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Psicologia Clinica: definizione del problema per progettare l'intervento psicologico
L'articolo " Psicologia Clinica: definizione del problema per progettare l'intervento psicologico" parla di:
- La visione del problema da parte del paziente
- Ampliare il nostro campo di osservazione
- Domande utili da utilizzare durante il colloquio
Articolo: 'Psicologia Clinica: definizione del problema per progettare l'intervento psicologico'
INDICE: Psicologia Clinica: definizione del problema per progettare l'intervento psicologico
- Introduzione
- Come la persona vede il problema
- Ampliare il campo di osservazione
- Altre letture su HT
Introduzione
Negli anni ho imparato, naturalmente anche grazie agli errori, che un buon intervento psicologico (che si tratti di psicoterapia, di consulenza
aziendale o di un percorso di coppia o di orientamento) funziona bene quando siamo stati capaci di definire con molta chiarezza qual è il
problema che la persona o l'organizzazione ci porta.
Una corretta comprensione e definizione del problema ha due grandi vantaggi:
- semplifica la definizione dell'obiettivo;
- aiuta già il nostro cliente/paziente a fare chiarezza e quindi svolge una prima funzione di intervento.
In questo articolo mi focalizzerò esclusivamente sulla corretta definizione del problema nel contesto delle consulenze individuali,
quando cioè le persone si rivolgono a noi per un problema specifico.
Come la persona vede il problema
Chiaramente è molto importante comprendere come la persona identifichi il problema, quali consideri i suoi "punti di dolore" principali,
quali pensa siano le cause di tali punti di dolore. Proprio per queste motivazioni risulta molto efficace aprire il colloquio con la domanda:
cosa la porta qua da me?
A questo punto è importante focalizzare la nostra attenzione su alcuni aspetti mentre la persona risponde:
- Da dove sceglie di iniziare a raccontare il problema?
Questo aspetto ci dà informazioni su ciò che la persona consideri l'aspetto principale (o uno dei principali) del suo "punto di dolore".
- Com'è il suo linguaggio non verbale e paraverbale (movimenti del corpo, tono di voce ecc.)?
Osservare questi aspetti ci consente di formulare ipotesi circa le emozioni che entrano in gioco nel problema che la persona ci porta. In particolare,
può emergere un forte coinvolgimento emotivo dove predominano, ad esempio, emozioni legate alla tristezza o alla rabbia o alla paura. In altri
casi, potremmo osservare una coloritura emotiva scarsa o addirittura assente. Questi indicatori sono molto preziosi per formulare ipotesi relativamente
alla scelta degli strumenti di lavoro. Ad esempio, se una persona parla della rottura di una relazione importante descrivendola come dolorosa ma senza
mostrare alcuna emozione, è possibile che io scelga di aspettare a proporre un intervento EMDR dove è importante che ci sia una connessione
tra narrazione ed emozione. Se una persona appare pervasa dalla tristezza ipotizzerò un intervento che punti alla regolazione emotiva.
- Quali informazioni predilige, quelle fattuali centrate sugli avvenimenti o quelle emotive centrate sui suoi vissuti?
Questo aspetto ci permette di formulare ipotesi su come la persona filtri ed elabori le informazioni. Tuttavia, queste informazioni da sole non ci
bastano in quanto la persona potrà dare per scontate delle cose, ometterne altre, dare più importanza ad alcuni aspetti piuttosto che
ad altri che, dal suo punto di vista, sono meno importanti.
Ampliare il campo di osservazione
Il nostro obiettivo, nella definizione del problema, è quello di ampliare il campo di osservazione acquisendo più elementi utili
possibili che ci consentano di comprendere meglio che cosa stia effettivamente accadendo nella vita della persona per aiutarla, in prospettiva, a
renderla consapevole di aspetti che magari non vede o che continua ad agire in modo ripetuto e disfunzionale. Ricordiamoci, infatti, che la persona si
rivolge a noi perché ha un problema che da sola (e quindi con la sua prospettiva e le sue strategie attuali) non sta riuscendo a risolvere.
Ad esempio, una persona che porta il dolore e la fatica che sta vivendo in un rapporto di coppia, potrebbe parlarci di quanto i comportamenti del
partner siano inaccettabili, di quanto si senta screditata, poco compresa e accettata. Tuttavia, potrebbe omettere il modo in cui lei reagisce a
questi comportamenti, perché dà per scontato che l'altra persona sia colpevole e causa del proprio malessere.
Il nostro compito di psicologi, però, non è quello di stabilire i colpevoli (io sottolineo sempre che questo è mestiere
dei giudici ma non degli psicologi), ma di comprendere come funzioni un problema. Questo è un passaggio fondamentale da chiarire con la
persona perché:
- sgombriamo il campo da possibili aspettative. Se la persona si fosse rivolta a noi con l'obiettivo inconsapevole di avere la nostra conferma
sul fatto che sia lei ad avere ragione e l'altra persona quella che sbaglia, in questo modo comprende che non è quello l'aiuto che possiamo
dare;
- impedisce a noi di cadere in inutili dinamiche collusive. Noi possiamo validare i sentimenti ed entrare in relazione attraverso l'empatia,
ma non abbiamo il compito di stabilire chi ha ragione e chi sbaglia.
