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Appunti e questioni di tecnica Psicoanalitica

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Appunti e questioni di tecnica Psicoanalitica

L'articolo "Appunti e questioni di tecnica Psicoanalitica" é tratto dalla rubrica Spazio Psicoanalisi.

Nell'articolo si parla di:

  • Rapporto tra Arte e Psicoanalisi;
  • L'alienazione e la consapevolezza dell'Analista;
  • Transfert e Controtransfert secondo Fromm...
Psico-Pratika:
Numero 21 Anno 2006

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Articolo: 'Appunti e questioni di tecnica Psicoanalitica'

A cura di: Romano Biancoli
    Appunti e questioni di tecnica Psicoanalitica
  • Introduzione
  • Un punto di vista storico
  • Arte e tecnica della Psicoanalisi
  • Oggettivazione e alienazione in Psicoanalisi
  • Qui-e-ora e la'-e-allora
  • La "Teoria idologica" del transfert e del controtransfert. Oscillazione della relazione analitica tra Qui-e-ora e la'-e-allora
  • Nota conclusiva
  • Bibliografia

Introduzione

Mi propongo di esaminare talune possibili esperienze alienanti nel lavoro analitico, a volte cosi' fini e impercettibili da restare facilmente inconscie. Il punto di vista da cui mi pongo e' quello della consapevolezza dello psicoanalista mentre sta lavorando. A tal fine, distinguo due posizioni esperienziali in permanente dialettica tra loro: il qui-e-ora della seduta e il la'-e-allora della vita dell'analizzando. Adotto come punto fermo la teoria clinica di Erich Fromm, quale si puo' ricavare dalla sua opera omnia (1980-81) e da alcune sue opere postume edite da Rainer Funk (Fromm, 1992, 1993, 1994).

Le questioni che ne escono di tecnica psicoanalitica consistono nell'interrogare aspetti della tecnica e delle sue regole. Queste regole non attengono solo a cio' che l'analista dice verbalmente, ma anche a cio' che sente e pensa e inconsciamente comunica in modi non verbali. Porre in questione non e' rifiutare, ma e' procedere a riesami che possono riguardare tanto il senso generale di dati aspetti della tecnica quanto i loro termini applicativi.

A me sembra che il passato nel presente e l'altrove qui costituiscano polarita' dialettiche che possono aiutare a rintracciare il senso della presenza dell'analista nella seduta e ad illuminare il suo versante dell'esperienza relazionale con l'analizzando. L'analista non puo' che farsi carico della consapevolezza di quanto sta accadendo tra loro due in un dato momento e di come il passato si declini nella relazione e non sia solo una serie di fatti sostanzializzati, in se' sussistenti. I grumi dell'allora e dell'altrove si possono sciogliere solo nel momento in atto qui tra le due persone a confronto nella seduta di analisi.

Un punto di vista storico

Tra i molti modi di tracciare la storia della psicoanalisi, possiamo scegliere quello che individua il cammino della consapevolezza dell'analista. Tale cammino mi pare che vada dai la'-e-allora relativi alla vita del paziente al qui-e-ora della seduta. Nell'arco di un secolo abbiamo assistito al trionfo della separatezza dell'oggetto dal soggetto che intende analizzarlo e poi abbiamo assistito a nuovi sviluppi dialettici basati sull'accorgersi che il fatto e l'esperienza del fatto sono inscindibili e si generano a vicenda. Quest'ultima torsione epistemica sembra stia alla base di una operazione teorica e clinica sul corpo della psicoanalisi classica, cioe' dello spostamento dell'accento dai la'-e-allora, quali eventi ed esperienze nei luoghi e nella storia della vita dell'analizzando, al qui-e-ora come esperienza co-prodotta a due in seduta. Questa visione fu assunta prima dalla psicoanalisi interpersonale e poi anche da quella relazionale nelle sue varie espressioni.

Secondo Mitchell (1997, p. 84) la psicoanalisi interpersonale si distingue da quella classica perche' sposta l'enfasi dal la'-e-allora al qui-e-ora. Tra gli psicoanalisti interpersonalisti, fu Fromm quello che piu' si spinse in tale ottica rotatoria della situazione analitica. Hirsch (1995) pensa che Fromm "more than anyone else, helped move the position of the Interpersonal analyst from outside to inside the consulting room ... Fromm viewed himself as an expert in 'I-Thou' interpersonal relations" (p. 652).
Fromm pote' farlo senza rischio di incorrere in facili relativismi perche' sostenuto dal suo concetto forte di natura umana (Fromm, 1947).

