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Le emozioni che spezzano il cuore

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Le emozioni che spezzano il cuore
La sindrome "Tako-Tsubo" nel paradigma PNEI

L'articolo "Le emozioni che spezzano il cuore" parla di:

  • PsicoNeuroEndocrinoImmunologia
    La sindrome di "Tako-Tsubo"
    Studio su gruppo di persone affette dalla sindrome
Psico-Pratika:
Numero 143 Anno 2018

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Articolo: 'Le emozioni che spezzano il cuore
La sindrome "Tako-Tsubo" nel paradigma PNEI'

A cura di: Roberta Dell'Acqua
    INDICE: Le emozioni che spezzano il cuore
  • PsicoNeuroEndocrinoImmunologia: "Mens sana in corpore sano"
  • La sindrome di "Tako-Tsubo" curata con la PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologia)
  • Modello di intervento
  • Dati e metodi
  • Il Gruppo sperimentale e il gruppo di controllo a confronto
  • Conclusioni
  • Altre letture su HT
PsicoNeuroEndocrinoImmunologia: "Mens sana in corpore sano"

"Il cuore si spezza in un sacro silenzio.
Ma all'interno lascia un'eco, assordante.
È la sua voce, che ora pretende ascolto"

La PsicoNeuroEndocrinoImmunologia è un nuovo modo per prendersi cura dell'essere umano.

Non è possibile avere un corpo sano se la mente è inquieta e disturbata, insegnava Giovenale quasi 2000 anni fa con il celebre "mens sana in corpore sano".
Se la psicosomatica ha dimostrato la connessione tra mente e corpo, sottolineando come il sistema vegetativo sia il tramite, lo strumento attraverso cui un'emozione si esprime nel corpo, con la nascita della PsicoNeuroEndocrinoImmunologia si inizia a studiare la mediazione neurochimica delle emozioni e come queste influenzino lo stato di salute e di malattia, e quindi il sistema immunitario.

La PsicoNeuroEndocrinoImmunologia, o più brevemente "PNEI", può essere considerata come lo studio delle relazioni tra sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario e la psiche, cioè l'identità emozionale e cognitiva che contraddistingue ciascun individuo.
La PNEI è dunque una scienza che studia la mediazione psiconeurochimica delle emozioni e degli stati di coscienza che influenzano i tre sistemi e che determinano uno stato di Salute o di Malattia. Questo concetto è fondamentale per comprendere che ogni stato emotivo (amore, paura, dolore, ansia, rabbia) è veicolato nel corpo da specifici neurotrasmettitori e scatena risposte neurovegetative, endocrine e immunitarie che causano disequilibrio e disarmonia dei sistemi che interagiscono tra loro per il raggiungimento di un'omeostasi interna dell'organismo, e quindi di uno stato di salute e benessere dell'intera persona. Tutto ciò significa che l'intero corpo "pensa", che ogni cellula "sente", "prova emozioni", riceve informazioni psicofisiche e le trasmette all'intero organismo attraverso una fitta rete di interconnessioni comunicative.

Considerando come imprescindibile l'unione tra la mente e il corpo, i recettori rappresentano le basi biochimiche delle emozioni ed è pertanto evidente che le emozioni contribuiscono ad influenzare lo stato di salute e la malattia.
Studi recenti dimostrano che anche patologie come l'aterosclerosi, tradizionalmente concepite come frutto dell'eccesso di colesterolo nel sangue, sono fortemente condizionate dall'umore: la depressione, ormai considerata una patologia infiammatoria, contribuisce ad alterare la parete interna dei vasi, favorendo la formazione della tipica lesione aterosclerotica. Vivere una vita infelice e piena solo di preoccupazioni fa ammalare; provare emozioni negative intense e persistenti, non avere interessi e chiudersi in se stessi sono fattori di rischio molto importanti che dovrebbero essere considerati dalla classe medica in modo più serio. Smettere di fumare, mangiare sano e iniziare costante attività fisica è importante e faticoso; ma quanta importanza e quanta fatica c'è dietro il volersi bene, l'amarsi e il desiderare di stare bene?

