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Coaching professionale e transizioni lavorative
L'articolo " Coaching professionale e transizioni lavorative", parla di:
- Teorie che si focalizzano sui processi
Carriere senza confini involontarie e volontarie Contratto psicologico
tra datore di lavoro e lavoratore
Articolo: 'Coaching professionale e transizioni lavorative'
A cura di: Monica Salvadore
INDICE: Coaching professionale e transizioni lavorative
- I modelli tradizionali di carriera
- Nuovi contesti lavorativi, nuove forme di carriera e una nuova identità professionale
- Bibliografia
I modelli tradizionali di carriera
Lo studio delle carriere lavorative prende l'avvio dagli studi di Frank Parson compiuti all'inizio del ventesimo secolo.
Egli viene indicato come il fondatore della teoria "tratto-fattore", secondo cui ogni individuo possiede dei tratti (degli interessi,
delle attitudini e delle abilità), che si mantengono stabili nel corso della sua esistenza e che possono influenzare la scelta
professionale.
Secondo l'autore la decisione di intraprendere un percorso professionale piuttosto che un altro dipende dalla corrispondenza, da un
"matching", tra i tratti dell'individuo (le sue capacità, conoscenze, abilità) e le caratteristiche di un certo lavoro.
Gli sviluppi della teoria "tratto-fattore" hanno poi portato alla nascita delle teorie sull'adattamento persona-ambiente (Holland,
1973; Dawis e Lofquis, 1984, in Swanson e Fouad, 1999), secondo cui la condizione lavorativa dell'individuo è il frutto dell'interazione
tra le caratteristiche dell'individuo e dell'ambiente.
Queste teorie affermano che, a seconda del tipo di personalità dell'individuo, sia possibile prevedere la condizione professionale a lui
più idonea.
Questi approcci sono in parte sorpassati perché troppo legati ad una logica causale e meccanicistica del rapporto individuo-contesto
lavorativo (Murgia, 2006).
Nel tempo, grazie alla diffusione delle teorie sullo sviluppo, sono emerse nuove prospettive (Ginzberg, 1951; Super, 1990) che non vedono
più la decisione di intraprendere un certo percorso professionale come un singolo evento decisionale, come un "accoppiamento" (match)
tra uno specifico soggetto e il lavoro a lui più adatto, ma come il frutto di un processo, legato allo sviluppo psico-fisico dell'individuo
e ai ruoli che riveste nella sua vita.
Queste teorie vengono infatti chiamate "teorie che si focalizzano sui processi" (Swanson e Fouad, 1999).
Sono approcci che considerano lo sviluppo di carriera come un processo che non si esaurisce nell'età adulta, ma che si estende lungo
tutto l'arco della vita, durante il quale l'individuo opera continui aggiustamenti al suo percorso.
Questi continui assestamenti sono determinati, in parte dal contesto socio-economico degli ultimi anni, che genera una certa discontinuità
e precarietà lavorativa, in parte dalla ricerca di una maggiore soddisfazione.
Nuovi contesti lavorativi, nuove forme di carriera e una nuova identità professionale
Il modificarsi dello scenario economico-sociale, iniziato negli anni Settanta, ha portato a una serie di mutamenti che hanno riguardato il
rapporto di lavoro tra dipendenti e datore di lavoro, le caratteristiche delle occupazioni e i vissuti delle persone rispetto alla propria
occupazione e alla propria appartenenza organizzativa.
Fenomeni come il neoliberismo, l'outsourcing, e l'aumento di joint ventures tra aziende impongono di considerarsi mobili e
flessibili, di transitare da un'organizzazione ad un'altra, mantenendo sempre un alto livello di adattabilità ai nuovi contesti.
La prospettiva che Rifkin (1995) elabora sul futuro è piuttosto pessimistica: secondo l'autore negli Stati Uniti, nel 2020 l'80%
della forza lavoro industriale sarà in mezzo alla strada e solo il 20% della popolazione attiva farà parte dell'élite
specializzata che può contare su un posto di lavoro sicuro.