Fromm e' un intellettuale di complessa formazione e incarna un vitalizzante crocevia di idee. Egli immette nella cultura del novecento gli insegnamenti dei grandi maestri di umanita', da Isaia a Socrate, da Meister Eckhart a Spinoza, da Goethe ad Albert Schweitzer, cioe' prospettive di pensiero atte ad attraversare tempi lunghi e intere epoche della storia. Nel pensiero di Fromm, psicoanalisi e umanesimo entrano in dialogo. L'umanesimo e' un insieme di impostazioni di pensiero e di pratiche di vita che percorrono i millenni. La psicoanalisi ha appena un secolo di vita. Il loro incontro li arricchisce entrambi. L'umanesimo interroga e interpella la psicoanalisi e la psicoanalisi, nel rispondere, chiarisce degli aspetti di se' e insieme offre strumenti e conoscenze all'umanesimo (Biancoli, 2002b).

Arte e tecnica della Psicoanalisi

La biofilia e' un tratto distintivo dell'umanesimo radicale, che vede nell'essere umano la radice di ogni fenomeno. L'amore per la vita e' il sentimento che tutto si sta muovendo, che tutto e' in atto di nascere. La realta' e' in gestazione e noi con essa (Schweitzer, 1947; Dolci, 1985). Un trattamento psicoanalitico non ispirato alla biofilia puo' inventariare dati su dati e imporre interpretazioni e ricostruzioni, ma difficilmente coglie il giro impalpabile dei processi psichici. La psicoanalisi e' un'arte perche' si applica a cio' che e' vivo. La parola "arte" e' la piu' appropriata ad indicare il trattamento di quanto e' vivo, e in questo senso il lavoro psicoanalitico e' un'arte come lo e' la comprensione della poesia (Fromm, 1994).

Un'arte si esercita secondo le regole costitutive della sua tecnica applicativa. Il termine "tecnica" pero', secondo Fromm (Ibid., pp. 225-226), ha subito un sottile e importante cambiamento: il suo significato e' venuto spostandosi dalla messa in pratica di regole su temi vivi al loro riferimento a oggetti meccanici, non vivi. A rigore percio', in psicoanalisi, vitale processo in atto, si dovrebbe parlare di tecnica non in termini assertivi ma problematici. La psicoanalisi infatti si rivolge all'essere umano, non a una cosa meccanica, morta. Le regole dell'arte psicoanalitica hanno senso solo se salguardano l'unicita' di ogni analizzando e di ogni suo incontro con l'analista (Akeret, 1995).

Fromm scrisse molti libri ma non uno di tecnica psicoanalitica, affidando i suoi insegnamenti clinici alle trasmissioni orali dei suoi allievi e dei colleghi che seguirono i suoi seminari. Vanno segnalate le registrazioni di tre seminari molto consistenti: quello tenuto all'Alanson White Institute di New York nel 1959, quello tenuto a Citta' del Messico nel 1968 e quello tenuto a Locarno nel 1974. Molto di queste riflessioni cliniche, oltre ad altri testi provvisori o incompiuti o rimasti inediti, e' apparso nei libri curati da R. Funk "The Revision of Psychoanalysis" (1992), "Gesellschaft und Seele" (Societa' e anima) (1993) e "The Art of Listening" (1994).
Una significativa testimonianza e' la seguente di Ruth Lesser (1992):

"In our supervisory contacts, he showed no interest in codifying a 'Frommian' technique, whether in book form or in directives to me about how to conduct my work."
(p. 493)

Benche' il lavoro clinico quotidiano lo abbia accompagnato per tutta la vita e sia stato la fonte dichiarata delle sue teorie, si puo' comprendere come Fromm si sia astenuto dallo scrivere un libro specifico sulla tecnica psicoanalitica. Egli nutriva la preoccupazione che ne risultasse una codificazione di regole irrigidite e cristallizzate (Lesser, 1992), che si sarebbero potute applicare in modi standardizzati. Va chiarito un punto importante: se anche Fromm fondo' con Sullivan, Clara Thompson e Frieda Fromm-Reichmann l' "Alanson White Institute" di New York, e in seguito fondo' l' "Instituto Mexicano de Psicoanalisis" di Mexico City, e anche fu poi promotore della costituzione dell'"International Federation of Psychoanalytic Societies", egli non intese dar vita ad una nuova "scuola" di psicoanalisi.
"I have never wanted to found a school of my own" (Roazen, 2001, p. 36). Il suo fu un contributo alla psicoanalisi tutta, un lievito.

In una prospettiva umanistica balza evidente il rischio che la psicoanalisi, che ha il compito di combattere l'alienazione, si alieni essa stessa nella sua tecnica. Cosi', al tema della tecnica intesa come apparato di procedure si sostituisce una "questione della tecnica", cioe' una messa in discussione delle regole da trasmettere di generazione in generazione di analisti. Tale messa in discussione riguarda tanto il piano clinico quanto il piano teorico ed epistemico. Entra in questo contesto la battaglia culturale contro qualsivoglia "party line" (Fromm, 1958) in psicoanalisi.