La sindrome di "Tako-Tsubo" curata con la PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologia)
Le emozioni che spezzano il cuore

Il cuore, "l'imperatore del corpo" per i cinesi, sin dall'antico Egitto era considerato un contenitore di pesi emotivi, di sforzi e fatiche che la persona compie durante la vita. Noi oggi usiamo espressioni come "ho un peso sul cuore, mi hai spezzato il cuore, ho il cuore pieno di dolore" che sottolineano il legame profondo esistente tra emozioni e corpo.
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte in tutti i paesi occidentali ed è importante sottolineare come gli aspetti psico-sociali incidano profondamente sulla prevenzione della patologia ma anche su gestione dei percorsi di cura, aderenza alla terapia e qualità della vita delle persone.
Una situazione specifica che evidenzi come il benessere psicologico abbia un valore determinante nella salute della persona può essere rappresentata dalla cardiopatia denominata "Tako-Tsubo": chiamata anche "sindrome da crepacuore", tale cardiopatia simula l'infarto miocardico senza però l'evidenza coronarografica di coronarie con placca critica.

Partendo dalla mia personale esperienza come cardiopsicologa, vorrei qui trattare la patologia cardiaca in un'ottica Pnei, e in particolare la sindrome Tako-Tsubo.
Nello specifico si è costruito uno studio prendendo in considerazione tutte le persone affette da sindrome Tako-Tsubo nell'arco di 2 anni presso l'azienda Socio Sanitaria Territoriale Ovest Milanese, presidio di Legnano e di Cuggiono.
L'obiettivo del lavoro è stato quello di approfondire l'entità della patologia cardiaca nella sua complessità e in particolare sottolineare l'esigenza di una prevenzione secondaria nel genere femminile.
Lo studio ha proposto un percorso personalizzato di sostegno a pazienti donne affette da sindrome Tako-Tsubo con l'obiettivo di incrementare la loro consapevolezza verso la situazione di salute nella sua complessità e quindi una maggiore capacità di conoscenza e di presa in cura di sé.

Modello di intervento

Lavorando in un modello PNEI non solo si evidenzia la connessione tra cuore ed emozioni, ma anche l'importanza di un supporto alla persona multidisciplinare e integrato.
Il termine "Tako Tsubo" indica una sindrome clinica recentemente descritta che può mimare l'infarto miocardico acuto: è caratterizzata da una disfunzione sistolica ventricolare sinistra reversibile, in assenza di lesioni coronariche significative e generalmente scatenata da forte stress fisico/emotivo.
Essa prende il nome dal fatto che le alterazioni cinetiche coinvolgono preferenzialmente l'apice del ventricolo sinistro che assume una forma simile a quella di un cestello (nassa) usato dai pescatori giapponesi per la cattura dei polpi.
L'eziopatogenesi della malattia non è ancora stata definita con chiarezza, ma sono stati ipotizzati diversi meccanismi, tra cui lo spasmo coronarico multivasale, un danno miocitario diretto, indotto dalle catecolamine.

Per rispondere all'esigenza di un modello preventivo e terapeutico mirato sulla sindrome Tako-Tsubo, ho svolto uno studio presso l'Azienda Socio Sanitaria Territoriale Ovest Milanese, presidio di Legnano e di Cuggiono con la collaborazione di un'equipe multidisciplinare (cardiologo, infermiere, fisioterapista).
Inizialmente si è voluto verificare all'interno dell' Azienda Ospedaliera l'incidenza del fenomeno Tako Tsubo nel genere femminile, e successivamente si è progettato un modello di intervento psico-educazionale di prevenzione secondaria.
Un gruppo sperimentale di pazienti donne ha usufruito di un counseling psicologico personalizzato individuale e di gruppo durante la riabilitazione e nel post degenza ed è stato confrontato con un gruppo di controllo di donne dimesse dall'ospedale senza alcuna informazione sull'accaduto e nessun colloquio con una figura psicologica.