Secondo Rifkin stiamo passando da una società del lavoro, a una società dei lavori, sempre più brevi e mutevoli,
in cui l'aspettativa rassicurante di vedersi sempre allo stesso posto non sarà più sostenibile.
Questi cambiamenti impongono di considerarsi mobili e flessibili perché ogni scelta professionale è aleatoria.
A partire dalla emanazione del Decreto legislativo 276/2003 più comunemente detto "Legge Biagi", termini quali Flessibilità,
Precariato, Insicurezza, Discontinuità sono entrati nel lessico collettivo, soprattutto con un'accezione negativa.
I lavoratori oggi si trovano così a dover intercettare, interpretare e assecondare richieste lavorative e organizzative non prevedibili,
pertanto non è più ipotizzabile descrivere e spiegare la vita lavorativa di un individuo attraverso i modelli di carriera proposti
da Parson, Holland, Dawis e Lofquis.
Le carriere lineari hanno progressivamente e ineluttabilmente lasciato il posto a "percorsi" di carriera caratterizzati da diverse transizioni.
I maggiori contributi che cercano di descrivere i nuovi percorsi professionali provengono dalla teoria socio-cognitiva delle carriere
(Lent, Brown & Hackett, 1996, 2000) e dalla prospettiva del lifelong learning, dalla Psicologia positiva (Seligman &
Csikszentmihalyi, 2000), che hanno innanzitutto valorizzato le componenti dinamiche, motivazionali e proattive del comportamento.
È proprio all'interno di questo clima culturale e scientifico che negli ultimi anni sono stati avanzati nuovi contributi tra i quali
quelli dell'orientamento alla carriera versatile (Protean Career Attitude; Hall & Mirvis, 1994) e dell'orientamento alla carriera senza
confini (Boundaryless Career Attitude; Arthur & Rousseau, 1996).
La protean career (Hall & Mirvis, 1994) e la boundaryless career (Arthur & Rousseau, 1996) per molti versi possono essere considerate
come due concezioni speculari, in grado di descrivere le transizioni lavorative.
Da un lato la carriera versatile (protean career) è un modello teorico con cui poter descrivere il ruolo dell'individuo
nella gestione autonoma della propria carriera.
Colui che attua una carriera versatile ha un forte locus of control interno, ossia crede nella sua capacità di controllare e
determinare gli eventi, è una persona con forti capacità adattive ed è in grado di gestire i processi di apprendimento
professionale e organizzativo.
Dall'altro lo studio dell'orientamento alla carriera senza confini (boundaryless career), si concentra sulle opportunità
offerte dai mutamenti di assetto delle organizzazioni odierne che si sono de-verticalizzate e hanno affidato alcune fasi del processo produttivo
ad altri attori economici (outsourcing), rendendo i confini organizzativi sempre più permeabili.
La carriera diventa ora un percorso professionale caratterizzato da una sequenza di opportunità lavorative che vanno oltre i confini di
un singolo setting lavorativo.
Arthur e Rousseau (1996) parlano di carriere senza confini involontarie e volontarie.
- Carriere senza confini involontarie
- Sono definite come percorsi lavorativi in cui la persona, a seguito di processi di downsizing, ristrutturazioni e licenziamenti, si
trova costretta a cercare un nuovo lavoro.
Queste persone, costrette a "rimboccarsi le maniche" alla ricerca di una nuova occupazione, sono sempre più diffidenti verso il libero
mercato del lavoro nel quale sono state gettate.
La diffidenza è più che comprensibile; si tratta perlopiù di persone che hanno lavorato per venti o trenta anni all'interno
della stessa realtà aziendale, che hanno solo intravisto, senza sperimentarlo, un cambiamento nella struttura sociale, che non sanno cosa
vuol dire un contratto a tempo determinato e non hanno mai conosciuto il precariato, che non si sono mai recati presso un'agenzia interinale,
ma ricordano ancora i vecchi uffici di collocamento che garantivano lavoro a tutti.
Queste persone non hanno mai avuto la necessità di redigere un curriculum vitae, perché la domanda e offerta del lavoro era
gestita attraverso il passaparola.
- Carriere senza confini volontarie
- Sono invece l'esito del desiderio della persona di ottenere un maggior riconoscimento della propria professionalità, con l'auspicio
di essere inclusa in progetti lavorativi interessanti.