Kwawer (2002, p. 623) suggerisce che una piu' profonda ragione della contrarieta' di Fromm alle codificazione della tecnica stia nel suo rifiuto del dogma e del rituale. Egli infatti si era liberato da due ortodossie: quella giudaica e quella freudiana, e a questo proposito dobbiamo ricordare che Fromm si formo' presso l'Istituto di Berlino negli anni '20 (Funk, 1983; Burston, 1994; Roazen, 2001). Un dato squisitamente personale, dunque, si intreccerebbe alla sua teoria della tecnica. D'altronde, e' cosi' che spesso procede la storia delle idee. Il cielo idealizzato delle costellazioni del pensiero e' un'astrazione che prescinde dagli sforzi appassionati di studiosi che, per liberarsi dai sistemi teorici in cui si sono formati, tendono tutte le loro facolta' alla formulazione di nuove impostazioni.

A me sembra che alle posizioni frommiane sulla tecnica si possano collegare quelle successive di Mitchell. Mitchell (1997, p. X) scrive che "in the current analytic milieu, the term technique itself has become almost a term of abuse".
Se il modello classico del fare analisi, con l'anonimato, la neutralita' e l'astinenza dell'analista, aveva la tecnica come suo culmine e sua filigrana da trasmettere di generazione in generazione analitica, "the emphasis now is on interaction, enactment, spontaneity, mutuality, and authenticy" (Ibid.).

Anche Mitchell (1997, p. XI) vede la psicoanalisi come arte, poiche' parla di "immaginative participation", di "sensibility through which the analyst participates".
Egli afferma (Id.) che la tecnica in analisi ha lo stesso ruolo che in attivita' sportive, o in pittura o in esecuzione musicale. L'attualita' di Fromm su questi temi e' di tutta evidenza.

Oggettivazione e alienazione in Psicoanalisi

Dal punto di vista qui adottato, la tematica dell'alienazione nel lavoro analitico verte essenzialmente sui gradi di consapevolezza dell'analista. Vi sono forme piu' o meno sottili di alienazione, talora sfuggenti anche all'autoanalisi dell'analista. Credo che tra i piu' fini movimenti alienanti in analisi vi siano quelli che riguardano l'attivita' di oggettivazione, i processi del pensiero volti a costruire rappresentazioni concettuali dei contenuti psichici che emergono nel dialogo analitico.

Come vuole l'etimologia (analisi viene dal greco "analyo", io sciolgo), in tutti i campi della conoscenza umana analizzare comporta l'operazione di oggettivare cio' che si sta analizzando e di scomporlo nelle sue parti (Lalande, 1926; Abbagnano, 1971). Si procede di scomposizione in scomposizione, fino a risolvere ogni complessita' nei suoi componenti elementari non ulteriormente scomponibili. Anche la psicoanalisi comporta un'attivita' di oggettivazione dei contenuti che analizza e di una loro scomposizione in parti, per es., l'analisi dei sogni (Freud, 1900).

Penso che oggettivare un contenuto da analizzare possa significare due cose completamente diverse tra loro. Assumo in prima ipotesi che possa significare renderlo un oggetto cristallizzato nelle parole che lo esprimono, vederlo staccato sia dall'analista che dall'analizzando. In questo senso, l'oggettivazione sarebbe un'alienazione: un contenuto che un soggetto esprime rivolgendolo ad un altro soggetto verrebbe gelato e privato del suo palpito comunicativo, e bloccato in un discorso chiuso. Vi si potrebbe vedere operante un meccanismo di dissociazione tra il soggetto che pensa ed esprime un concetto e questo concetto pensato in se' e sostanzializzato.