Dati e metodi

È stato consultato il database del presidio ospedaliero di Legnano degli ultimi 4 anni (da gennaio 2012 a gennaio 2016). La ricerca comprendeva esclusivamente persone di sesso femminile ricoverate per infarto o sindrome coronarica acuta, diagnosi causata da una stenosi delle arterie coronarie che può determinare sintomi di angina pectoris o la condizione di infarto miocardico (MI). Il campione complessivo è stato di 250 donne, di età compresa tra i 18 e i 92. Si sono estrapolate 12 cartelle cliniche che presentavano come diagnosi in dimissione la sindrome Tako-Tsubo: 5 donne si sono ammalate negli ultimi due anni e sono state seguite con un supporto psicologico durante il ricovero, costituendo il gruppo sperimentale; 7 donne, invece, hanno avuto un infarto prima del 2014 e non hanno avuto alcun tipo di supporto psicologico.
Sono state contattate le 12 donne ed è stata somministrata loro un'intervista strutturata per verificare lo stato di salute ad un anno dalla diagnosi di malattia. Attraverso una serie di domande si è analizzata la situazione clinica (numero di nuovi ricoveri, aderenza alle visite di controllo, aderenza alla terapia farmacologica e stile di vita come alimentazione sana, astinenza dal fumo, attività fisica regolare) e psicologica. Nello specifico le variabili psicologiche considerate sono state: ansia e depressione, comprensione della situazione di malattia, consapevolezza dei fattori di rischio, motivazione al cambiamento, gestione dello stress, paura di eventi critici di malattia nel futuro.
Nel gruppo di ricerca il 30% presentava fattori di rischio legati alla dislipidemia e pressione alta; il 70% era in sovrappeso e sedentario; la totalità del campione attribuiva lo stress come fattore di rischio della malattia.
Nello specifico la totalità delle donne intervistate dichiarava di essere, da almeno un anno, in una condizione psico-fisica di malessere che comprendeva apatia-nervosismo alternate da fasi depressive e ansia non gestibile, con conseguente fatica nella regolazione dei ritmi sonno-veglia.
Lo stress per la quasi totalità del gruppo era derivato dall'ambito lavorativo e per il 70% anche da preoccupazioni legate all'ambiente familiare.
Un 40% considerava stressante anche l'ambito sportivo, non più vissuto come un piacere ma percepito come una richiesta di prestazione, competizione e alta performance.
La malattia di un proprio caro è vissuta per il 60% una fonte di forte stress.
Andando ad approfondire l'ambiente lavorativo, tutte le donne dello studio erano lavoratrici: l'80% viveva a più di 40 km dal posto di lavoro e dichiarava di lavorare dalle 5 alle 10 ore in più alla settimana rispetto al proprio contratto.
Il 20% erano turniste e la quasi totalità (80%) di loro dichiarava di svolgere un'attività lavorativa senza alcuna gratificazione motivazione.
Questo è in linea con i molti studi in letteratura che dimostrano come il lavoro su turni destabilizzi il ritmo circadiano, crei disequilibrio ormonale, alterazioni dell'umore e aumenti la difficoltà ad essere aderenti ad un'alimentazione sana e ad una attività fisica regolare.
In una ottica Pnei, questi aspetti meritano, quindi, di essere considerati quando si prende in cura la persona e il suo ambiente sociale, poiché possono diventare determinanti nella sua qualità di vita.

Il Gruppo sperimentale e il gruppo di controllo a confronto

Per verificare l'efficacia dell'intervento psicologico, le donne del campione di ricerca hanno risposto ad una serie di domande riferite al loro stato di salute ad un anno dall'intervento. Proprio perché la sindrome "Tako-Tsubo" è una patologia collegata allo stress, è stato fondamentale approfondire la capacità di gestione di stati emotivi ansiosi, il livello di resilienza, la capacità di problem solving e di trovare strategie di coping.

