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Un caso di gestione delle Risorse Umane nella P.A.

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Un caso di gestione delle Risorse Umane nella P.A.
atteggiamento interiore, riflessioni e pensieri

L'articolo "Un caso di gestione delle Risorse Umane nella P.A.", parla di:

  • Efficacia della stesura scritta
  • Atteggiamento interiore
  • Stadi evolutivi
Psico-Pratika:
Numero 61 Anno 2011

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Articolo: 'Un caso di gestione delle Risorse Umane nella P.A.
atteggiamento interiore, riflessioni e pensieri'

A cura di: Roberta Cumin
    INDICE: Un caso di gestione delle Risorse Umane nella P.A.
  • Psicologa, esperta di Risorse Umane
  • Atteggiamento interiore e gruppo di lavoro
  • Stadi evolutivi
  • Bibliografia
  • Note
Psicologa, esperta di Risorse Umane

Come d'incanto nel 2005 mi sono ritrovata a ricoprire la funzione di Psicologa, esperta di Risorse Umane, proprio nel modo in cui ritenevo più giusto.
Finalmente, teoria e tecnica potevano compenetrarsi sul campo, lontane dalle aule di formazione e tirocinio nonché dalle dissertazioni universitarie.
Ora faccio parte di una struttura che vuole migliorare se stessa in termini di efficacia, efficienza, economicità, qualità e immagine esterna, tutti fattori sviscerati dalla Psicologia del Lavoro che ha come obiettivo lo sviluppo dell'organizzazione e della gestione aziendale.

Sicura e certa di condividere completamente la vision e la mission aziendali, sinteticamente descritte, da un lato, come voler perfezionare il servizio per migliorare il paese (trattandosi di Ente pubblico) e, dall'altro come raggiungimento degli obiettivi istituzionali, mi accingo a scrivere.
La formazione e l'esperienza maturata finora m'inducono ad applicare, al contesto organizzativo, un approccio cognitivo - comportamentale, integrato dalla Programmazione Neurolinguistica ad approccio sistemico.

La prima parte dell'articolo e' dedicata all'atteggiamento interiore maturato nel corso della realizzazione dei progetti per analizzare ma, soprattutto, per comprendere in modo più approfondito, l'interrelazione tra emotività personale e applicazione degli strumenti psicologici o, per utilizzare un termine che più si avvicina al concetto che voglio esprimere, la co-azione delle due variabili.
Co-azione identifica la presenza di due forze autonome che agiscono sia individualmente sia sinergicamente per raggiungere il traguardo prefissato.
La seconda parte, invece, sarà dedicata agli insegnamenti che ho trovato particolarmente utili in questo mio percorso.

La stesura scritta è una forma di consapevolezza avanzata poiché consente, attraverso la descrizione precisa degli eventi accaduti, di sviluppare una coscienza profonda di sé oltre che una padronanza maggiore nell'uso degli strumenti.
E' un canale efficace anche per accrescere la sensibilità e la sicurezza nei tirocinanti in Psicologia.
Per questo ho proposto alla mia tutorata, laureata in Psicologia del Lavoro, di redigere una relazione dettagliata sul processo di certificazione di un ufficio che ha vissuto affiancando lo staff Qualità.

È utile iniziare un manuale di processo con l'auto-osservazione del proprio atteggiamento, del proprio comportamento e della propria tecnica psicologica per valutarne l'impatto sulla realizzazione dei progetti.