Assumo anche in seconda ipotesi che sia invece possibile un'"oggettivazione in funzione del soggetto" (Biancoli, 2003), non alienata, deliberatamente posta e liberamente revocabile, un'oggettivazione come espressione in atto del soggetto e da esso governata e non subita. L'analista in questo caso ascolta l'analizzando, ascolta il suo discorso, cerca di obiettivarlo, di raffigurarselo nella mente. Lo fa come suo contributo al rapporto in atto tra loro due, evitando per quanto possibile suoi propri meccanismi di difesa che dissocino il concetto dal corrispondente affetto. L'oggettivazione rimane cosi' un'esperienza viva e globale, e quando viene restituita all'analizzando che ne fornisce il materiale essa reca il palpito personale dell'analista, nella cui mente puo' sbocciare grazie a quell'irripetibile terreno duale che ne suggerisce i termini.
Questa mia impostazione deriva dalla teoria frommiana dell'alienazione (Fromm, 1955, 1960, 1961, 1962, 1968) ed ha le sue coordinate filosofiche nella problematica del rapporto tra oggettivazione e alienazione (Hyppolite, 1955, pp.84-113). Se per Hegel (1807), e poi anche per Sartre (1960), l'oggettivazione e' alienazione in ogni caso, Marx (1844) distingue l'oggettivazione dall'alienazione, che ne e' un modo particolare (Dal Pra, 1965; Bedeschi, 1968). Ai fini della mia indagine, assumo la possibilita' di una oggettivazione attivata dal soggetto, il quale la decide, ne e' il signore, la pone e la toglie e se ne serve a fini conoscitivi propri.

La coppia analitica puo' parlare e normalmente parla d'altro che di se'. L'attenzione conscia tende a seguire l'argomento trattato. Se questo, nel momento in cui se ne parla, sembra presentarsi staccato da chi parla e da chi ascolta, puo' venir meno la consapevolezza di un dato essenziale, cioe' che esso si pone ora e qui tra analista e analizzando. Non tener conto del contesto interpersonale in cui un tema scaturisce fa perdere il connotato specifico della sua origine, il senso che gli deriva quale battuta del dialogo analitico. Cioe' il discorso si stacca dal contesto vivo in cui sorge, si aliena e si svolge seguendo un percorso che non ritorna piu' qui da dove era partito. Se invece l'analista perde il meno possibile la consapevolezza che cio' di cui si sta parlando si e' proposto all'interno del rapporto analitico, e che puo' talvolta essere una sua metafora, rimane aperta la possibilita' che il materiale analizzato prenda senso in funzione del "qui-e-ora" analitico.

Un esempio e' il seguente, verificatosi nel corso di una seduta con un paziente che si era rivolto a me dopo essere stato licenziato quale dirigente di una azienda medio-grande e aver dovuto ripiegare su un lavoro molto meno prestigioso e remunerato in un'altra azienda. Il motivo che lo spinse a chiedere aiuto fu la sorpresa e l'inquietudine per la sua reazione alla perdita del posto. Poiche' era un uomo ambizioso e votato alla carriera si aspettava un crollo psichico dopo quella forte frustrazione, un incontrollabile senso di rovina, un dolore morale insopportabile, e invece no, stranamente, non sentiva nulla, sentiva un vuoto non-dolore, un distacco incomprensibile. Si rendeva conto che i suoi valori non erano cambiati, che non si era convertito ad un'altra visione della vita, che la sua non era saggezza ne' serenita', e non capiva cosa gli stava capitando. Passavano i giorni, le settimane e non si capacitava della sua mancata reazione emotiva. Dopo una decina di sedute mi espose i retroscena della decisione della proprieta' aziendale di licenziarlo. Presento' in modo chiaro, preciso e molto competente un quadro della realta' industriale della sua citta' e una descrizione dettagliata dei rapporti economici e giuridici, delle partecipazioni societarie, degli interessi che si incontravano nell'escluderlo dal potere aziendale.

L'esposizione era avvincente. Ebbene, io lo ascoltavo quasi come avrei ascoltato un conferenziere, tutto preso dal suo racconto in se'. Per diversi minuti prestai molta piu' attenzione a quanto veniva detto che a chi stava parlando, non tenendo presente che in quel momento lui parlava cosi' a me e solo a me.
Ora, le considerazioni possibili sono tante, a partire dal mio controtrasfert, ma desidero sottolineare come quell'attendibile esame di realta' effettuato dall'analizzando abbia potuto coprire il distacco mio e suo dalla relazione tra noi due. Avevo ammirato la macchina di tortura cui lui era stato sottoposto e come lui anch'io avevo isolato e dissociato il dolore che essa gli aveva provocato. Vidi la macchina di tortura e non il dolore del torturato. Lui il suo dolore in quel momento me lo poteva raccontare solo cosi'. Il punto piu' saliente non e' tanto che mi aveva sedotto intellettualmente quanto che era riuscito a farsi seguire da me nell'oggettivita' alienata di una rappresentazione scissa dal contenuto emotivo. Cosi' mancai di empatia, poiche' non sentii il dolore che lui sentiva ma non era consapevole di sentire. Me ne resi conto a seduta finita. In seguito gran parte del nostro lavoro fu rivolto a integrare intelletto e affetto, a rendere consapevole e sentito il dolore e a vedere come fosse un tutto unico il funzionamento della macchina, la tortura e la sofferenza.