Spesso, il movimento verso altre organizzazioni è anche dettato dalla necessità di ottenere una migliore remunerazione o un
più rapido a vanzamento di carriera.
I nuovi contesti hanno anche influenzato la costruzione dell'identità professionale.
Oggi i lavoratori non si definiscono più secondo i criteri di status professionale o di livelli contrattuali, ma secondo un criterio
legato alla tutela normativa delle professioni, che ha portato ad una più ampia frattura tra i vari strati delle forze produttive.
Da una parte troviamo i lavoratori tutelati nei propri diritti (la stabilità del posto, la tutela sindacale, la copertura previdenziale)
dall'altra i lavoratori con bassi livelli di garanzie (discontinuità contrattuale, scarsa tutela sindacale, ridotte coperture normative).
La precarizzazione del lavoro ha inoltre portato a una trasformazione del contratto psicologico tra datore di lavoro e lavoratore.
Si è passati da un contratto psicologico di tipo relazionale, fondato sulla fiducia e sulla fedeltà reciproca a un
contratto di tipo transazionale, basato su uno scambio monetario per un periodo limitato nel tempo.
Questa variazione ha avuto delle implicazioni nei processi di costruzione dell'identità professionale del soggetto, che si identifica
sempre meno con l'azienda e sempre più con la sua professione.
Il nuovo lavoratore del XXI secolo dovrà assumersi sempre più l'onere di sviluppare le sue competenze, differenziandosi dagli altri
lavoratori, al fine di garantirsi una maggiore visibilità-vendibilità nel libero mercato del lavoro.
Questa nuova prospettiva ha forti implicazioni rispetto alla responsabilità del singolo sul mantenimento del proprio impiego; per cui se
prima era l'azienda che tutelava il posto di lavoro, ora è il singolo che dovrà costantemente dimostrare di "valere".
Le tendenze sociali e organizzative sopra delineate e la rielaborazione del concetto di carriera sembrano porre il consulente di
carriera, che si trova a dover progettare nuovi percorsi professionali, di fronte ad un compito impossibile.
Ad ogni modo, credo che sia ancora possibile offrire speranze senza illusioni, ma affinché questo si concretizzi in pratiche efficaci
è necessario che si predisponga uno spazio e un tempo in cui il lavoratore possa pensarsi e creativamente ri-pensarsi alla luce di una
ri-costruzione della propria identità professionale.
Bibliografia
- Arthur M.B. e Rousseau D.M., Conclusion: A lexicon for the new organizational era. In Arthur M.B. e Rousseau D.M.,
"The boundaryless career: A new employment principle for a new organizational era", Oxford University Press, New York, 1996
- Ginzberg E., Ginsburg S.W., Axelrad S. e Herma J.L., "Occupational choice: An approach to a general theory", Columbia University Press, New York, 1951
- Lent R.W., Brown S.D. e Hackett G., Career development from a social cognitive perspective. In Brown D., Brooks L. & Associates,
"Career choice & development", Jossey-Bass Publishers, San Francisco, 1996
- Mirvis P.H. e Hall D.T., "Psychological success and the boundaryless career", Journal of Organizational Behavior, 15 (4), pp.365-380, 1994
- Murgia A., "Confini, transizioni, frammenti. Una rassegna della letteratura su carriere professionali e differenze di genere",
I quaderni di gelso, Trento: Servizio Stamperia e Fotoriproduzione dell'Università degli Studi di Trento, 2006
- Rifkin J., "La fine del lavoro. Il declino delle forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato", Baldini & Castoldi, Milano, 1995
- Seligman M.E.P. e Csikszentmihalyi M., "Positive psychology: An introduction", American Psychologist, 55, 5-14, 2000
- Super D.E., A Life-Span, Life-Space Approach to Career Development.
In Brown D., Brooks L. & Associates, "Career choice & development", Jossey-Bass Publishers, San Francisco, 1990
- Swanson J.L. e Fouad N.A., "Career Theory and Practice: Learning Through Case Studies", Sage Publications, Thousand Oaks, 1999
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