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La vita privata del terapeuta

Libero pensiero: La vita privata del terapeuta

Scritto da: Marco alle ore 21:38 del 20/06/2015

Salve Cari Dottori/Dottoresse,

Vorrei chiedere per quale motivo il terapeuta non può rilevare niente della propria vita privata o comunque del suo pensiero al proprio paziente?
In certi casi non sarebbe comunque utile alla terapia togliere questa usanza se può aiutare a cancellare alcune false credenze al paziente?

Esempio: il paziente si innamora ( o attraversa, come dite voi, un transfert) della terapeuta; il paziente continua a farsi fantasie sentimentali su di lei, quando gliele racconta lei non fa altro che dirgli che sono pensieri che non portano a nulla. Ma se la terapeuta chiaramente dicesse al paziente: sono sposata,ho dei figli ecc ecc, non aiuterebbe di più il paziente a liberarsi dei pensieri?

Comunque la domanda finale (se a qualcuno va di rispondere) è: come riuscire autonomamente a non pensare sempre alla propria terapeuta?

Grazie

Buone giornate

Cordiali Saluti

Commenti: 15
1 Claudia alle ore 13:46 del 01/07/2015

Buongiorno Marco,

purtroppo rivelare la propria vita privata è sempre controproducente per i pazienti (Ci tengo a sottolineare per i pazienti).

Ha ragione la sua terapeuta a non rivelarle nulla, giacchè se la terapeuta avesse un interesse diverso dalla terapia nei sui confronti, dovrebbe inviarla da un collega.

In altro caso, come probabilmente il suo, sta avvenendo un episodio di transfert, questo deve essere vagliato e trattato come tale ai fini della terapia e probabilmente lavorare su questo aspetto la aiuterà a sbloccare alcuni suoi vissuti emozionali.

Lei pensa che se sapesse che la sua terapeuta è già occupata i suoi sentimenti svanirebbero come neve al sole? O entrerebbe in un loop di pensieri diversi sempre relativamente alla situazione?

Forse in questo momento non le è possibile "autonomamente" eliminare i pensieri relativi alla sua terapeuta, ma anche questi possono diventare oggetto di terapia.

Specialmente se sono "ruminazioni" e pensieri continui che sono andati a sostituirne degli altri.

Paradossalmente per "uscirne" deve parlarne con la sua terapeuta.

Buona giornata

2 Massimo alle ore 21:00 del 02/07/2015

Premettendo che non esiste niente di dimostratamente giusto con ricerche ad hoc, ma ci si affida ad usanze centenarie, ogni terapeuta si regola (a parte gli intransigenti purissimi che ancora, a mia stretta opinione, purtroppo esistono, nonostante il mondo sia cambiato in modo copernicano, vedi fisica quantistica e tanto altro) a seconda della propria rsperienza passata, del proprio vissuto emotivo-cognitivo presente ed alle attese terapeutiche future. Fatto questo cappello, io mi regolo da caso a caso e non ho una linea uguale per tutti: in ogni caso mai dettagli rilevanti ma estremamente superficiali o evidenti (ad es., io ho una protesi alla gamba deztra ed ho una leggera zoppia. Non potevo non far uscire questa cosa, quando ho ritenuto la paziente pronta, per non farle fare fantasie di qualunque tipo e che sarebbero potute diventare ingestibili se non affrontate). Oppure, in momenti di gioco o più tranquilli racconto qualche episodio veramente banale per rafforzare il fattore aspecifico, ovvero la relazione terapeutica, ovvero la tecnica migliore che ci sia (intendo sempre instaurare una buona relazione terapeutica). Come vede credo che, a seconda di chi interpella, la risposta sarà diversa e non potrebbe essere diversamente vivendo in un Multiverso e non in un Universo.

3 Giovanni alle ore 10:23 del 03/07/2015

Buongiorno,

probabilmente alcuni terapeuti rivelano qualche piccolo particolare e altri no, e ognuno ha i suoi motivi professionali.

Dietro al professionista c'è comunque una persona, che può essere riservata e questo andrebbe rispettato al di là del professionista.