Atteggiamento interiore e gruppo di lavoro
  • Il senso di auto-efficacia e l'autocontrollo emotivo mi hanno consentito di superare gli ostacoli al cambiamento che ogni organizzazione, per quanto orientata all'innovazione, dissemina, in modo più o meno cosciente, nell'ambiente di lavoro.
    La consapevolezza che non poteva essere altrimenti, in quanto, se non ci fossero stati problemi all'implementazione di nuovi processi operativi, non sarei stata assunta con un contratto a tempo indeterminato, mi ha consentito di lavorare con tranquillità d'animo.
  • La presenza di aree di certezza personali, legate alle competenze possedute, facilita la sensazione di fiducia, speranza, entusiasmo, positività verso il lavoro da intraprendere.
    Situazione, questa, da analizzare in modo più approfondito perché l'autostima e la sicurezza percepite sono stati fattori personali deboli, in contesti precedenti.
    "Qual è la differenza che fa la differenza, in questo caso specifico?"
    Richard Bandler e John Grinder (PNL)
  • L'intenzione di voler contribuire fattivamente al miglioramento dell'organizzazione per stimolare lo sviluppo nel Paese, è stata per me un fattore motivazionale talmente forte, da eliminare ogni traccia d'incertezza o dubbio sulle attività da svolgere nonché sul modo e sul momento migliore in cui attuarle.
    Pensare alle altre persone e al loro benessere, con uno spirito genuino e privo d'interessi egoistici legati, ad esempio, allo sviluppo di carriera, mi ha donato un senso di benessere profondo, di connessione con le persone e i compiti da svolgere nonché la lungimiranza di vedere gli effetti a breve, medio e lungo termine delle azioni che si decide d'intraprendere.
    L'altruismo annulla ogni timore di sbagliare che, in ultima analisi, è una forma di paura per non essere adeguati nello svolgimento del proprio compito.
    Questo genere di emozione negativa, se presente, (e lo è, purtroppo, in molti lavoratori, dirigenti compresi) crea un immobilismo interiore che congela ogni istinto creativo volto al superamento della condizione presente, in vista di un miglioramento desiderato perché sbagliare è associato, mentalmente, a una nota di demerito che potrebbe arrestare la carriera o bloccare le ferie.
    Lavorare per dare un futuro migliore ai figli e ai nipoti propri o altrui è, invece, un innesco comportamentale determinante per svolgere il lavoro in chiave altruistica, senza timori.
  • Il desiderio profondo di collaborare all'interno di un gruppo affiatato mi ha consentito di creare una squadra in cui le capacità dei membri si armonizzassero naturalmente, in modo, da accrescere le abilità delle persone che, ancora, non avevano raggiunto determinati stadi di conoscenza.
    In un'organizzazione produttiva è normale, infatti, trovare esperti tecnici piuttosto che consulenti del lavoro, già formati.
    Questo, però, non significa che un dirigente laureato in scienze politiche, un ragioniere, un avvocato, un naturopata, un fisioterapista non possano partecipare alla progettazione di un'attività rivolta allo sviluppo del personale.
    La multifunzionalità del gruppo di lavoro ha costituito il valore aggiunto alle attività intraprese.
    Un progetto, affinché fosse approvato e, quindi, realizzato, doveva, infatti, presentare determinati requisiti:
    • Economicità. Il ragioniere è stato la persona più competente nell'ambito della revisione dei conti e della gestione del bilancio o del budget.
    • Basso rischio di rivendicazioni sindacali o contenziose (ad esempio, nei casi in cui si decida di applicare un sistema di valutazione). L'avvocato è l'esperto della materia.
    • Accuratezza del progetto. Questo è l'ambito d'intervento dello Psicologo che deve monitorare l'andamento delle attività affinché siano rispettate la metodologia, la tempistica e la deontologia professionale.
    • Sensibilità umana. Il naturopata, per inclinazione e formazione, è orientato alla promulgazione del benessere personale, in qualsiasi contesto è può essere un buon alleato (ad esempio, nel caso in cui si voglia implementare delle misure preventive o di monitoraggio dello stress lavoro correlato).
    • Sicurezza. In senso lato, si può far rientrare nell'ambito della sicurezza sui luoghi di lavoro anche la salute fisica dei lavoratori.
      Un fisioterapista, già presente nell'organico aziendale, è un utile strumento per avviare campagne di sensibilizzazione verso la cura dei problemi corporei come il mal di schiena, i dolori cervicali o del polso, a causa dell'utilizzo prolungato del mouse, l'affaticamento agli occhi e tutte le altre patologie legate a errate abitudini lavorative al computer o a tavolino.