Qui-e-ora e la'-e-allora

I termini "qui-e-ora" e "la'-e-allora" sono presenti, ma non molto frequenti, nella letteratura psicoanalitica (Tauber, 1959; Wolstein, 1959; Fromm, 1976; Stone 1981; Gill & Hoffman, 1982; Gill, 1983, 1993; Tomä & Käkele, 1985; Eheremberg, 1992; Fiscalini, 1995; Hirsch, 1995; Imber, 1995; Mitchell, 1997; Biancoli, 2002b, 2003; Gabbard & Western, 2003; Stern, 2004). Il qui-e-ora della seduta e' insieme un concetto, una percezione, un modo di sentire, una situazione, una posizione spirituale, cioe' un'esperienza globale. Anche il la'-e-allora comporta una complessita' esperienziale che include intelletto, affetto, emozioni. Poiche' i contenuti delle due esperienze sono mobilissimi e spesso passano inavvertitamente dall'una all'altra e poiche' i prodotti dell'inconscio, come i sogni, gli atti mancati o i motti di spirito, non rispettano la distinzione tra qui-e-ora e la'-e-allora ma ne miscelano le componenti nei modi piu' vari, tale distinzione si presenta forse semplice sul piano terminologico ma problematica nei contenuti. In prima approssimazione, possiamo porre tale distinzione da un punto di vista statico, sapendo pero' che si tratta di un espediente metodologico che astrae dal rapidissimo, talora fulmineo, spostarsi dei contenuti da un tipo di esperienza all'altro. Ne viene una definizione del la'-e-allora per esclusione rispetto alla definizione del qui-e-ora. Il senso del la'-e-allora sarebbe quello di tutte le esperienze, di tutte le persone, le situazioni, gli accadimenti, i sogni, le fantasie del passato, in altre realta' che non sono quella dell' analista e dell'analizzando in seduta. Sarebbe un non-qui-e-non-ora. Tuttavia sappiamo che non si tratta solo di due concetti, ma di due esperienze complesse, intellettuali ed emotive insieme, in parte non verbalizzabili.

Inoltre, il movimento della psicogenesi porta il passato nel presente e i complessi incroci e nessi causali della psicodinamica portano il la' qui. Cosi', se anche il la'-e-allora e' un'esperienza, lo e' pero' solo ora e qui.

In questo momento, ogni altrove lo posso sperimentare solo qui, e ogni passato e ogni futuro esiste come pensiero, fantasia e sentimento presente. In senso ontologico, ogni altro tempo e ogni altro luogo possono essere pensati, rappresentati e sentiti solo ora, qui. Cio' non toglie il dato empirico che il la'-e-allora di rado e' un'esperienza che si lascia docilmente circoscrivere all'interno del qui-e-ora, poiche' anzi tende a invaderlo e a porsi come realta' in se'. A volte e' come un magnete che attrae ogni pensiero e affetto.

Ritengo che il la'-e-allora non riconosciuto come esistente solo e in quanto qui-e-ora si possa considerare un'esperienza di alienazione, non osservabile mentre la si vive e dunque inconscia in questa sua natura alienata. L'immergersi nel la'-e-allora, perdendo la consapevolezza che esso e' un accadimento psichico possibile solo nel momento e nel luogo presenti, e' esperienza frequentissima e diffusa perche' coperta dal senso comune. Viene spontanea e inconsapevole perche' il senso comune e' strutturato nella coscienza sociale, tanto illusoria o ideologica quanto generalizzata e condivisa. Nemmeno gli analisti vanno esenti da queste comuni impostazioni di coscienza. Almeno nelle societa' occidentali, i meccanismi di difesa dal qui-e-ora sono potentissimi e inconsci.

Il tema del qui-e-ora che si aliena nel la'-e-allora va ben oltre la tecnica psicoanalitica, riguardando in generale il pensiero umano. La storia della cultura in vario modo ripropone questo tema, spesso ricorrendo a coppie di termini antitetici, come autentico e inautentico, reale e illusorio, "lavoro vivo" e lavoro morto" (Marx 1867), "pensiero pensante" e "pensiero pensato" (Gentile, 1916), "essere" e "avere" (Fromm, 1976). Fromm traccia una ideale linea storica dell'umanesimo e cita ricorrentemente i grandi "maestri" di umanita'. Credo che si possa affermare che l'umanesimo vede vivere la verita' nel qui-e-ora e vede nei la'-e-allora delle illusioni. Le coscienze umanistiche rifiutano ogni forma di idolatria o di alienazione, due termini che Fromm (1955, pp. 88-109) vede in stretto rapporto.

