HT: La Psicologia per Professionisti Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza diretta | |||||||
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Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza direttaL'articolo "Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza diretta" parla di:
Articolo: 'Il Debriefing psicologico in zone terremotate: un'esperienza diretta'A cura di: Francesca Emili Autore HT
PremessaAlle 11:33 del 31 ottobre 2002 una violenta scossa di terremoto colpì il Molise e in particolare il paese di San Giuliano di Puglia.
L'unico edificio che venne distrutto completamente fu la scuola del paese, sotto le macerie rimasero intrappolati 57 bambini, 8 insegnanti e 2
bidelli. Facevo parte di un'associazione che si occupava di psicologia dell'emergenza e il 5 novembre sono partita con tre colleghi per offrire
sostegno psicologico alle famiglie delle vittime. L'obiettivo del mio intervento era principalmente la prevenzione del Disturbo Post Traumatico
da Stress. Cos'è il Debriefing?Il Debriefing è un intervento psicologico di gruppo, condotto da uno psicologo esperto di situazioni di emergenza, con l'obiettivo di ridurre o eliminare le conseguenze psicologiche a seguito di una situazione di emergenza (PTSD, Disturbo Post Traumatico da Stress). Spesso la tecnica del Debriefing viene assimilata alla Psicologia dell'Emergenza, in realtà è uno dei suoi strumenti più utilizzati. Le sue sette fasi soprattutto rassicurano lo psicologo di fronte al caos della situazione di emergenza. In una situazione di emergenza lo psicologo deve essere colui che mantiene la mente lucida e razionale, deve comportarsi da sano mentre tutti intorno a lui possono avere comportamenti non equilibrati. Ma anche se lo psicologo che è intervenuto in una situazione di emergenza non ne è stato toccato direttamente (a volte arriva da fuori, ma spesso può far anche parte della popolazione colpita dall'emergenza), spesso può soffrire degli stessi sintomi di cui soffrono le persone direttamente colpite. Il Debriefing fa parte dell'intervento completo denominato CISM (Critical Incident Stress Management), che prevede:
Inizialmente (Mitchell, 1983) era rivolto ai soccorritori e doveva essere svolto tra le 24 e le 96 ore successive all'emergenza, quando
l'esperienza non è ancora "digerita". Il Debriefing permette, attraverso il lavoro di gruppo e le sue fasi, di affrontare progressivamente fatti, pensieri, emozioni e sintomi, per organizzare un primo parziale senso dell'avvenimento che sia condiviso con gli altri partecipanti del gruppo. Le sette fasi "classiche" del protocollo di Mitchell sono:
In alcuni approcci europei si aggiunge, tra la sesta e la settima fase, una fase aggiuntiva, detta del "Rito". Questa consiste in una chiusura dell'incontro utilizzando simbolicamente una canzone, una preghiera o altro che sancisca quanto detto dell'incontro e saluti solennemente il gruppo. Obiettivi del Debriefing:
A questa tecnica spesso vengono rimproverati una serie di aspetti: a volte viene praticato da persone non qualificate, presenta una rigidità eccessiva delle fasi e presta poca attenzione alle dinamiche di gruppo. Per venire incontro a queste osservazioni, diversi autori negli anni hanno proposto delle modifiche alla struttura di base. Nel "Process Debriefing" (europeo) Dyregorv propone una minore definizione tra le fasi, sottolinea l'importanza che i gruppi siano il più possibile omogenei e presta più attenzione alle dinamiche di gruppo. Jones nel "Debriefing operativo" (1998) pensa a uno spazio sia per il gruppo colpito che per l'équipe curante in più di un incontro, con minore rigidità tra le fasi. L'approccio francese (De Clercq, Lebigot, Crocq) nel "Debriefing dinamico" pone molta attenzione alle dinamiche di gruppo, lo applica più avanti nel tempo rispetto all'evento traumatico e lo vede come un primo aggancio per una presa in carico individuale. Il Debriefing a San Giuliano: la mia esperienza come psicologaL'associazione della quale facevo parte è stata una delle prime a intervenire a San Giuliano. La protezione civile ci ha