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L'Idea di Felicita' tra Simbolo e Idolo

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L'Idea di Felicita' tra Simbolo e Idolo

L'articolo "L'Idea di Felicita' tra Simbolo e Idolo" é tratto dalla rubrica Spazio Psicoanalisi.

Nell'articolo si parla di:

  • Introduzione
  • Il movimento unificante del simbolo in funzione
Psico-Pratika:
Numero 35 Anno 2008

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Articolo: 'L'Idea di Felicita' tra Simbolo e Idolo' (Pag 1)

A cura di: Romano Biancoli
Introduzione

La parola felicita' e' parola abusata e riferita a varie situazioni di vita.
Nel linguaggio comune presenta sensi ingenui e acritici, essendo pensata solo come esperienza conscia.
In questo modo perde la sua specificita' e diventa sinonimo volta a volta di piacere, di benessere, di euforia, ecc..

Mi propongo di indagare su possibili sensi non alienati della parola felicita'.
A tal fine, tengo ferma la sostanziale corrispondenza tra il concetto di alienazione e quello di idolatria dimostrata da Erich Fromm (1955, pp. 88-109) e cerco di seguire i percorsi dell'esperienza felice e delle sue cadute attraverso il fluire dei processi di simbolizzazione e le loro interruzioni.
Tengo in primo piano il movimento vitale che pervade il simbolo e la potenza attrattiva dell'idolo.

Il punto di vista da cui prevalentemente mi pongo e' quello dell'umanesimo radicale secondo Fromm, con la sottolineatura del versante simbolico che include la posizione di Georg Groddeck sull'essere umano come essere simbolizzante.
Ogni mia considerazione psicoanalitica si basa sulle opere di questi due autori, alle cui spalle sta il fondamentale libro di Johann Jakob Bachofen (1815-1887) "Das Mutterrecht" (Il diritto materno) (1861).
Il punto alto dei miei riferimenti e' dato da Meister Eckhart (circa 1260-1327 o 28), dal cui concetto di "beatitudine" tento di ricavare la piu' elevata accezione della parola felicita'.

"... in the future the presence and degree of happiness might be inferred from an examination of the chemical processes in the body"
(Fromm, 1947, p. 115)

Nella storia del pensiero sono state espresse numerose concezioni della felicita' (Spitzer, 1963; Natoli, 1994), sia in rapporto al benessere del corpo e al piacere sia in rapporto alla spiritualita'.
Il fatto stesso pero' di tormentarsi senza posa sul tema ci dice che la riflessione diretta su di esso non presenta risposte pienamente soddisfacenti.
Il cambio di visuale che offre la psicoanalisi puo' prospettare approcci inattesi, poiche' il concetto di inconscio cambia l'impostazione dell'argomento.
Se si ammette che felicita' e infelicita' possano essere inconscie, il contenuto delle considerazioni conscie viene revocato in dubbio e confrontato con altri indicatori, spesso apparentemente estranei a cio' su cui ci si sta interrogando.
Il campo si allarga e tende ad includere la totalita' dell'essere umano, che secondo la psicoanalisi e' inconscia quasi per intero, quale che sia il concetto di inconscio preso in considerazione tra i vari proposti dai diversi autori.

Assumendo il concetto di inconscio elaborato da Erich Fromm, il lato conscio della psiche individuale e' in gran parte un dato sociale, un relativo storico, consentito da meccanismi di difesa tanto soggettivi quanto socialmente condizionati.
Sono inconsciamente attivi dei filtri culturali (Fromm, 1960, p. 321-326) che non lasciano passare i contenuti psichici incompatibili con le esigenze di funzionamento della societa'.
Dunque, conscio e inconscio sono qualita' dei contenuti della psiche dovute per lo piu' a processi sociali, essi stessi inconsci.
In tal modo, l'area conscia dell'individuo medio e' data prevalentemente da rappresentazioni illusorie condivise e generate collettivamente entro una data societa' o classe sociale, mentre restano inconscie le componenti umane universali.

L'interezza biologica, psichica e spirituale dell'essere umano, "radicata nel cosmo", non perviene alla coscienza diurna e media del cittadino, nel cui inconscio vivono la pianta, l'animale, lo spirito.
In qualunque cultura, "l'uomo ha tutte le potenzialita'; egli e', nel contempo, l'uomo dei primordi, l'animale del sacrificio, il cannibale, l'idolatra, e un essere dotato di disponibilita' per la ragione, l'amore e la giustizia" (Id., p. 328).
L'"uomo intero", dal piu' lontano passato al futuro potenziale, resta inconscio.