    • Equilibrio. Il Dirigente è la persona migliore per gestire le relazioni con le altre funzioni organizzative e con la Dirigenza apicale, in modo da armonizzare i progetti presentati, alle esigenze aziendali e alle attività già in corso d'opera.
    La valutazione globale delle competenze possedute dal personale mi ha permesso, quindi, d'identificare i talenti che possono essere d'ausilio alla realizzazione di nuovi progetti.
  • La fede nel potenziale interiore dell'essere umano mi ha ispirato comportamenti e atteggiamenti percepiti dagli interlocutori come segnali di fiducia nei confronti delle loro capacità nascoste che ora, finalmente, potevano emergere anche in un contesto lavorativo che, non solo, non le aveva richieste ma le aveva addirittura eclissate.
    Il piacere di condividere le proprie conoscenze per aiutare altre persone a riscoprire dentro di sé i talenti inespressi è stato molto appagante, non tanto per il mio ego che avrebbe potuto auto esaltare le proprie capacità di empowerment ma, piuttosto, per quella parte del mio essere chiamato in Letteratura Vero Sé.
    Questo essere essenziale che è dentro di noi, a livello in parte inconscio, manifestava la sua approvazione attraverso semplici segnali: sorrisi genuini, movimenti fluidi nell'ambiente, contatti fisici naturali con i colleghi (mani sulle spalle, tocchi alle braccia, strette di mano forti e calde) nonché la percezione di un senso di armonia diffusa nelle relazioni professionali che erano chiare, semplici, dirette e orientate agli interlocutori perché l'obiettivo di rendere comprensibili i contenuti della comunicazione era raggiunto.
  • L'umiltà di ritenersi fortunati per il lavoro che svolgevo senza attribuire eccessiva importanza ai meriti personali per averlo ottenuto ma ringraziando tutti quelli che avevano contribuito alla sua realizzazione, mi ha aiutato in diverse occasioni.
    Ad esempio, è stato un fattore utile a stabilire una comunicazione paritaria con i colleghi che, pur non avendo titoli particolari, si sentivano liberi di parlare di Psicologia del Lavoro, sapendo che le informazioni che condividevano sarebbero state usate per avviare un progetto calibrato all'ambiente lavorativo.
  • La capacità di ascoltare e comprendere il linguaggio dei colleghi cha saranno sia collaboratori sia utilizzatori dei progetti avviati, mi ha permesso di parlare una lingua comune e di tradurre in modo semplice, diretto e immediatamente applicabile i concetti e le teorie psicologiche universitarie.
    Sviluppare la capacità comunicativa e di ascolto attraverso percorsi formativi nell'ambito dell'analisi transazionale e della Programmazione Neurolinguistica, è stato un investimento professionale e personale molto proficuo.
  • L'approfondimento di aspetti meta-psicologici ha alimentato la capacità di parlare da essere umano a essere umano senza sentire l'esigenza di dovermi presentare ufficialmente come Psicologo ma semplicemente ricordandomi, interiormente, di esserlo.
    Gli interlocutori sentivano che era in corso una comunicazione genuina tra anime riuscendo, così, a fidarsi completamente dell'esperto che avevano davanti perché presentava in sé sia caratteristiche professionali mature sia aspetti umani, nel comportamento e nell'atteggiamento.
    Le correnti meta-psicologiche di pensiero che maggiormente hanno influenzato le mie relazioni professionali e personali, in modo costruttivo sono lo Yoga, il Buddismo, e il Sufismo.
    La coscienza di essere un piccolissimo atomo di energia, collegato ad altri atomi di energia (le altre persone) nell'universo organizzativo, generava in me un senso profondo di unione con i miei colleghi con cui condividevo il destino dell'organizzazione che contribuivamo a consolidare.
  • La flessibilità di accogliere diversi modi di operare, ragionare, gestire il tempo ed elaborare le informazioni è una capacità che ho calibrato con attenzione perché doveva integrarsi con l'ordine, la precisione e l'accuratezza del pensiero e del metodo operativo.
    Eccessiva flessibilità avrebbe generato caos, la mancanza di flessibilità, al contrario, avrebbe comportato una forma di autoritarismo dittatoriale con inibizione di ogni forma di creatività.
    Il concetto, per me, più appropriato da applicare alla vita lavorativa è, invece, quello di rigidità flessibile (da Sufismo e Terapia) che può essere così metaforicamente descritto:
