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Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza diretta

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Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza diretta

L'articolo "Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza diretta" parla di:

  • Definizione, principi e obiettivi del Debriefing
  • Intervento psicologico di gruppo a San Giuliano di Puglia
  • Esiti concreti nella prevenzione del PTSD e valutazioni
Psico-Pratika:
Numero 71 Anno 2011

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Articolo: 'Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza diretta'

A cura di: Francesca Emili Autore HT
    INDICE: Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza diretta
  • Premessa
  • Cos'è il Debriefing?
  • Il Debriefing a San Giuliano: la mia esperienza come psicologa
  • Conclusioni
  • Bibliografia
Premessa

Alle 11:33 del 31 ottobre 2002 una violenta scossa di terremoto colpì il Molise e in particolare il paese di San Giuliano di Puglia. L'unico edificio che venne distrutto completamente fu la scuola del paese, sotto le macerie rimasero intrappolati 57 bambini, 8 insegnanti e 2 bidelli.
Morirono 27 bambini e una maestra (tutta la prima elementare).

Facevo parte di un'associazione che si occupava di psicologia dell'emergenza e il 5 novembre sono partita con tre colleghi per offrire sostegno psicologico alle famiglie delle vittime. L'obiettivo del mio intervento era principalmente la prevenzione del Disturbo Post Traumatico da Stress.
Tra gli strumenti che sono stati utilizzati, ho applicato il Debriefing.

Cos'è il Debriefing?

Il Debriefing è un intervento psicologico di gruppo, condotto da uno psicologo esperto di situazioni di emergenza, con l'obiettivo di ridurre o eliminare le conseguenze psicologiche a seguito di una situazione di emergenza (PTSD, Disturbo Post Traumatico da Stress).

Spesso la tecnica del Debriefing viene assimilata alla Psicologia dell'Emergenza, in realtà è uno dei suoi strumenti più utilizzati. Le sue sette fasi soprattutto rassicurano lo psicologo di fronte al caos della situazione di emergenza.

In una situazione di emergenza lo psicologo deve essere colui che mantiene la mente lucida e razionale, deve comportarsi da sano mentre tutti intorno a lui possono avere comportamenti non equilibrati. Ma anche se lo psicologo che è intervenuto in una situazione di emergenza non ne è stato toccato direttamente (a volte arriva da fuori, ma spesso può far anche parte della popolazione colpita dall'emergenza), spesso può soffrire degli stessi sintomi di cui soffrono le persone direttamente colpite.

Il Debriefing fa parte dell'intervento completo denominato CISM (Critical Incident Stress Management), che prevede:

  • formazione preventiva
  • supporto immediato
  • defusing
  • debriefing
  • supporto a lungo termine

Inizialmente (Mitchell, 1983) era rivolto ai soccorritori e doveva essere svolto tra le 24 e le 96 ore successive all'emergenza, quando l'esperienza non è ancora "digerita".
Anche se ci sono diverse opinioni riguardo al momento migliore per svolgerlo.

Il Debriefing permette, attraverso il lavoro di gruppo e le sue fasi, di affrontare progressivamente fatti, pensieri, emozioni e sintomi, per organizzare un primo parziale senso dell'avvenimento che sia condiviso con gli altri partecipanti del gruppo.

Le sette fasi "classiche" del protocollo di Mitchell sono:

  1. Introduzione (alla situazione e al lavoro di gruppo)
  2. Discussione dei Fatti (ricostruzione degli eventi, attraverso i racconti e le prospettive di tutti i partecipanti)
  3. Discussione dei Pensieri (che i partecipanti hanno avuto durante l'evento)
  4. Discussione delle Emozioni
  5. Discussione dei Sintomi (eventualmente provati nelle ore o nei giorni successivi all'evento critico)
  6. Fornire Informazioni (i conduttori riferiscono dei cenni teorici sulle reazioni post-traumatiche e forniscono dei riferimenti pratici a cui eventualmente rivolgersi nei giorni successivi)
  7. Conclusione (informale, spesso bevendo e mangiando qualcosa insieme)

In alcuni approcci europei si aggiunge, tra la sesta e la settima fase, una fase aggiuntiva, detta del "Rito". Questa consiste in una chiusura dell'incontro utilizzando simbolicamente una canzone, una preghiera o altro che sancisca quanto detto dell'incontro e saluti solennemente il gruppo.

Obiettivi del Debriefing:

  • mettere in comune le esperienze
  • rinforzare il legame sociale
  • elaborare nel gruppo le emozioni più significative
  • superare i problemi con supporto degli altri

A questa tecnica spesso vengono rimproverati una serie di aspetti: a volte viene praticato da persone non qualificate, presenta una rigidità eccessiva delle fasi e presta poca attenzione alle dinamiche di gruppo.

Per venire incontro a queste osservazioni, diversi autori negli anni hanno proposto delle modifiche alla struttura di base.

Nel "Process Debriefing" (europeo) Dyregorv propone una minore definizione tra le fasi, sottolinea l'importanza che i gruppi siano il più possibile omogenei e presta più attenzione alle dinamiche di gruppo.

Jones nel "Debriefing operativo" (1998) pensa a uno spazio sia per il gruppo colpito che per l'équipe curante in più di un incontro, con minore rigidità tra le fasi.

L'approccio francese (De Clercq, Lebigot, Crocq) nel "Debriefing dinamico" pone molta attenzione alle dinamiche di gruppo, lo applica più avanti nel tempo rispetto all'evento traumatico e lo vede come un primo aggancio per una presa in carico individuale.

Il Debriefing a San Giuliano: la mia esperienza come psicologa

L'associazione della quale facevo parte è stata una delle prime a intervenire a San Giuliano. La protezione civile ci ha assegnato due tende all'interno del primo campo allestito subito dopo il terremoto.