In queste sue idee Fromm fu influenzato da Georg Groddeck (Biancoli, 1995), che denomino' l'inconscio "Es" (tradotto in inglese con "It" per distinguerlo dall'"Id" freudiano), pronome singolare neutro in lingua tedesca.
L'uomo e' vissuto dall'Es, che e' fuori dal tempo e non ha eta'.
Il suo continuo movimento tiene in vita e accompagna alla morte, porta malattie e guarigioni.
L'Es e' il grande torrente vitale che scorre incessante e tutto genera; vano e' opporvisi perche' e' ingovernabile (Groddeck, 1923).
L'Ego e' un artificio linguistico e la coscienza che l'Ego ha di se' e' autoinganno (Groddeck, 1912).
La vita umana e' una rappresentazione simbolica dell'Es, che sospinge infine alla morte come ritorno nel grembo materno.

Secondo Groddeck e secondo Fromm il contenuto psichico precede la parola.
Groddeck afferma che la piu' profonda vita interiore e' muta.
Il linguaggio verbale non riesce ad esprimerla, perche' non puo' tradurre in parole il movimento incessante dei contenuti mentali in tutte le loro cangianti modalita' (Groddeck, 1912, p. 249).
Piu' i pensieri sono fini, delicati e profondi, piu' bisogna ricorrere al gesto, al contatto, allo sguardo, al suono non verbale, musicale (Groddeck, 1912).
L'inconscio usa i fonemi in modo simbolico, adopera la laringe per esprimere dati processi interiori.
I simboli si "accumulano" nella laringe e vi si incarnano in modo che trovino voce i contenuti inconsci nel loro muoversi (Groddeck, 1922, p. 168).

La distinzione tra "corpo" e "anima" si riferisce solo a due funzioni, due modi di manifestarsi dell'Es, nel suo sussistere sotto i fenomeni incessantemente generati dalla creazione simbolica.
"L'inconscio non e' ne' psiche ne' corpo" (Groddeck, 1917, p. 128).
Le pagine di Groddeck indicano continuamente operazioni e corrispondenze simboliche in riferimento a sintomi, organi del corpo umano, funzioni fisiologiche, pensieri, azioni, comportamenti.
L'essere umano e' vissuto da una coazione a simbolizzare, e' un essere simbolizzante
(Groddeck, 1922).

Mi sembra che si possa concordare con Groddeck e Fromm sul fatto che il corpo si presta con molta versatilita' a simbolizzare contenuti mentali: le emozioni piu' forti sono riconoscibili dall'espressione corporea.
Anche il tono muscolare rivela umori cupi o allegri, e cosi' la mimica e la pelle.
I gesti possono essere tanto eloquenti e inequivocabili da lasciarsi comprendere meglio di una esposizione verbale.
Mentre i contenuti consci comunemente compresi sono espressi dal linguaggio verbale, quelli inconsci, universali, appartenenti al genere umano in quanto natura umana che sottende le sue specificazioni socioculturali, ricorrono spesso a linguaggi simbolici del corpo non meno che del sogno, della creazione artistica, delle esperienze e dei fenomeni religiosi.

Una simile concezione dell'inconscio vede nelle idee di felicita' e infelicita' figurazioni intellettuali e spesso ideologiche per lo piu' dovute a meccanismi di difesa, specialmente dissociazioni, idealizzazioni, proiezioni e razionalizzazioni.
Potentemente influenzate dagli stereotipi del senso comune, tali idee stentano a rappresentarsi processi interni estremamente complessi e conflittuali, sfuggenti alla consapevolezza.
Accade anche che concettualizzazioni schematiche, assertive e non critiche siano il sintomo di inceppamenti nei processi di simbolizzazione.

La psicoanalisi possiede gli strumenti per sollevare i veli che i meccanismi di difesa stendono sui fermenti e conflitti del mondo interno, cosi' da non dare per scontato ma invece interrogare cio' che appare in superficie come sensazione di benessere o malessere.
Ma non piu' solo la psicoanalisi indaga sui moti profondi della psiche.

Stephen Mitchell e Margaret Black (1995, pp. 77-78) nell'esporre le elaborazioni teoriche di Edith Jacobson (1964) su libido e aggressivita', che si rimandano e si alternano l'una all'altra come entrambe necessarie allo sviluppo dell'individuo, presentano una opportuna e puntuale nota a pie' di pagina a carattere neuropsicologico.
Essi citano la ricerca presentata da Besser Van der KolK (1988) sui percorsi dell'endorfina nel primo anno di vita, che si fisserebbero come reazione alle emozioni nel rapporto con la madre.
Se le esperienze sono traumatiche il rilascio dell'endorfina si collegherebbe al dolore e all'angoscia, segnando pesantemente la vita futura di una persona con disregolazioni nei piu' sottili meccanismi fisiologici di percezione del piacere e del benessere.