    "Se appoggio una matita in verticale sulla tavola, il punto di contatto tra la matita e la tavola è il punto di contatto con la metodologia.
    Se inclino la matita senza staccarla dalla tavola, metto in atto un certo grado di flessibilità.
    Poiché il punto di contatto tra la matita e la tavola continua a esserci, ciò equivale alla rigidità del contatto con la metodologia e con la fiducia che funzioni.
    Staccando la matita in modo che non sia più in contatto con la tavola, essa perde il suo ancoraggio e ciò genera confusione, incertezza e compromessi perché il movimento della matita non ha più limitazioni e guida.
    Questa non è più flessibilità ma capriccio."
    Il concetto di rigidità flessibile non è stato compreso e apprezzato da tutti.
    Ci sono state persone, peraltro, facilmente individuabili, di cui non avrei dovuto fidarmi eccessivamente, perché, essendo inconcludenti operativamente, hanno rischiato di far naufragare vari progetti.
    Costoro consideravano il mio approccio operativo ispirato alla rigidità flessibile come un'assoluta mancanza di flessibilità.
    Il metro di paragone interiore che usavano per valutare la bontà di un metodo, era il loro caos interiore, generato dall'assoluta mancanza di regole, di precisione, di rispetto delle scadenze, degli accordi condivisi, dell'assunzione di responsabilità.
    Da questa prospettiva, ogni progetto dotato di struttura, metodologia scientifica di riferimento, tempistica appariva rigido.
    In realtà, bisogna stare attenti a non confondere la flessibilità con l'anarchia gestionale per la quale le organizzazioni non sono ancora pronte e ritengo che non lo potranno mai essere.
    Una struttura gerarchica gestisce il lavoro stabilendo chi (livelli aziendali) fa cosa (metodo d'intervento), entro quando (scadenze) e con quale obiettivo (finalità strutturata specificatamente).
  • La contaminazione emotiva tra consulente e committente deve essere monitorata perché è una variabile che muta secondo le circostanze.
    Il consulente può contaminare positivamente i colleghi nel senso di diffondere uno stile di pensiero costruttivo e creativo accompagnato da una sensazione di entusiasmo e appagamento per lo svolgimento del proprio lavoro ma può anche subirne l'influenza.
    In altre parole, l'eventuale frustrazione e rabbia del personale può investire il consulente attraverso una serie infinita di recriminazioni pseudo razionali.
    I ricordi negativi descritti dai colleghi possono essere molteplici e riguardano fatti realmente accaduti (sono rari i casi aziendali di paranoie psicotiche, anche, se è un'eventualità da non scartare in assoluto).
    Il vissuto interiore di tristezza che li accompagna è ugualmente legittimo ma il punto determinante è che è inutile.
    Essere depressi perché la propria azienda applica strategie gestionali schizofreniche, senza riflettere sugli effetti generati sull'animo dei collaboratori, non aiuta né a lavorare, né a vivere bene nell'ambito organizzativo.
    Le recriminazioni alimentano emozioni negative che non favoriscono il cambiamento del Sistema malato perché il pensiero a esse associato evidenzia che la situazione non potrà mai cambiare.
    Questi influssi pessimistici possono avere un effetto controproducente anche sul consulente e su di me l'hanno avuto.
    La conseguenza, fortunatamente, è stata superficiale, nel senso che non ha intaccato la struttura profonda del mio essere in cui sono rimaste intatte le caratteristiche di positività ed entusiasmo ma ha ridotto l'energia che avevo a disposizione per operare.
    Stavo per cadere vittima del cosiddetto rischio di burn out esattamente come in qualsiasi altra relazione d'aiuto di tipo clinico ma sono riuscita a contrastarne le cause e gli effetti attraverso un approccio multifunzionale che intervenisse a diversi livelli.
    • Ristrutturazione cognitiva
      Mi ha consentito di considerare un problema semplicemente come una situazione con alcune caratteristiche da modificare utilizzando in modo costruttivo le possibilità che si presentavano.
    • Orientamento mentale rivolto al futuro
      La tensione al raggiungimento di un obiettivo futuro piuttosto che la fuga dalla situazione presente, mobilitava in me un'energia psicofisica propositiva e costruttiva che non si è mai bloccata nelle paludi dell'immobilismo burocratico che alimentava la credenza illusoria diffusa di non poter modificare lo status quo.
    • Osservazione oggettiva della situazione
