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Resistere alle resistenze

Libero pensiero: Resistere alle resistenze

Scritto da: Guido F. alle ore 22:24 del 12/10/2012

Eggià... forse questo titolo può suonare ironico, ma in questo post vorrei parlare seriamente di ciò, che almeno per me, è uno degli aspetti più duri del nostro affascinante mestiere.

Sono psicoterapeuta da anni, ormai, ma ancora oggi, nonostante l'esperienza maturata, il continuo lavoro su di me, trovo che la cosa più difficile sia resistere alle resistenze messe in atto dai miei pazienti.

Silenzi di tomba, appuntamenti saltati, pagamenti dimenticati, ritardi clamorosi, appuntamenti sbagliati, percorsi interrotti... ecco una serie di manifestazioni di resistenze.

Le conosco e le attraverso da anni, ma a parità di manifestazione con ciascun paziente l'effetto che sortiscono, su di me e sull'andamento della terapia, cambia notevolmente.
In ogni caso rappresentano una sfida, è il materiale vivo con cui lavorare.
Non sempre il professionista ha la meglio sulla persona, ahimè, a volte ci cado in pieno e mi capita di combinare pasticci... e ogni volta mi rendo conto che la resistenza del paziente ha avuto la meglio su di me (su di noi e il percorso) e quindi non riesco a non provare frustrazione e a mettere in discussione tutto il lavoro e il percorso svolto fino a questo momento.
Magari reagisco alla resistenza, oppure la rimando al paziente quando non è ancora pronto per coglierla, o intervengo in maniera sovrabbondante, o altro ancora, fatto sta che "uso" male questo prezioso materiale, per cui il paziente rimbalza il mio intervento o il nostro lavoro, e io mi sento frustrato per aver sbagliato la mossa.

Per contro, vedere che resistendo, e stimolando - nei giusti modi e tempi - all'elaborazione il paziente, la resistenza di questo (almeno una) depone le armi e fa largo all'emergere di una nuova consapevolezza, di una nuova e diversa conoscenza di un aspetto di sé, è una conquista (per il paziente e anche per me) infinitamente nutriente.

Non so, mi chiedo come sia per altri colleghi... quali le difficoltà con cui vi misurate e confrontate? Quali le vostre opinioni e esperienze? Com'è per voi resistere?

Commenti: 4
1 Silvana alle ore 11:04 del 18/10/2012

Mi e' capitato tante volte anche a me nella mia esperienza di psicoterapeuta di combinare come dici tu tanto pasticci alle resistenze dei miei pazienti. Mi rendo conto che i miei pasticci sono determinati dal voler aprire forse con la chiave sbagliata o in tempi prematuri porte nell'inconscio del mio paziente che forse non e' pronto o forse non e' ancora disposto ad aprire e allora il mio grande errore, che spesso mi fa sentire molto frustrata, e' di aprirla io al posto loro spaventandoli e quindi facendolo scappare ( interruzione della terapia). Pero' spesso riflettendo su miei errori mi chiedo anche se il mio paziente ha resistenze troppo forti da richiedere tempi lunghi il mio resistere alle sue resistenze non sarebbe una specie di collusione, mi piacerebbe sapere il vostro parere. Grazie Silvana

2 Silvia alle ore 16:54 del 18/10/2012

Nella mia esperienza trovo estremamente utile, per non dire indispensabile, una supervisione regolare con un bravo supervisore e penso che anche questa difficoltà davanti alle resistenze sia un ottimo materiale da esaminare con lui. Non so la tua esperienza in merito alla supervisione, ma per me è in assoluto l'aspetto fra i tanti (formazione, studio, contatto coi pazienti) che mi fa crescere di più professionalmente, e forse anche umanamente. Sono arrivata a questa conclusione dopo anni e anni di pratica psicoterapeutica nei contesti più svariati sia pubblici che privati.

3 Massimo alle ore 12:45 del 20/10/2012

Per fortuna che le resistenze ci sono! Sicuramente alcune di queste possono causare una nostra relazione simmetrica con il paziente tuttavia, e questo è quello che faccio io quando mi capitano, cerco sempre di ricordarmi di distanziarmi e decentrarmi (utilizzando un punto di vista alternativo) da quell'interazione, in modo da poterla utilizzare e rimandare come una modalità del paziente di agire i propri vissuti. Spesso loro si meravigliano della correlazione che faccio tra, ed es., ritardi nei pagamenti ed alcuni ricordi relazionali che mi avevano riportato con figure significative: all'inizio mi chiedono "ma che c'entra?". Poi, contestualizzando il tutto ed internalizzando l'agito, sorge l'insight, e quelli sono tra i momenti più generativi (ma anche più soddisfacenti per me in senso professionale) della terapia.

4 Antonella alle ore 17:20 del 11/03/2016

Scusatemi io sono una paziente e sto vivnedo una forte fase di stallo dal 2010.Ho sempre continuato ad andare in terapia per analizzare tante altre cose accadutemti dopo l'aver risolto i miei sintomi ed essere entrata nel nocciolo. Oggi ho una mappa di cosa dovrei fare per uscire da qui ma nonostante tutto non riesco a riconoscermi il problema come tale, la mia paralisi deriva dal fatto che  non è la terapia che mi salverà dalle vicissitdini della vita,invece prima credevo che una volta guarità sarei stata bene per esempre e non avrei avuto più grossi problemi. La mia mente si rifiuta di diventare  resposnabile della mia vita intera, di abbandonare la malattia e i miei bisogni e rivendizazioni infantili, di conseguenza non percepisco più la malattia come tale ma come qualcosa di comodo e caldo che mi protegge dal mondo. Non so più cosa fare, se penso di guarire mi scatta un fortse senso di sonno. Sono anche spaventata dal dolore e dalla sofferenza che il guarire comporta.  Rimpiango il mio passato e i tempi in cui sognavo.

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