Dunque, le parole di Fromm del 1947 sugli esami chimici che possono darci la misura della felicita', se potevano allora sembrare un'iperbole, oggi rientrano nel quadro di una prospettiva concreta data dallo sviluppo delle neuroscienze.
Spostare sul corpo l'accento dell'attenzione con cui vogliamo seguire un fenomeno psichico non significa, ai fini del presente lavoro, adottare un orientamento organicista; al contrario, e' per tutelare l'autonomia scientifica della psicoanalisi che occorre rivolgersi alla totalita' dell'essere umano, che include il corpo reattivo e interrelato con la mente.

Del resto, un buon principio di clinica psicoanalitica e' di prestare attenzione agli aspetti fisici del paziente quando si lamenta del suo dolore morale e prestare attenzione alla sua psicologia quando si lamenta del suo corpo.

Il movimento unificante del simbolo in funzione

La parola simbolo deriva dal greco symbàllein (mettere insieme).
Il simbolo opera unendo due versanti, quello che appare ed e' dunque conscio, e quello che non appare e che puo' essere inconscio rendendo tale anche il nesso tra loro (Rycroft, 1968).
La mia teoria di riferimento e' principalmente quella dei simboli secondo Fromm (1951).
Tale teoria si discosta da quella classica (Freud, 1911, 1920; Jones, 1916) che vede la funzione simbolica essenzialmente volta al mantenimento dell'equilibrio interno.
Il pensiero di Fromm si puo' accostare a quello di Sandor Ferenczi (1932), e non a caso, poiche' entrambi questi autori hanno goduto di un lungo e profondo rapporto di amicizia con Groddeck, lo "psicoanalista dei simboli" (Biancoli, 1997).
La creazione simbolica, secondo loro, non riguarda solo il mondo interno ma si volge anche alle relazioni con gli altri, con l'ambiente esterno.

La definizione di Fromm del simbolo come "qualcosa che sta per qualcos'altro" appare semplice, ma esaminandola nella correlazione tra il simbolo e cio' che viene simbolizzato ne emergono la complessita' e la profondita'.
Egli distingue tre tipi di simboli: convenzionale, accidentale e universale.
Il simbolo convenzionale risulta comprensibile in modo preciso perche' il suo rapporto con cio' che simbolizza deriva da una prassi nota e condivisa o da una convenzione, come nel caso del simbolo linguistico o di quello segnaletico.
Gli ambiti applicativi sono estesi, ma per lo piu' non molto profondi.
All'opposto, il simbolo accidentale vale per una sola persona, la quale lo abbia associato a una data esperienza.
Il contesto in cui opera questo tipo di simbolo e' individuale e puo' poggiare su di un nesso esperienziale anche intenso ma soggettivo, cioe' senza un oggettivo legame tra cio' che funziona come rappresentazione e cio' che funziona come tema rappresentato.
ll limite di entrambi i tipi di simbolo e' dato dalla mancanza di una relazione intrinseca tra simbolo e contenuto simbolizzato, che invece caratterizza il simbolo universale, fondato sull'"esperienza dell'affinita' esistente tra un'emozione o un pensiero, da una parte, e un'esperienza sensoriale dall'altra" (Fromm, 1951, p. 179).
In questo caso il legame e' oggettivo ed e' valido e attivo in generale; inoltre, non e' stato deliberato da nessuno ma si pone con una forza propria, talora potentissima, che si muove all'interno dell'animo e vi si impone (Groddeck, 1922), manifestandosi in modi non di rado ermetici, indecifrabili o sfuggenti.
Sperimentare in se stessi il senso dell'arcano puo' inquietare, anche spaventare, ma, se l'angoscia non e' tanto intensa da indurre i meccanismi di difesa a spegnere l'esperienza di un simbolo allarmante, quel fermento di vitalita' lambito da un brivido concorre alla compiutezza dell'umano sentire in cui consta l'esperienza felice intesa come non alienata.

Il tema del simbolo universale si svolge su reticoli di "nessi palpitanti" (Dolci, 1985).
In movimenti che mai si fermano, l'esercizio dei sensi, come il vedere, l'udire, l'odorare, il toccare, sta al posto di un'esperienza interiore, un'emozione, un sentimento, un pensiero.
"Nel linguaggio simbolico le esperienze interiori, i sentimenti e i pensieri vengono espressi come se fossero esperienze sensoriali, avvenimenti del mondo esterno" (Fromm, 1951, p. 174).
L'analisi dei sogni spesso ci conferma l'operare di un simbolo nel gioco di immagini che consente a un dato sensoriale di farsi rappresentazione di un contenuto psichico, talora di assai difficile verbalizzazione.