L'analisi nel qui-e-ora verte su elementi del la'-e-allora che occupano il campo della coscienza. Per lo piu', tali elementi premono per entrare nella situazione presente del rapporto analista-analizzando. A volte essi vengono deliberatamente chiamati, perche' ci si vuole raffigurare un contenuto o un'immagine ponendoli in una o piu' prospettive particolari: il la'-e-allora viene interrogato e, se non vi sono in atto meccanismi di difesa che lo impediscano, esso risponde. Si tratta in questi casi di un'attivita' di "oggettivazione in funzione del soggetto" (Biancoli, 2003), di un lavoro analitico volto a rendere piu' chiaro qualche aspetto della vita dell'analizzando, rievocandolo dal passato o considerandolo per come si pone nel presente in contesti diversi da quello della seduta analitica. L'analista infatti puo' decidere di indagare su dati la'-e-allora dell'analizzando e, almeno in linea di principio, li puo' oggettivare in modi liberi da movimenti alienanti che mostrino un passato e un altrove illusoriamente in se' sussistenti, sostanzializzati, quando invece essi possono rivivere solo perche' qui evocati in questo momento.

Avviene anche che elementi del la'-e-allora si porgano spontaneamente e chiedano di entrare. Altre volte ancora intrudono subdolamente o violentemente, spesso impedendo all'analista di comprendere cosa stia avvenendo. La situazione a due si popola delle rappresentazioni interne di entrambi. Tali rappresentazioni interne possono riguardare non solo figure importanti della vita di ognuno dei due, ma anche loro due, che cosi' si rappresentano internamente a vicenda, e incrociano i loro reciproci transfert, veicolanti affetti potenti nella seduta.

La "Teoria idologica" del transfert e del controtransfert. Oscillazione della relazione analitica tra Qui-e-ora e la'-e-allora

Fromm (1968; 1979, p. 292; 1992, p. 48) e' convinto che il transfert sia diffuso in tutti gli aspetti della vita sociale e non solo circoscritto al rapporto psicoanalitico. Il fatto che il transfert riguardi ogni ambito della vita di relazione suggerisce di considerarlo anche come una espressione della "situazione umana", della condizione di esistenza degli individui e dei gruppi, pur nelle connotazioni singolari e uniche di ogni persona. Fromm (1992, p. 48) pone la questione se si tratti solo della ripetizione di esperienze infantili oppure anche della "mobilization of the 'idolatric passion'". Secondo questa visione, si puo' considerare il transfert oltre che in termini psicogenetici anche in termini funzionali, come una risposta alla "conditio humana", indagabile con la psicoanalisi. Cioe', possono essere analizzati i modi di funzionamento psichico attuale di una persona, i modi in cui essa nel presente cerca di placare il dolore di vivere. Nel tendenziale ripetersi del passato possiamo focalizzare le operazioni in atto di alienazione delle proprie risorse interne in qualcuno o qualcosa del mondo esterno. Si tratta di vedere in modo trasversale il funzionamento presente di dislocazioni, spostamenti e proiezioni di energie interne su figure esterne e come queste ne risultano potenziate e alterate. Queste possono cosi' apparire pericolose o, al contrario, venire investite del compito di prestare soccorso o, tragicamente, possono verificarsi entrambe le attribuzioni insieme.

Di fronte alle difficolta' di vivere l'essere umano puo' anelare ad una figura onnipotente cui affidarsi e sottomettersi, a un "magic helper" che funzioni come idolo. Uomini e donne costruiscono idoli, cioe' trasferiscono su figure a loro esterne, reali o immaginarie, le loro facolta' e risorse. Si tratta di creazioni materiali o mentali, a cui le persone attribuiscono inconsciamente parti di se' per poi sottomettersi alle loro stesse proiezioni, e pertanto l'idolo e' una manifestazione alienata e ingannevole di poteri umani. Il fenomeno del transfert rivela il tipo di idolo a cui una persona si rivolge (Fromm, 1992; Biancoli, 1998). Se la relazione analitica non e' l'unico campo in cui il transfert si manifesta, certamente essa offre le condizioni ottimali di osservazione del transfert e di lavoro su di esso.
Analizzare il transfert di un paziente e' come osservare al microscopio il suo rapporto col mondo (Fromm, 1968).

Quanto al controtransfert, mi ha colpito il fatto che l'indice analitico dell'opera omnia di Fromm (1980-81), edita da R. Funk, non ne riporta la voce. Eppure si tratta di un lavoro editoriale eccellente e accuratissimo, in dieci tomi molto voluminosi, l'ultimo dei quali e' interamente dedicato agli indici. Anche se nelle pagine di Fromm il termine controtransfert effettivamente ricorre meno di altri termini psicoanalitici, la sua non menzione finale non parrebbe giustificata, a meno che non se ne consideri la implicita sostanziale coerenza con quanto esposto da Fromm nel lungo seminario clinico tenuto a Citta' del Messico nel 1968. Fromm presento' il controtransfert come un limite dell'analista. Questo concetto di controtransfert pare molto ristretto. In tale senso stretto, il controtransfert e' visto nel modo classico dei primi analisti (per es., A. Reich, 1951; Fliess, 1953), come intrusione nell'analisi di residui non analizzati della patologia dello psicoanalista. Cioe' possiamo ritenere che Fromm veda il controtransfert come transfert da parte dell'analista.