Dietro al suo desiderio di sapere della vita del terapeuta c'è la teoria (e non la certezza) che questo potrebbe farle bene. Ma la teoria potrebbe non essere esatta e magari avere degli effetti dannosi per la terapia (es. potrei banalizzare l'idea del terapeuta, o giudicarlo in base ad un'esperienza o gusto che non condivido, e potrebbe perdere la sua autorevolezza nei miei confronti e non essere più efficace per me). Magari non è dannoso ma nemmeno utile come uno crede, dipende.

Alla domanda: come riuscire a non pensare alla sua terapeuta autonomamente?

Risponderei: perché non pensarci? Ci pensi quanto vuole, se vuole, se le piace fantastichi su quella che potrebbe essere la persona che sta dietro la professionista, che male c'è? Però poi per educazione e tatto che si ha verso tutte le persone, se uno vuole essere riservato è carino rispettare il suo desiderio, non crede?

4 Massimo alle ore 11:48 del 03/07/2015

Sono d'accordo con Giovanni che non ci sia niente di male a fantasticare sulla vita del proprio terapeuta, ma non credo che non andrebbe detto al terapeuta per educazione o carineria, invece io penso che questo sia tutto materiale prezioso che deve emergere e che ci offre parte della coerenza del significato personale del paziente. Anche perché, come dimostrano alcuni ossessivi o fobici, spesso le fantasie ruminate molto possono trasformarsi in realtà nella mente del paziente, per questo credo che vadano fatte emergere e discusse rispetto ai perché ed anche al come (cioè come era fatta la fantasia, che immagini, che colori aveva). 

5 Giovanni alle ore 15:08 del 03/07/2015

Certo,

è utile la precisazione di Massimo, sono d'accordo.

Probabilmente ho fatto un brutto esempio, quello del fantasticare, mi scuso. Forse era meglio dire che di per sè non c'è niente di male nell'avere curiosità sulla vita di una persona, però bisogna anche rispettarla se non vuole dare informazioni su di sè e non insistere, soprattutto avere il massimo rispetto per la persona.

In questo caso può essere utile come dice Massimo parlare della cosa.

Il paziente chiedeva come fare a non pensarci. Può darsi che non sia facile, ma anche che ci siano più modi utili per farlo. A me viene in mente quello di darsi un po' di tempo, evitare di colpevolizzarsi se non ci riesce subito, pian piano spostare il proprio pensiero verso altre persone, coltivare nuove amicizie.

6 :-) alle ore 14:08 del 07/07/2015

Gli interventi che rivelano qualcosa del terapeuta (i cosiddetti interventi di trasparenza) vanno utilizzati solo qualora vengano considerati costruttivi per il processo terapeutico. Sulla domanda "come riuscire autonomamente a non pensare sempre alla propria terapeuta?" mi sento di dire che occorre che, man mano che la terapia procede, questa fase segua la sua naturale evoluzione al termine della quale spontaneamente si ridurrà anche il pensiero rivolto alla terapeuta, lo dico sia per la mia formazione in psicologia e in psicoterapia, sia per averlo vissuto come paziente.

7 Margherita alle ore 12:20 del 09/07/2015

In psicoterapia esiste la self-disclosure o svelamento: è quando il terapeuta rivela qualcosa di sé al paziente, è funzionale in quel momento della terapia ed è un' operazione che il terapeuta fa, consapevolmente, quando e se lo ritiene utile ed opportuno.

8 Massimo alle ore 15:55 del 09/07/2015

Si è una tecnica cognitivista (etichetta teorica cui appartengo), ripresa da altre teorie, ma su cui molti di noi cognitivisti o, almeno, alcune sotto correnti teoriche, non hanno lo stesso punto di vista. Io penso che se si decide di adoperarla, lo si fa chiaramente perché si crede che può dare dei vantaggi alla terapia, ma soprattutto perché in quel momento si rivela e si "mette sul tavolo"esplicitamente un qualcosa (soprattutto emozione) che sarebbe uscita lo stesso ma implicitamente, potendo creare cosi il problema del vissuto del paziente che sente che nel terapeuta stia accadendo qualcosa ma lui non ne parla.

