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Ammalarsi fa bene

La recensione del libro "Ammalarsi fa bene", parla di:

  • Recensione del libro "Ammalarsi fa bene"
  • I nostri organi, malattia come evento di vita
  • Vecchiaia e Piacere
Psico-Pratika:
Numero 62 Anno 2011

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Recensione Libro: 'Ammalarsi fa bene. La malattia a difesa della salute'

A cura di: Luciana Morelli
Ammalarsi fa bene<BR>La malattia a difesa della salute


Scheda libro
Titolo: Ammalarsi fa bene. La malattia a difesa della salute
Autori: Giorgio Abraham, Claudia Peregrini
Editore: Feltrinelli
Pagine: 216
Prima edizione: Ottobre 1989

    INDICE: Ammalarsi fa bene
  • Introduzione
  • I nostri organi
  • Salute e malattia
  • Vecchiaia
  • Piacere
  • Conclusioni
  • Bibliografia
Introduzione

La prima edizione di questo testo risale ormai a più di venti anni fa.
Quando lo lessi, lo trovai quasi rivoluzionario, ma ritengo che abbia mantenuto nel tempo la sua carica innovativa e possa essere ancora attuale con il suo messaggio alternativo ai modelli dominanti che impongono di essere tutti belli, efficienti, sani e a tutti i costi, ostinatamente giovani.

Gli autori, Giorgio Abraham, famosissimo psichiatra, sessuologo e psicoanalista e Claudia Peregrini, pediatra, sostengono invece tutta l'importanza della malattia, a difesa della salute ed anche della vecchiaia, uniti dalla prospettiva fondata su una medicina interdisciplinare e a più dimensioni che si basa sull'unità inscindibile mente-corpo.
Pensieri ed emozioni passano infatti dal cervello al sistema immunitario, attraverso nervi e neurotrasmettitori.
La psiconeuroimmunologia ci conferma la stretta relazione tra stato psico-mentale e difese organiche.
Ad esempio lo stress cronico modifica ormoni, molecole del corpo, ma anche il materiale genetico del DNA presente in ogni cellula.

I nostri organi

Questo testo è un viaggio nell'universo e nel mistero della malattia ed inizia ponendosi domande oggi spesso dimenticate, nella ricerca di rapide guarigioni offerte dalla tecnica e dalla chimica:

  • Perché?
  • Quando?
  • Come mai proprio quest'organo?

Attraverso la presentazione ben dettagliata di numerosi casi clinici, Abraham ci guida a riconsiderare i nostri organi, a chiederci chi sono, a sentire quale amiamo di più o al contrario quale ci piace meno, quale compatiamo, addirittura odiamo, anche se inconsapevolmente, perché ci crea paura, disagio.

Nel testo il lettore è stimolato a riflettere al fatto che la malattia di un determinato organo, piuttosto che di un altro, molto spesso non è casuale.
Attraverso un malessere, un disturbo, un dolore o una vera e propria patologia, i nostri organi infatti ci mandano messaggi, ci parlano, facendo emergere e mettendo in evidenza problematiche più nascoste e profonde, personali, di coppia o familiari.
I nostri organi ci chiedono di dar loro ascolto ed attenzione.
Per un armonico rapporto con essi, è quindi importantissimo essere capaci di ascoltarli, di accettarne i cambiamenti, magari di lasciarli ammalare quando hanno bisogno di una pausa e di ricevere più attenzione e cura.
Se sapessimo dialogare in armonia con gli organi del nostro corpo, senza avere con essi un rapporto sbagliato, molte malattie non si manifesterebbero e comunque potremmo imparare a conviverci diversamente.

Come esempi riporto un paio di casi, nel testo ben descritti attraverso alcuni significativi dialoghi registrati durante i vari incontri di terapia.
Eloquente il caso della donna con l'utero fantasma.
Un utero tolto, a causa d'un cancro, ma che ritorna sempre più spesso, nei sogni, nelle immagini diurne e continua a parlare, esprimendo un male interiore.
Talvolta la donna lo sente enorme come fosse incinta (in realtà dice che non ha voluto figli), altre volte si sente bagnata come avesse le mestruazioni, oppure le compaiono febbri inspiegabili.
Anche se tolto, l'utero non tace, continua a parlare dentro la donna, forse ancora più minacciosamente, come un persecutore interno.

Significativo anche il caso della donna con il rene nuovo, trapiantato dopo anni di dialisi e sofferenza, che però, stanca, apatica, rifiuta e non riesce ad accettare.
Ha sempre trascurato se stessa, i suoi bisogni.
Solo il suo affetto materno per le figlie, ora tutte grandi e lontane, ha dato un senso alla sua vita.
Attraverso i colloqui clinici, riesce pian piano ad aprirsi e parlare di sé, dei suoi desideri tra cui quello, rimasto segreto, di avere un figlio maschio.
Singhiozzando, ne esprime finalmente tutta l'intensità, raccontando quanto aveva sognato quel bambino per il quale "avrebbe fatto pazzie" ed aveva già scelto anche il nome.
A quel punto accetta la proposta del terapeuta di dare quel nome al suo rene nuovo, d'immaginarlo nella sua pancia come quel figlio maschio tanto desiderato, custodendolo con cura e tenerezza.
In questo modo la donna riesce finalmente ad accogliere ed accettare con amore quest'organo con cui convivrà a lungo, vincendo il rigetto che sembrava definitivo, con il suo rene "bambino".