Tuttavia, come analista interpersonalista Fromm, ben oltre al rifiuto del modello del blank screen, propone un impegno interattivo nel rapporto col paziente (Evans, 1966). Sembra allora (Biancoli, 1998, 2002a, 2002b) che nel suo pensiero clinico ci sia la distinzione tra controtransfert e reazione umanistica, non distorcente, dell'analista a quanto il paziente esprime. Questa seconda reazione e' propria dell'abilita' e della competenza dell'analista, mentre il controtransfert concettualizzato e circoscritto da Fromm fa pensare alla metafora del "blind spot" (Freud, 1912, p. 329). Se per controtransfert intendiamo il transfert dell'analista sull'analizzando, possiamo ritenere che per Fromm anch'esso sia dovuto a "idolatric passions" (Biancoli, 1998).

Nelle sue pagine Fromm si occupa scarsamente di controtransfert e si mostra invece continuamente interessato alla comunicazione globale tra analista e analizzando, entro la quale l'analista si propone come un essere umano particolarmente addestrato in "the art of listening" (1994). Fromm pone la massima enfasi sul valore del dialogo analitico, come afferma nell'intervista rilasciata ad Evans:

"Now I listen to you, and while I'm listening, I have responses which are the responses of a trained instrument (...) I'll tell you what I hear (...) Then you tell me how you feel about my interpretation"
(Evans, 1966, p. 35)

Di fatto, nel lavoro clinico, distorsioni controtransferali e ascolto empatico, e visione obiettiva, sono esperienze che tendono a sovrapporsi e ad intrecciarsi tra loro in termini non sempre riconoscibili, almeno nel momento in cui si danno. Pero', sul piano teorico, la reazione globale dell'analista di fronte all'analizzando si puo' idealmente scomporre in due componenti: una propria del dialogo umanistico basato su obiettivita' ed empatia ed una dovuta alle distorsioni controtransferali (Biancoli, 2002a).

Il transfert induce su schemi e contenuti infantili un "forte senso di attualita'" (Laplanche & Pontalis, 1967, p. 609). Anche per questo esso si puo' vedere come l'intrusione incontrollata nel qui-e-ora di un la'-e-allora ripetitivo, di figure del passato che si ripropongono. Tale movimento ha l'effetto di distorcere il qui-e-ora nel tentativo di renderlo una versione di replica di un la'-e-allora dell'analizzando. Egli o ella introietto' in passato quel la'-e-allora ed ora lo proietta in seduta. La proiezione sull'analista di figure ed esperienze che allora e la' ebbero importanza per l'analizzando introduce un dato rigido nel fluire del rapporto analitico momento per momento.

La visione idologica del transfert e del controtransfert aiuta l'analista a rendersi conto di come continuamente il qui-e-ora si perda nel la'-e-allora. Qui-e-ora e la'-e-allora sono esperienze in movimento, si compenetrano, l'uno entra nell'altro. Nel qui-e-ora transfert e controtransfert possono affiorare sul piano conscio nella loro indocile forza, per poi inabissarsi e andare a spingere su figure sia esterne che del mondo interno. Queste figure cosi' si deformano, appaiono e riappaiono alla coscienza in distorte intensita' che si fanno rincorrere dall'attenzione analitica. L'analista rischia di disancorarsi dal qui-e-ora e di venire portato in un la'-e-allora fuorviante. Lo scivolare del qui-e-ora nel la'-e-allora e' un aspetto del movimento controtransferale e tende a sfuggire all'attenzione analitica.