assegnato due tende all'interno del primo campo allestito subito dopo il terremoto. Tutto il paese è stato evacuato e tutti gli abitanti occupavano tende all'interno del centro sportivo. In una di queste due tende è stato svolto una settimana dopo il terremoto l'intervento di Debriefing. Con gli altri colleghi abbiamo promosso l'incontro parlandone con le persone che incontravamo alla mensa o tra le tende. Hanno partecipato una ventina di persone, tutte adulte. L'applicazione delle fasi è stata molto rigida, nei modi e nei tempi. È stato lasciato spazio a ogni partecipante per raccontare la propria esperienza e le proprie emozioni, ma molto spesso si è
dovuti intervenire per arginare racconti che andavano al di fuori del nostro obiettivo. Al termine dell'incontro ho avuto l'impressione che le persone uscissero dalla tenda deluse, forse aspettandosi qualcosa di più
"risolutivo". Successivamente ho svolto numerosi colloqui individuali con le persone incontrate nel campo o nella mensa, colloqui che si sono poi ripetuti nelle settimane e hanno permesso di creare un rapporto "umano" molto significativo. Aver svolto questo intervento quando le persone erano ancora troppo prese dal risolvere problemi pratici (recuperare gli occhiali nella casa
con l'aiuto dei vigili del fuoco, trovare gli omogenizzati per il figlio o la dentiera per la nonna, ecc.) non ha permesso loro di poter far
propri tutti i benefici che l'intervento avrebbe potuto dare se avessero avuto lo spazio mentale per elaborare gli aspetti emotivi della loro
esperienza. ConclusioniNon c'è un'evidenza dell'efficacia del Debriefing nella prevenzione del PTSD, ma può essere utile per alleviare comunque altri sintomi. Inizialmente si riponevano troppe aspettative sulla sua efficacia: effettivamente è difficile che un singolo incontro di circa novanta minuti possa avere la capacità di prevenire un disturbo tanto articolato. In generale il rischio di sviluppo di un PTSD è comunque molto basso anche nelle persone che presentano reazioni emotive patologiche subito dopo l'evento critico: la sindrome da stress post traumatico negli adulti viene segnalata dal 1% al 9,2% (Fairbank , Schelenger, Saigh e Davidson, 1995). In un intervento in emergenza è importante avere le idee chiare rispetto al taglio e all'obiettivo del nostro intervento e al tipo di destinatari ai quali deve essere rivolto. Quindi se con il Debriefing l'obbiettivo è offrire un primo momento di elaborazione delle emozioni e degli "spazi di ascolto", questo strumento è comunque ritenuto molto utile dagli operatori e dai partecipanti stessi; mentre se l'obiettivo è prevenire l'insorgenza dei sintomi del PTSD a mio avviso la sua potenza viene sopravvalutata. Applicare questo tipo di intervento aiuta l'operatore a giustificare la propria presenza con uno strumento molto strutturato, ad avere
più sicurezza, a sentirsi parte di un gruppo e più autorevole. Nella mia esperienza specifica penso che sia stato svolto troppo precocemente, quando le persone erano prese dal risolvere ancora tantissimi
problemi quotidiani. Credo che abbia funzionato di più, e sia stato apprezzato di più dalle persone, l'ascolto estemporaneo (più faticoso
emotivamente di qualsiasi altra tecnica applicata) che tutto ciò che era strutturato (in un contesto che di strutturato non aveva niente). Forse si sarebbe dovuto verificare a distanza di tempo l'eventuale insorgenza di un PTSD, ma sarebbe difficile isolare gli effetti del Debriefing da quelli di tutti gli altri interventi (non solo psicologici, ma anche sociali, educativi, ricreativi) che hanno visto coinvolte le persone del territorio di San Giuliano. Bibliografia
Commenti: 21 Concetta Abategiovanni alle ore 14:13 del 24/08/2016 Salve sono una Psicoterapeuta, vorrei offrire il mio contributo volontario per le vittime del terremoto del Centro Italia di questa notte. Come fare? Grazie 2 Redazione Centro HT alle ore 11:08 del 06/09/2016 Abbiamo preso spunto dalla domanda di Concetta per un nuovo AdR: Redazione HT Cosa ne pensi? Lascia un commento
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