avanti.
Con Alessia, questo il nome dell'inviante, c'incontrammo nel suo studio, così mi sarei fatta un'idea di quella che era la "prospettiva" di aiuto a cui attingeva Elfride.

Di solito ho sempre avuto colloqui per la presa in carico di pazienti con medici di base, insegnanti, logopedisti o psichiatri, ma mai cartomanti. Era dunque, per un certo verso, una situazione che nel suo essere nuova aveva anche dell'affascinante!
Tendenzialmente sono diffidente, per cui il mondo della cartomanzia è a mio avviso qualcosa di pericoloso per persone fragili che si rivolgono a qualcuno per valutare il proprio futuro o magari cambiarlo attraverso amuleti o altre stregonerie.
Devo ammettere però che in Alessia trovai una persona sensibile.

Il suo studio era allestito con gusto e non metteva a disagio chi come me era fuori dall'ambito.
Alessia, che conosceva da un po' di tempo la paziente/cliente che avremmo avuto in comune, mi fece un quadro esauriente sulla sua storia di vita.

Presentazione del caso clinico attraverso le informazioni avute dell'inviante

Elfride era stata una figlia prodigio che aveva sempre saputo tenere testa a suo padre alcolista e sbandato, era il fiore all'occhiello per sua madre, mentre il fratello era un trafficante di automobili di prestigio rubate ed esportate all'estero, motivo per il quale entrava ed usciva dal carcere.
Anche il marito di Elfride, con il quale si era costruita una vita, era un amico di suo fratello e anche lui associato alla malavita.

Pertanto, sia da ragazza che poi da coniugata, la funzione di Elfride era rimasta sempre quella di occuparsi di un congiunto con problemi nello stile di vita e di illegalità, mentre lei era una persona onesta e responsabile.
Elfride, nel racconto della mia inviante, era stata per lunghi anni una donna votata al sacrificio e alla sofferenza senza mai lamentarsi, ma cercando di gestire al meglio le situazioni per mandare avanti la baracca.

Poi, l'incontro con Gianni. Lui lavora nel supermercato vicino alla scuola che frequenta il figlio di Elfride e dove lei, spesso, andava a fare la spesa.
Tra loro è amore. Le attenzioni di Gianni, un uomo onesto e pulito, resero Elfride una donna nuova, come non era mai stata prima.

Il mandato familiare

Per la prima volta Elfride non era più la "crocerossina" del suo uomo ma, dentro casa, era ora diventata lei la disonesta, questo il suo vissuto.
Questo il suo nuovo ruolo che però non le apparteneva.
Lei era stata una figlia e moglie prodigio, ma nella sua storia con Gianni era nato l'amore senza condizioni, uscendo dal suo mandato familiare.

Per mandato familiare s'intende una funzione assegnata inconsapevolmente dal sistema familiare intergenerazionale (attraversando cioè la storia di più generazioni) ad un individuo.
Uscire dal mandato quando questo diventa una funzione rigida, ovvero priva di crescita evolutiva sia per l'individuo che lo agisce sia per l'intero sistema familiare, è un aspetto sano.
A livello psicologico, però, non è né semplice né indolore.
Si tratta di liberarsi da un fardello che nell'immaginario individuale rappresenta una sorta di mostro sacro.

Questo aspetto critico generò in Elfride un conflitto interiore profondo. Da qui la spinta per iniziare a frequentare centri di cartomanzia, alla ricerca di rassicurazioni, consigli, e risposte alla domanda che l'affliggeva "è meglio rimanere legata al ruolo di 'brava donna', o vivere un sentimento onesto?".

Presentazione del caso clinico attraverso il rapporto tra l'inviante e la paziente

Quando Elfride conobbe Alessia, i suoi arcani, un mazzo di marsigliesi (i marsigliesi sono dei tarocchi tradizionali, ovvero carte per l'interpretazione divinatoria), avevano presagito ciò che poi si riscontrò nella realtà dei fatti: la separazione dal marito.
"La torre sul mondo" per dirla con i termini con cui ne parlò Alessia.
L'arcano della Torre è la chiusura, il crollo; il Mondo è l'unione, il matrimonio, la stabilità.