Una donna di 27 anni, in analisi con me da un anno, mi dice all'improvviso che suo padre abusava sessualmente di lei quando era bambina. Sobbalzo dentro di me, non me lo aspettavo. Ha una sorella maggiore descritta come molto fredda e distaccata. La madre oscillava tra affettivita' morbose e gelidi distacchi. Il padre mi era stato presentato come un uomo semplice e rozzo, non in grado di stare in relazione affettiva intima con la moglie e da lei disprezzato, pero' professionalmente affermato e in grado di mantenere decorosamente la famiglia e di assicurare gli studi universitari a entrambe le figlie. Avevamo lavorato sul rapporto madre-figlia, e ora accade che il la'-e-allora di un abuso paterno invade la scena. Mi sembra di accorrere presso di lei bambina, ma poi resto perplesso, il suo volto non lo vedo corrispondere a quello che dice e nemmeno la voce. Le chiedo se e' sicura di quello che afferma, risponde di si', uno strano si', ambiguo. Poi diventa gelida, inespressiva e tace per tutto il resto della seduta. Nelle sedute successive ritrattera' e insieme arriveremo a concludere che la sua affermazione dava espressione al sentire di sua madre che subiva i rapporti sessuali col marito come fossero stupri. La madre comunicava cio' alla figlia in modi complessi e torbidi e con parole piu' allusive che esplicite.

Mi chiedo cosa sia avvenuto in quella seduta. Non mi sembra di essere stato particolarmente indelicato prima della dichiarazione dell'analizzanda, ma puo' bastare molto poco quando preme un movimento transferale intenso. Non posso escludere un mio controtransfert di fastidio per intimismi femminili ricamati su intese dolciastre e crudeli freddezze. In ogni caso, puo' essere che l'analizzanda abbia sentito in me un' impazienza sperimentata da lei e dalla madre interna come violenza. Io la ferisco, lei si identifica con la madre interna, proietta su di me la figura paterna, regredisce e dice che suo padre le usa violenza. Questo e' quanto posso ricostruire a posteriori, ma sul momento non ho proprio pensato a nulla di simile. Di fronte alle parole dell'analizzanda resto sorpreso, faccio un tentativo empatico che non puo' riuscire e poi mi perdo a valutare quanto sia attendibile cio' che lei ha detto. Cioe', anziche' essere presente con tutto me stesso e vivere il momento, sentire cosa questa donna mi vuole dire, sentire cosa significa in questa nostra situazione qui, tra noi due, io mi faccio portare via da una affermazione di abuso che mi pare intensa solo perche' mi spiazza.

Transfert e controtransfert sono alla base dell'imporsi del la'-e-allora nel qui-e-ora o, in altri termini, dell'alienarsi del secondo nel primo. I fenomeni transferali e controtransferali condizionano la dialettica tra qui-e-ora e la'-e-allora potenziando questo secondo polo. Inoltre, se nel controtransfert opera una difesa dalla presenza qui-e-ora dell'analizzando, ancora piu' facilmente la coppia analitica si rifugia nel la'-e-allora.

Nota conclusiva

La comunicazione non distorta tra analista e analizzando ha il suo terreno psichico di svolgimento nel qui-e-ora anche quando verta sul passato. Il presente puo' convocare il passato, riconoscerlo, studiarlo e anche riviverlo e lasciarsene inondare, scaldandosi o rabbrividendo, intenerendosi o arrabbiandosi, pur evitando di esserne travolto e senza dimenticarsi che ora e' ora e che allora era allora e non esiste piu' se non nei termini presenti.

La relazione analitica e' il teatro in cui il passato dell'analizzando si inscena. L'analista puo' sentire quel passato e commuoversi alle sue rappresentazioni, senza per questo dimenticare che loro due ora non sono la' in quel tempo, ma sono qui, un qui nel quale sono raffigurabili tutti i la' possibili. Se questo si verifica, la partecipazione emotiva non solo non impedisce lo stato lucido e vigile ma vi coopera e contribuisce alla cognizione dei la'-e-allora.

Molta della competenza dell'analista sta nel restituire al qui-e-ora i la'-e-allora che si affollano nella mente di entrambi i membri della coppia analitica, smarrendo il meno possibile la consapevolezza che, per quanto arcaico, estraneo, strano, "uncanny" (Freud, 1919) sia il contenuto di un sogno, di un ricordo, di una associazione, questo contenuto viene portato qui in questo momento. Si da' ora e qui, ora e qui nella seduta viene pensato e sentito in una relazione a due.

L'analisi delle manifestazioni dei contenuti inconsci richiede il ricorso alla logica paradossale. Stare qui e insieme andare la' e' un paradosso, come e' un paradosso il principio della clinica frommiana secondo cui l'analista deve essere l'analizzando mentre e' se stesso (Fromm, 1960, p. 332).
Siamo qui in due e stiamo sperimentando insieme un la'-e-allora. Credo che questa attitudine a pensarsi, sentirsi, sperimentarsi nel qui-e-ora mentre si analizza un la'-e-allora appartenga allo specifico della perizia e della competenza dell'analista. Il la' esiste solo come rappresentazione nel qui e anche l'allora e' solo una rappresentazione nell'ora. Nel qui-e-ora si raccoglie il tutto funzionante dell'analizzando e anche dell'analista.

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