Desidero precisare che l'universalita' del simbolo non credo vada intesa in un senso assoluto di permanenza fissa e idealizzata, come se si trattasse di idee platoniche.
Anche se il simbolo trascende l'immediato relativo sociale e attinge alle condizioni piu' generali della situazione umana, alla "gettatezza" (Heidegger, 1927; Fromm, 1947) dell'essere umano nel mondo, esso vive nella vita delle civilta', le quali sono transeunti e comportano nei loro trapassi rimozioni profonde e mutamenti nelle manifestazioni simboliche.
In letteratura, l'esempio forse piu' impressionante di inversione nel giro della ruota dei simboli e' quello riportato da Bachofen (1861) a proposito dell'ipotizzato passaggio dal matriarcato al patriarcato.
I valori e i connessi simboli del matriarcato erano: l'amore per la madre e per la sorella, la condanna senza appello per il matricidio, la liberta', l'uguaglianza, la pace, la predilezione della notte, della luna, della terra, il culto dei morti, le sorelle preferite ai fratelli, l'ultimogenito preferito ai figli maggiori, la sinistra preferita alla destra.
In seguito a lotte terribili, il patriarcato soppianto' il potere femminile e impose i suoi valori e i suoi simboli: indipendenza individuale, amore per il padre, diritto patrilineare, procreazione spirituale, di cui l'adozione era una esplicitazione, prevalere del giorno sulla notte, del sole sulla luna, del cielo sulla terra, della destra sulla sinistra.

Bachofen influenzo' il retroterra culturale di Groddeck (Biancoli, 1995) e ispiro' a Fromm l'ammirazione per il matriarcato (Biancoli, 1998), tanto che questi due psicoanalisti si trovarono a condividere l'interesse per la percettivita' e la sensibilita' del mondo femminile e il valore del dato sensoriale.
Attraverso i sensi, il corpo e' chiamato in causa dai simboli e dai sogni animati da simboli.
Cogliere un simbolo in opera, averne l'insight, e' momento di integrazione, pienezza, espansione della sfera conscia, uno dei tratti piu' degni dello specifico umano.

Mi sembra un'esperienza toccante costatare e sentire la verita' di quel che Groddeck aveva compreso: i simboli si incarnano e agiscono sul piano biochimico e fisiologico; il linguaggio del corpo e' linguaggio simbolico che parla attraverso il funzionamento degli organi; i contenuti psichici si traducono in via mediata o in via immediata in aspetti del corpo e in accadimenti che lo riguardano.
Una persona puo' anche voler nascondere i suoi sentimenti, ma le accadra' che forze inconscie li simbolizzino sul suo volto, nei suoi gesti e posture, nel suo passo che dice anche dell'umore (Groddeck, 1922, p. 170).

In Fromm (1947) rieccheggia Groddeck a proposito di tali visioni felicemente rapide nel riconoscere il carattere di una persona dai suoi aspetti corporei: il portamento, l'andatura, le mani, i gesti, la voce, la mimica.
Il carattere ricettivo si palesa attraverso la bocca e le labbra tendenzialmente aperte, come a chiedere nutrimento, ed i suoi gesti sono "invitanti e rotondi".
Il carattere sfruttatore presenta una bocca che sembra pronta a mordere e movimenti diretti ed aggressivi, con gesti appuntiti.
Il carattere tesaurizzante tiene le labbra strette, serrate, con atteggiamenti ritratti e gesti "angolosi".
Nel carattere mercantile il corpo e' alienato a strumento di successo, da conservare giovanile e piacente sul mercato delle personalita'.
L'interesse per gli odori si esprime sul volto del carattere necrofilo, conferendogli il tratto caratteristico di "annusatore"; il viso denuncia l'incapacita' di ridere, e' inespressivo e lascia l'impressione di faccia "sporca", per la pelle arida e giallastra (Fromm, 1973).

Chi puo' agilmente e spontaneamente cogliere questi aspetti nel loro continuo dileguarsi e ricomparire non vivra' certo per questo una felicita' da fotoromanzo, ne' si sentira' euforico, talora potra' anche ricavarne un senso di pena o di tristezza o di dolore, pero' dalla percezione fine della propria attitudine a leggere i simboli in se' e negli altri e dal correre degli occhi dal visibile all'invisibile trarra' un sottile senso di essere vivo in mezzo alla vita.

Leggi la seconda parte dell'Articolo: L'Idea di Felicita' tra Simbolo e Idolo

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