Per quanto riguarda la conoscenza della situazione clinica (e quindi i fattori di rischio della malattia) c'è un grosso divario tra chi ha avuto un supporto psicologico durante il ricovero e chi invece è rimasto "abbandonato" con la propria personale conoscenza dell'accaduto. Significativo è notare la grossa diversità esistente tra il cambiamento di stile di vita (alimentazione, attività fisica, gestione dello stress) nei due gruppi.
Solamente il gruppo sperimentale ha mostrato un'attenzione all'alimentazione sana, all'attività fisica costante e alla ricerca di un maggior benessere psicologico grazie anche alla miglior gestione dello stress attraverso esercizi sulla respirazione e il rilassamento del corpo.
Il gruppo di controllo, non avendo avuto alcun aiuto psico-educazionale, non ha dimostrato una forte motivazione ad un cambiamento di stile di vita; non solo per quanto riguarda l'alimentazione o il movimento, ma anche nella sfera sociale e lavorativa. Una paziente riferisce addirittura di non aver mai capito di aver avuto un vero e proprio infarto e che lei ha considerato l'evento come pura fatalità.

Molto interessante è anche il dato relativo al valore attribuito all'evento di malattia: le persone appartenenti al gruppo sperimentale hanno attribuito un senso all'esperienza di malattia e dunque un significato profondo alla loro stessa vita.
Le donne del gruppo sperimentale hanno piano piano compreso la necessità di un cambiamento radicale non solo attraverso una maggiore attività fisica e un'alimentazione con meno grassi saturi a tavola, ma anche un cambiamento e una trasformazione interiore. La malattia ha permesso loro di sperimentare la paura della morte, la fragilità, la perdita di certezze e di valorizzare certi aspetti della loro vita. Lavorando sulla consapevolezza, è nata la ricerca di senso.
Questa dimensione non è comparsa in nessuna delle donne del gruppo di controllo: ricoverate per pochi giorni e subito dimesse senza alcun supporto psicologico, si sono trovate da sole con nuove medicine da prendere.

Gli incontri psicoeducazionali proposti al gruppo sperimentale si basavano sulla conoscenza della patologia e fattori di rischio, alimentazione sana, attività fisica costante, gestione dell'ansia e stress attraverso esercizi di respirazione e tecniche di training autogeno. Alla fine della degenza le persone avevano del materiale informativo da portare a casa e un cd di rilassamento per continuare gli esercizi in modo autonomo. La gestione dell'ansia e dello stress è stata, infatti, una delle maggiori difficoltà nella maggior parte delle persone: non solo i pazienti riportano fatica a controllare stati emotivi intensi negativi (rabbia-nervosismo-preoccupazione-ansia) ma anche poca dimestichezza con i segnali del proprio corpo.

Conclusioni

Il dramma di una malattia non è mai solo fisico e la sofferenza psichica necessita di essere accolta e considerata per permettere alla persona una ripresa psico-fisica e una qualità di vita migliore.
L'uomo è un individuo bio-psico-sociale e tutte le dimensioni mutano inevitabilmente davanti ad un cambiamento.
Curare il cuore attraverso il modello Pnei ha permesso di prendersi cura non solo dell'organo ma soprattutto della persona, poiché la mente, il cuore e il mondo sociale in cui si è inseriti, si influenzano continuamente.

Altre letture su HT
Commenti: 2
1 Maria Luisa alle ore 19:27 del 06/02/2018

Ottimo articolo e molto puntuale. grazie

2 Erminia De Paola alle ore 02:16 del 18/02/2018

Come psicologa ritengo sia necessario diffondere e promuovere una cultura del benessere che consideri l'essere umano, la persona, un'unità integrata nei suoi diversi aspetti (fisici, psicologici, sociali, spirituali), in cui il contesto ambientale e la rete territoriale ed i professionisti coinvolti  assumono  una valenza determinante nella gestione della malattia. La cultura del benessere va di pari passo con il garantire una qualità di vita adeguata alla persona. Le ricerche che confermano i legami tra psiche e soma rappresentano uno stimolo ed un'opportunità di riflessione per chi si occupa di politica sanitaria: formazione e programmi di promozione di percorsi della salute ad iniziare dalla scuola. Diffondere e consolidare un nuovo modo di fare sanità implica impegno, serietà, responsabilità e risorse economiche. Evitando sperperi e favorendo la ricerca.

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