      Osservare un avvenimento da diverse prospettive, la propria, quella altrui e quella dell'obiettivo da raggiungere, senza identificarsi in nessuno di questi punti di vista, mi ha consentito di scoprire cosa agevolava e cosa ostacolava la riuscita di un progetto, senza disperdere l'energia in recriminazioni, di varia natura.
    • Sentimento emotivamente distaccato
      L'interazione comunicativa per essere, realmente, efficace deve avvenire non solo a livello superficiale, attraverso lo scambio di formule comunicative standardizzate scientificamente come ottimali ma, soprattutto, a livello profondo attraverso l'invio di sentimenti di entusiasmo e d'interesse verso il benessere altrui.
      Questi segnali sono percepiti immediatamente dall'interlocutore, anche se magari non ne è cosciente.
      Il limite tra sentimento empatico e identificazione emotiva è, però, labile, nel senso che il rischio per gli operatori di cadere vittima delle elucubrazioni mentali e delle emozioni negative dei propri clienti è alto, specialmente, nei casi in cui sia elevato il numero di persone con cui ci si rapporta ogni giorno.
      Una situazione ancora più critica si ha quando il consulente come nel mio caso, è parte integrante del Sistema che deve contribuire a cambiare.
      In questa situazione, si è contemporaneamente agenti del cambiamento e oggetti del cambiamento.
      Ascoltavo i problemi altrui e parallelamente li vivevo, sul campo.
      La pressione cui ero sottoposta era, quindi, duplice poiché oltre a dover ristrutturare cognitivamente le distorsioni mentali e le sofferenze altrui, dovevo separatamente agire su di me per non cadere vittima dello stesso pessimismo, dei miei colleghi.
      A volte, è difficile convincere qualcuno a vedere il bicchiere mezzo pieno quando sai che non lo sarà ancora per molto perché le conoscenze organizzative di cui disponi non solo non possono essere diffuse ma devono essere veicolate in modo indolore.
      Da qui si sono attivati una serie di conflitti deontologici interiori su cosa sia corretto fare.
      Ne ho discusso con i supervisori (ricordandomi però, che sono sempre parte dello stesso Sistema) che hanno continuato a ripetermi che se avevo fatto tutto ciò che era in mio potere e tutto ciò che mi era stato chiesto di fare, ero a posto sia con la mia coscienza sia con l'organizzazione.
      Nuovamente, ho dovuto vivere la situazione con un sentimento emotivamente distaccato che posso definire una percezione empatica di disgusto disgiunto, una sorta di calore di fiamma lontana come diceva Montale, causato da eventi oggettivi e specifici ma sui quali realmente non potevo intervenire.
      Un sentimento di questo tipo non poteva essere rimosso o negato perché è normale essere turbati da situazioni deontologicamente scorrette, anche se non di propria competenza (ahimè è così).
      Ho scelto, quindi, di riconoscerlo, classificarlo, gestirlo, osservarlo, appunto, in modo distaccato, senza immedesimazioni ma con consapevolezza.
      Gli strumenti che ho usato per mantenere il mio stato di benessere interiore sono stati il rilassamento, la meditazione, l'attività fisica, le vacanze costanti e periodiche, i seminari di aggiornamento.
  • Costantemente e quotidianamente sono immersa in un campo energetico di forze che s'incontrano e si scontrano, sotto forma di parole, gesti, azioni, processi operativi che generano in me attivazione, adrenalina forza, coraggio e tutta una gamma di altre emozioni e sentimenti.
    Nonostante, la mia vita personale non sia stata costellata da insegnamenti religiosi o mistici, posso affermare di sentire che c'è qualcosa di più, qualcosa che oltrepassa quello che sto facendo nel qui e ora.
    Percepisco la presenza di un campo energetico universale vicino, concettualmente, all'inconscio collettivo di Jung.
    E' collegandomi a questa rete energetica che attingo conoscenza, strumenti operativi, fiducia, visioni creative sentendomi protetta, nel momento in cui la percepisco attorno a me e debole, nel momento in cui, dissociandomi da essa, penso di dover affrontare gli accadimenti quotidiani, esclusivamente, con le mie forze che sono matematicamente insufficienti per affrontare anche, solo, un micron dei problemi di un'organizzazione complessa.
    La connessione con questo campo energetico complessivo mi dà la sensazione di essere ben guidata, di mantenere la rotta, di essere sulla strada giusta ed è proprio questa sensazione interiore che tanto mi ha concesso di fare per il benessere individuale e collettivo, in un ambiente istituzionalizzato, burocratico e politicizzato che ragiona secondo logiche giurisprudenziali, piuttosto che sociali.
Stadi evolutivi