Tutto il paese è stato evacuato e tutti gli abitanti occupavano tende all'interno del centro sportivo. In una di queste due tende è stato svolto una settimana dopo il terremoto l'intervento di Debriefing. Con gli altri colleghi abbiamo promosso l'incontro parlandone con le persone che incontravamo alla mensa o tra le tende. Hanno partecipato una ventina di persone, tutte adulte.

L'applicazione delle fasi è stata molto rigida, nei modi e nei tempi.

È stato lasciato spazio a ogni partecipante per raccontare la propria esperienza e le proprie emozioni, ma molto spesso si è dovuti intervenire per arginare racconti che andavano al di fuori del nostro obiettivo.
Tutte le persone si conoscevano tra loro, se non erano addirittura parenti o colleghi di lavoro, e questo a mio avviso ha influenzato la spontaneità degli interventi.

Al termine dell'incontro ho avuto l'impressione che le persone uscissero dalla tenda deluse, forse aspettandosi qualcosa di più "risolutivo".
Nei giorni successivi chi aveva partecipato al gruppo non si è più rivolto spontaneamente agli psicologi.
Secondo me i partecipanti sentivano o di "aver già parlato con uno psicologo" o che se l'intervento degli psicologi si riduceva a quello non era così necessario.

Successivamente ho svolto numerosi colloqui individuali con le persone incontrate nel campo o nella mensa, colloqui che si sono poi ripetuti nelle settimane e hanno permesso di creare un rapporto "umano" molto significativo.

Aver svolto questo intervento quando le persone erano ancora troppo prese dal risolvere problemi pratici (recuperare gli occhiali nella casa con l'aiuto dei vigili del fuoco, trovare gli omogenizzati per il figlio o la dentiera per la nonna, ecc.) non ha permesso loro di poter far propri tutti i benefici che l'intervento avrebbe potuto dare se avessero avuto lo spazio mentale per elaborare gli aspetti emotivi della loro esperienza.
I loro racconti sono stati arginati perché non sforassero dal nostro "schema" e il nostro ascolto non ha risposto alle esigenze che forse erano prioritarie in quel momento.

Conclusioni

Non c'è un'evidenza dell'efficacia del Debriefing nella prevenzione del PTSD, ma può essere utile per alleviare comunque altri sintomi.

Inizialmente si riponevano troppe aspettative sulla sua efficacia: effettivamente è difficile che un singolo incontro di circa novanta minuti possa avere la capacità di prevenire un disturbo tanto articolato.

In generale il rischio di sviluppo di un PTSD è comunque molto basso anche nelle persone che presentano reazioni emotive patologiche subito dopo l'evento critico: la sindrome da stress post traumatico negli adulti viene segnalata dal 1% al 9,2% (Fairbank , Schelenger, Saigh e Davidson, 1995).

In un intervento in emergenza è importante avere le idee chiare rispetto al taglio e all'obiettivo del nostro intervento e al tipo di destinatari ai quali deve essere rivolto. Quindi se con il Debriefing l'obbiettivo è offrire un primo momento di elaborazione delle emozioni e degli "spazi di ascolto", questo strumento è comunque ritenuto molto utile dagli operatori e dai partecipanti stessi; mentre se l'obiettivo è prevenire l'insorgenza dei sintomi del PTSD a mio avviso la sua potenza viene sopravvalutata.

Applicare questo tipo di intervento aiuta l'operatore a giustificare la propria presenza con uno strumento molto strutturato, ad avere più sicurezza, a sentirsi parte di un gruppo e più autorevole.
Lo psicologo sente di "fare qualcosa" nel caos che ha intorno, si sente maggiormente protetto dalle emozioni rispetto ad esempio a un colloquio libero non strutturato.

Nella mia esperienza specifica penso che sia stato svolto troppo precocemente, quando le persone erano prese dal risolvere ancora tantissimi problemi quotidiani.
All'epoca non mi è sembrato di essere stata di particolare aiuto.

Credo che abbia funzionato di più, e sia stato apprezzato di più dalle persone, l'ascolto estemporaneo (più faticoso emotivamente di qualsiasi altra tecnica applicata) che tutto ciò che era strutturato (in un contesto che di strutturato non aveva niente).
Mi chiedo con questa unica esperienza sul campo quale può essere stata la vera efficacia dello strumento.

Forse si sarebbe dovuto verificare a distanza di tempo l'eventuale insorgenza di un PTSD, ma sarebbe difficile isolare gli effetti del Debriefing da quelli di tutti gli altri interventi (non solo psicologici, ma anche sociali, educativi, ricreativi) che hanno visto coinvolte le persone del territorio di San Giuliano.

Bibliografia
  • Bruce H. Young, et Al., "L'assistenza psicologica nelle emergenze", Erikson, Trento, 2002
  • Caffo E., "Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza", Mc Graw Hill, Milano, 2003
  • Lo Iacono G., in coll. con Ranzato L., "Aiutare i bambini sopravvissuti a calamità", in "Psicologia e Psicologi", vol. 1, n.3, 2001, Erickson, Trento, 2001
  • Novelletto A. (a cura di), "Adolescenza e trauma", Borla, Roma, 1995
Commenti: 2
1 Concetta Abategiovanni alle ore 14:13 del 24/08/2016

Salve sono una Psicoterapeuta, vorrei offrire il mio contributo volontario per le vittime del terremoto del Centro Italia di questa notte. Come fare? Grazie

2 Redazione Centro HT alle ore 11:08 del 06/09/2016

Abbiamo preso spunto dalla domanda di Concetta per un nuovo AdR:
Psicologi e Emergenza Terremoto: come rendersi utili?

Redazione HT

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