Per ampliare il campo di osservazione, possiamo servirci di alcune domande:
- Da quanto tempo va avanti il problema che la persona ci porta? Ci sono stati eventi scatenanti? Se non ci sono stati, c'è un
periodo di vita in cui il problema non si presentava?
In questo modo iniziamo a definire un perimetro temporale del problema e indicazioni su possibili cause scatenanti.
- Il problema coinvolge anche altri? Quali persone coinvolge? Quale spiegazione si dà sul fatto che il conflitto si presenti con
certe persone piuttosto che con altre?
In questo modo iniziamo a mettere a fuoco il tipo di relazioni in cui il problema si presenta (familiari? Lavorative? Con persone dell'altro
sesso? Con persone che non conosce? Con quelle che conosce bene?). Questo ci aiuta a orientare il nostro sguardo sul funzionamento di certe
dinamiche relazionali.
- Quale ruolo pensa di avere la persona nel problema che porta?
Questa domanda è molto importante perché spesso, come dicevamo, la persona identifica gli altri come unica causa perdendo di vista
come i suoi comportamenti influenzino la dinamica. Se, ad esempio, un uomo ci parla di una compagna screditante alle cui critiche reagisce con il
silenzio è importante tener presente che quel silenzio è una scelta comunicativa che ha comunque un peso sulla dinamica di coppia.
Se una madre lamenta il fatto che il figlio non le risponde quando gli parla e dichiara di reagire gridando e minacciando il figlio, occorre tenere
presente che questa reazione ha un peso nella relazione. Spesso le persone non hanno chiaro questo aspetto ed è importante facilitarle
affinché ne prendano consapevolezza stando molto attenti a far passare il concetto che non si sta parlando di colpe ma di causa-effetto.
- In quali situazioni si presenta il problema?
Questa domanda dà informazioni sui contesti in cui si presenta e quelli in cui non si presenta. Da qui si può quindi
andare avanti, ad esempio, individuando le emozioni che la persona sperimenta nei diversi contesti e come si percepisce all'interno di essi
(ad esempio capace, incapace, forte, impotente, etc.) per iniziare a costruire come reagisca in alcune occasioni piuttosto che in altre.
- Come ha provato a fronteggiare il problema fino ad ora?
Domanda utile a capire quali sono le strategie messe in atto e come queste abbiano funzionato. Molto spesso le persone sono portate, a
volte senza rendersene conto, a utilizzare sempre la stessa strategia per cercare di risolvere una situazione anche quando questa non ha successo.
Un esempio tipico è l'utilizzo della strategia di evitamento nei soggetti ansiosi; ad esempio, provo ansia nei contesti in cui devo parlare
in pubblico ed evito di fare discorsi in pubblico nei contesti di lavoro, poi con il tempo evito di fare discorsi in pubblico anche in contesti
informali, poi davanti ai miei familiari, etc. Far riflettere la persona sull'efficacia della strategia nel breve e nel lungo termine può
essere utile per iniziare a predisporre la persona verso modi di reagire alternativi.
- Come sarebbe la sua vita senza quel problema?
Domanda da non sottovalutare perché non è sempre detto che le persone il problema vogliano davvero superarlo.
O meglio, non è detto che siano sempre disposte a superarlo cambiando le regole. Ad esempio, ci sono persone che con questa domanda hanno
preso consapevolezza del fatto che in assenza di quel problema si sarebbero sentite vuote o inutili. Penso ad una donna che lamentava un forte
stress causato dal prendersi cura della madre che le faceva continue richieste e pretendeva costanti attenzioni. Questa donna si è resa
conto che se non si fosse presa cura della madre la sua vita non avrebbe avuto senso perché prendersi cura della madre era il senso della
sua esistenza presente. Oppure penso a quel ragazzo che non amava più il suo lavoro ma all'idea di lasciarlo si sentiva molto in ansia
perché avrebbe dovuto confrontarsi con le critiche della sua famiglia, cosa che non era disposto a considerare, tanto che la sua richiesta
era poi diventata: vorrei trovare il modo di riuscire a convincere i miei familiari a non criticarmi se non cambio lavoro. Questo non
può chiaramente essere un obiettivo terapeutico perché punta sul cambiamento dell'altro e non sulla messa in gioco della persona
che sceglie di lavorare su di sé.
Questi sono esempi di domande che possono aiutarci nella definizione del problema. Chiaramente è importante che lo psicologo formuli
tutte quelle domande funzionali al raggiungimento di questo obiettivo; il suggerimento è quello di non dare per scontato nulla e analizzare
il problema quanto più nel dettaglio possibile, tenendo conto contemporaneamente delle informazioni sui fatti e di quelle sulle emozioni.
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