Salute e malattia

"Forse siamo abituati, medici e pazienti, a fidarci solo di ciò che vediamo, a non sentirci protagonisti reali di fronte alle nostre malattie e alla salute" scrivono gli autori.
In realtà abbiamo spesso bisogno di dati oggettivi, di norme, statistiche e calcoli precisi, senza valutare che il gioco delle ipotesi è impressionante perché ogni uomo è diverso dall'altro ed anche diverso da sé giorno per giorno, perché i medici applicano le proprie conoscenze per fare previsioni e diagnosi ma è tutto relativo.
Molto spesso ci dimentichiamo di pensare che la nostra salute e malattia dipendono anche da noi, dalle nostre sensazioni, da ciò che siamo e vogliamo veramente.

Immaginaria o reale, la sofferenza e la malattia sono segnali d'allarme che ci fanno uscire dall'area protetta della normalità, rompendo la continuità delle nostre azioni quotidiane, della nostra vita, talvolta mettendola profondamente in crisi.
L'anormalità, lo squilibrio, la disfunzione improvvisa, pur faticosi, sono però anche stimolanti.
Si può approfittare del nuovo movimento e cambiamento del corpo, della sua trasformazione nell'energia vitale, per farlo diventare uno stimolo positivo.

La malattia crea uno squilibrio ed una rottura dell'adattamento al tipo di vita che facciamo, ma riesce a portarci maggiore elasticità e flessibilità, ci rende più duttili e capaci di difenderci, di integrare elementi nuovi nelle sicurezze cristallizzate del passato.
Molte persone, attraverso la loro malattia, conquistano una forza vitale che aumenta la loro resistenza, rendendoli più longevi.
La malattia ci spinge a sentire, ad ascoltarci, a prestare più attenzione alla nostra vita, a ciò che avviene nel nostro mondo interiore ed in quello esterno.
Ci costringe a fermarci e riflettere, anche sulle nostre relazioni, a rivedere la nostra salute e a cambiare qualcosa dentro e/o fuori di noi, ad interessarci a cosa veramente vogliamo, piuttosto che porre la nostra attenzione a ciò che, più o meno artificialmente, ci viene proposto o addirittura imposto.

Gli autori evidenziano cioè in questo testo il ruolo della malattia come evento di vita che ci guida ad amarci e a farci amare di più.
Spesso trattiamo invece la salute come "una proprietà, un bene acquisito per sempre".
La diamo per scontata, finchè ce l'abbiamo, per poi accorgerci del suo valore solo quando stiamo per perderla oppure l'abbiamo già perduta.
La malattia ci stimola ad apprezzare di nuovo la salute, ad amare di più noi stessi e la vita, ricercandone una più autentica e nostra.
Dovremmo vivere la malattia come parte della nostra storia, riconoscerle lo spazio, imparare anche a conviverci, perché la nostra salute dovrebbe alternarsi alla malattia, così come il giorno si alterna alla notte, come si alternano le stagioni.
Se non siamo capaci di convivere con la malattia, le nostre difese s'indeboliscono, portando all'autodistruzione.

Vecchiaia

Incominciamo ad invecchiare appena nati ed ogni notte tante cellule del nostro corpo muoiono.
Ma per ogni cosa che invecchia e muore, per ogni cosa che scompare ne compare un'altra.
Ad esempio, nel tessuto nervoso, le cellule che rimangono con il passare degli anni, pur inferiori di numero, sono molto plastiche e capaci di espandersi, creando nuove connessioni, andando a colmare dei vuoti.
Il cervello dell'anziano, quindi, più che funzionare meno, funziona in modo diverso.

E comunque i "vecchi" di oggi non sono come quelli di decenni fa.
Ma i pregiudizi e gli stereotipi, la pubblicità, in una cultura dell'apparire, continuano a rimandare l'idea che bisogna desiderare e conservare salute e giovinezza più a lungo più possibile, rifiutando una vita con i suoi cicli naturali e le sue inevitabili fragilità, perdite, debolezze.
Si tende ad evitare e negare la vecchiaia, immergendoci nell'iperattività, nell'esercizio fisico esagerato, nel ricorso alla chirurgia plastica.

La vecchiaia, anche se fosse una malattia, come dicevano i latini, è invece, secondo gli autori, un malanno con cui si può convivere bene, che fa diventare diversi, anche più forti, aprendoci ad una nuova fase di vita meno superficiale e stereotipata, con tante ricche sfumature e con più tolleranza, morbidezza, armonia.