Elfride per uscire dal suo vissuto di "donna disonesta" rivelò la realtà al marito: di essersi quindi innamorata di un altro uomo e di voler lasciare la casa dove vivevano per ri-iniziare una sua vita.
Questa rivelazione rappresentò la spinta effettiva alla chiusura del matrimonio.
E' inutile parlare della furibonda reazione del marito e della violenza fisica nei confronti di Elfride. Non furono le percosse a far soffrire la donna, a quelle era abituata, quanto la fragilità con cui viveva il cambiamento, anche se, non sarebbe mai tornata sui suoi passi.

E' stato a questo punto di sofferenza vitale della sua cliente che Alessia le ha segnalato il mio nome.

Dalla cartomanzia alla psicoterapia

Nella fase anamnestica ebbi la sensazione che il bisogno assiduo di Elfride di ricorrere alla cartomanzia fosse un bisogno nei confronti di una fonte di aiuto che passasse attraverso la suggestione, intesa come lettura di fatti che accadranno.
In questo modo veniva lasciato poco spazio alla lettura del passato e ai cambiamenti per vivere meglio il presente quale dimensione reale e concreta.
Non sentii comunque il bisogno di entrare in competizione con la sfera della cartomanzia, tanto meno di giudicarne l'onestà, ma eventualmente arginarne la dipendenza.
Apprezzavo molto il fatto che questa cartomante, ad un certo punto, affidò ad un'altra figura professionale l'aiuto della sua cliente.

Inizialmente Elfride non ridusse i suoi consulti, anzi, durante le nostre sedute iniziali aveva sempre la necessità di parlarmi di quello che era stato il responso delle carte nel suo ultimo contatto.
Questo, a mio avviso, la faceva sentire meno sola, più protetta verso un cambiamento graduale.

Lettura del caso clinico in chiave sistemico-relazionale

Il suo sentimento di colpa per aver lasciato il marito nasceva da una mancanza di rispetto, non nei confronti di quell'uomo, ma nei confronti della sua famiglia d'origine, la quale le aveva insegnato che, per uno che sbaglia in casa, dev'esserci uno che si sacrifica ponendo rimedi.
Dopo pochi mesi di terapia individuale (circa tre), per Elfride era più importante "scegliere" che "eseguire".

La serenità che l'accompagnava in questo nuovo vissuto consentì l'ampliamento delle convocazioni in terapia; per due sedute vennero anche i genitori.
Come affermava Whitaker, "tanto più si amplia il gruppo dei convocati in terapia, tanto più si può aiutare il singolo".

Nella fase iniziale della terapia, Elfride portava il vissuto che i suoi genitori non si sarebbero mai ripresi da una tale ferita da lei inflittagli (il suo divorzio).
Al momento dell'incontro invece i genitori si rivelarono due persone morbide e cariche di sofferenza per tutto quello che da sempre hanno vissuto, tra vicissitudini ed espedienti.
Il fatto che Elfride avesse lasciato il marito, anche lui persona inaffidabile, ebbe la benedizione del padre: questi arrivò a chiedere perdono, in lacrime, prima alla moglie e poi alla figlia, per quanto le avesse fatte soffrire.

Considerazioni conclusive

In tutta questa trasformazione di vissuti ed agiti non c'era di mezzo la bacchetta magica di Alessia.
La sua compartecipazione, ad un certo punto, fece capire ad Elfride che erano maturi i tempi per fare un salto di qualità nella sua vita: apportare concretamente cambiamenti importanti e non più limitarsi a sognare il cambiamento.

Quando un individuo è pronto a staccarsi dalla cronicità del passato significa che anche il contesto familiare lo è in modo altrettanto definito, manca solo il coraggio per iniziare a condividere questo passaggio.
Dunque, il successo della terapia è dato anche dal momento giusto in cui si inizia a lavorare su se stessi e sui propri vissuti.
Andolfi, già dal tempo in cui ero una tesista, mi ha insegnato che la vittoria del terapista segna la sconfitta della famiglia con la quale si lavora.

Va pertanto espresso che irrigidirsi, su vedute o posizioni individuali per non "contaminarsi", evita al terapista di essere funzionale nei confronti di chi si rivolge a lui per realizzare un progetto di aiuto.
Diventa pertanto necessario sporcarsi fino in fondo le mani con i problemi che il paziente presenta.
In altri termini, a partire dall'inviante fino alla storia familiare intesa come radici, tutto va snocciolato e conosciuto da vicino.
Arroccarsi nel proprio studio, senza che questo si ampli e si integri, non consente una relazione di aiuto nei confronti di chi viene a chiedercela.

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