Questo esame di coscienza m'indusse a fare delle ricerche più approfondite sulle strane esperienze energetiche esperite e sulle visioni lungimiranti di accadimenti futuri che avevo quando pianificavo un nuovo progetto.
La strada della ricerca della verità è stata costellata da diversi stadi evolutivi:

  1. Il Buddismo
    Forma di Psicologia antichissima e del tutto applicabile ai giorni nostri di cui ora utilizzo, nella vita personale, più che gli insegnamenti teorici, validissimi ma riscontrabili anche in altre filosofie e scuole di pensiero, soprattutto, lo Yoga: metodo pratico d'integrazione di corpo, pensieri, emozioni e anima o Vero sé che dir si voglia, utile per mantenere il proprio equilibrio interiore, garanzia di benessere personale e lavorativo.
  2. L'approccio transpersonale
    "Approccio inclusivo che si aggiunge all'indagine, alla ricerca, alle conoscenze di base e alle pratiche della psicanalisi e delle altre scuole di psicoterapia comportamentale e umanistica istituite prima di essa. Tale forma di psicoterapia riconosce l'intera gamma dell'esperienza umana dal pre-personale allo sviluppo transpersonale e da un funzionamento anormale a comportamenti sani, fino alla coscienza spiritualmente orientata e trascendente. E' un approccio che espande la ricerca e le pratiche psicologiche nelle aree degli studi della coscienza, del rapporto corpo-mente, dell'esperienza spirituale e della trasformazione. La psicoterapia transpersonale getta un ponte tra psicologia e spiritualità."1
    Il training di un weekend avuto nel mondo della Psicoterapia transpersonale è stato arricchente e illuminante.
    Dal mio punto di vista è opportuno che Psicologia e spiritualità, rispecchiando due aspetti complementari della natura umana, la psiche e l'essenza, rimangano su piani differenti.
    Mescolarle, gettando un ponte tra le due rive, dal mio punto di vista, è pericoloso perché può far perdere il contatto sia con il rigore metodologico della scienza sia con l'umiltà della spiritualità pura.
    Nel mio cammino di ricerca della verità, c'è spazio sia per la metodologia psicologica sia per il misticismo ma dovrà essere ben specificato l'ambito di applicazione dell'una e dell'altro.
  3. L'Enneagramma, la Terapia Granada e il Sufismo
    Enneagramma e Terapia Granada (in spagnolo significa Terapia melagrana, a indicare che i suoi semi pur essendo parte di una totalità possono generare individualmente un frutto, in quanto, entità separate) sono due approcci di conoscenza derivanti dal Sufismo, antica corrente mistica islamica, risalente al tempo del Profeta Mohammed (s.a.s.) che poco o nulla ha in comune con quello che oggi conosciamo come il movimento integralista mussulmano.
    • L'Enneagramma, sinteticamente, descrive nove profili di personalità umana definendone, da un lato, fissazioni e passioni e, dall'altro, idee sante (per chiarezza potremmo definirle idee sane) e virtù, indicando il cammino evolutivo di ciascun enneatipo a livello fisico, emotivo, mentale e spirituale (o etico).
    • La Terapia Granada nasce attorno al 1981 grazie all'impegno del maestro afgano Omar Ali-Shah impegnato a diffondere la Tradizione Sufi, in Occidente, insegnando a più di 2000 studenti, molti dei quali psicologi, psicoterapeuti, medici, paramedici e psichiatri.
      Leggendo il suo libro Sufismo e Terapia che, per onor del vero, è stato l'unico testo, dei cinque che avevo ordinato via internet, a essermi stato recapitato dal corriere espresso, ho avuto molte realizzazioni cognitive.
      Ho trovato delle riflessioni riguardanti l'atteggiamento interiore da mantenere quando ci si relaziona con un altro essere umano, indipendentemente, dal tipo di rapporto sociale che ci unisce a esso: medico-paziente, collega versus collega, famiglia, compagnia amicale.
      L'approccio che il maestro Omar Ali-Shah ha mantenuto nel corso dei suoi seminari, si basava su uno stile comunicativo che potesse essere accolto da noi occidentali, quindi, per spiegare gli insegnamenti e le regole del Sufismo e, in particolare quelle della tariqa (congregazione) Naqshbandi di cui faceva parte, ha sempre parlato di Terapia.
      In realtà, come lui stesso ha più volte rilevato, gli insegnamenti Sufi raccolgono una serie di regole di buon comportamento per il benessere dell'uomo e una serie di strumenti per favorirne la stimolazione del potere di auto-guarigione attraverso la connessione con il campo energetico in cui siamo immersi che per il Sufismo è l'energia d'amore divino.
Bibliografia
  • Omar Ali-Shah, "Sufismo e Terapia", Libreria Editrice Psiche, Torino, 2003
Note
  1. "Integral Transpersonal Journal", numero 0, 2010
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