Il segreto di una buona vecchiaia, enunciato in questo testo, è quindi saper personalizzare la propria esistenza, mantenere la capacità di sorprendersi, accettare gli squilibri quotidiani e la perdita della pienezza delle forze ed energie precedenti, ma nella consapevolezza di poter meglio gestire ed utilizzare quelle che sono rimaste.
L'arte di invecchiare è infatti personale.
Dipende certo dai nostri geni, dall'ambiente di vita, dalla nostra alimentazione, ma soprattutto dalla capacità di ascoltare noi stessi, i nostri bisogni, i segnali del corpo e della mente, di non smettere mai di mettersi in gioco e di partecipare affettivamente al mondo, alla vita, con curiosità ed interesse.

Nel testo vengono riportati esempi di grandi pittori, letterati, musicisti che hanno creato anche da vecchissimi, fino all'ultimo giorno di vita.
Ma anche l'uomo non geniale può creare molto in vecchiaia, perché è dotato di un diverso spirito di osservazione verso ciò che prima non vedeva, non capiva.

Piacere

Anche nei confronti del piacere, gli autori di questo libro mettono in discussione idee comuni e stereotipate, modelli standardizzati, chiedendosi come mai gli uomini, pur avendo investito energie e denaro nella ricerca dei modi per difendersi dalla sofferenza, vivono in uno stato di malessere.
La risposta che Abraham si dà è che "vorremmo un piacere conosciuto, confezionato, come se, potendolo vedere, già costituito, usufruibile, noi potessimo goderne appieno. Invece bisogna saper riconoscere il piacere, diventare talmente abili da farlo sgorgare da qualsiasi avvenimento".
Quindi si può farlo nascere da ogni sensazione, perché "ogni cosa può avere due facce".
Ma il piacere vero è difficile da gestire, tanto che talvolta è più facile fuggirlo, perché "forse il piacere ci fa paura".

In realtà non dobbiamo considerare il piacere come un lusso, qualcosa di straordinario, magari di eccessivo, ma qualcosa che intesse la nostra vita quotidianamente, che ne fa parte, che nutre ogni giorno il nostro corpo e la nostra mente e che dovremmo allenare.
Perché come la salute è una conquista che facciamo giorno per giorno, così anche il piacere va allenato, sviluppato.

Conclusioni

Questo libro appassiona alla lettura perché chiaro e pieno di immagini, metafore, casi clinici che prendono corpo con vivezza attraverso i dialoghi, i sogni raccontati nelle sedute.
Con saggezza antica ma anche con le nuove acquisizioni della medicina, è attento ai complessi rapporti tra ormoni e neurotrasmettitori, tra mondo esterno e mondo interiore, tra corpo e psiche e considera salute e malattia come facce di una stessa medaglia, la vita, che trova paradossalmente un suo equilibrio solo attraverso piccoli o grandi squilibri.

Di fronte al dilagante culto della salute e della giovinezza, incoraggia quindi a non aver paura di ammalarsi un po' per capire cos'è la salute, a girare tra malattie che ne evitano altre, magari più serie e pericolose.

Bibliografia
  • G. Abraham, C. Peregrini, "Ammalarsi fa bene", Feltrinelli, Milano, 1989
Commenti: 5
1 Claudia P. alle ore 09:35 del 10/05/2011

Grazie per la recensione chiara e appassionata...una domanda: consiglierebbe questa lettura anche ad un paziente o la ritiene adatta ad un pubblico "specialistico"?

2 Luciana Morelli alle ore 20:59 del 11/05/2011

La ringrazio per il suo commento, Claudia...ritengo che la lettura di questo testo sia adatta ad un vasto pubblico, non solo specialistico, anche se non per alcuni pazienti

3 Claudia P. alle ore 11:44 del 13/05/2011

Grazie, Luciana, a quali tipi di pazienti, in particolare, stava pensando?

4 Maria Lucia alle ore 10:28 del 26/12/2017

Seguo, mi interessa la domanda, anche io ero incuriosita se farlo leggere ad alcuni miei pazienti. Grazie Lucia

5 Enrica Formentin alle ore 16:54 del 05/09/2019

buongiorno , vi seguo e leggo sempre gli articoli di questo sito molto interessanti .Sono un infermiera di utic e counselor filosofico in attività come turnista in terapia intensiva e con un amb. per seguire i pti cardiopatici all'interno della mia azienda .E' difficile faraccettare ai pti che la malattia può essere concepita come evento della vita che può essere utile per amarci di piu. Spesso l'ansia , la paura e incredulità (perchè proprio a me!!) la fanno da padrone .

Un cammino da parte del pte con un professionista della relazione d'aiuto può aiutare a ripristinare lo stato di benessere .

Grazie

Enrica 

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