9 Margherita alle ore 09:19 del 11/07/2015

Grazie per il commento Massimo, l'ho appresa al terzocentro a Roma dove ho frequentato un corso quadriennale di psicoterapia cognitiva. Ti sarei grata se volessi darmi dei suggerimenti per proseguire nella formazione. P.S. vivo in Calabria ma fino a Roma va bene purché non sia troppo spesso.

10 Massimo alle ore 09:46 del 11/07/2015

Cara Margherita, gli unici suggerimenti che ti possa dare sono quelli di studiare molto la cornice teorica cui vuoi appartenere (e,soprattutto, le sue fondamenta epistemologiche, come sono arrivati a dire che quel tipo di teoria è funzionale per una terapia che riesca bene), essere eclettica (una volta assorbita e conociuta benissimo la tua teoria, vai a cercare teorie con epistemologia uguale ma che magari utilizzi tecniche diverse, insomma non passare dalla Psicanalisi classica alla Psicoterapia Cognitiva Standard per capirci, se non per curiosità personale chiaramente) fino ad arrivare alla neurobiologia, neurofisiologia ed alla fisica quantistica (sembrerebbe che spieghi meglio di altre teorie, il mondo che c'è lì fuori) ed, infine, essere molto curiosa su tutto ciò che ti può servire per instaurare una relazione terapeutica buona, come, ad es., essere aggiornata su quasi tutto (cronaca, libri, cinema,mostre etc.). Davvero l'ultimo suggerimento è quello di demitizzare il tuo ruolo (io sono molto ironico con me stesso e con il paziente, l'importante è capire il timing di quando esserlo), non farlo pesare al paziente perchè molti di loro vengono da te come fossi colei che ha le risposte ai loro problemi. Invece no, loro si sono creati il problema (più o meno volontariamente) ma hanno anche la soluzione. Io faccio così e mi trovo bene, ma è il mio stile. Andando per tentativi ed INEVITABILI errori (naturalmente ci sono più utili questi che quando le cose vanno bene), troverai sicuramente il tuo di stile. Spero che qualcosa di quello che ti ho detto ti possa essere utile. Però, guarda dentro di te, d'altronde se hai voluto fare questo mestiere così difficile ma così anche appagante emotivamente, ci sarà anche una forte motivazione interna. Quella usala come base per andare avanti. In bocca al lupo! Massimo

11 Margherita alle ore 13:15 del 11/07/2015

Ma grazie mille, non immagini quanto ci hai preso!!! Vengo da studi di medicina e nella scuola di specializzazione in psichiatria erano Junghiani di formazione personale, la scuola, a Perugia, ad orientamento psicodinamico. Ora, dopo la cognitiva, vorrei iscrivermi alla cognitivo- comportamentale. A Marco vorrei dire che siamo tutti pazienti.

12 Massimo alle ore 21:59 del 03/08/2015

Come dice Margherita,  siamo tutti pazienti, o lo siamo stati o lo saremo sicuramente.Con questo voglio intendere alla radice etimologica di paziente che deriva dal lat. pati che non significa solo patire, soffrire, ma anche sopportare, tollerare e questo ci riporta al fatto che molti pazienti credono di poter sopportare fino a quando la sofferenza va via, ma essendo la vita una ruota (eh, lo so non ci sono più le mezze stagioni...), prima o poi a tutti serve qualcuno (medico, psicoterapeuta, psichiatra, amico con molto buon senso), che intervenga al momento giusto appena dopo che il paziente ci abbia dato la sua motivazione interna solida e non labile (per lo meno così la dovrebbe vivere e percepire) ed aver noi verificato che oltre alle indicazioni terapeutiche ci siano anche le condizioni per affrontare una terapia (tempo, denaro, venire in terapia anche quando non se ne ha voglia, o ci si autoinganna così,  etc.). Al primo colloquio, verso la fine, ai miei pazienti, anche per testare la reale motivazione, dico: dal prossimo venerdi (naturalm. è un es.) Lei dovrà fare in modo che la sua vita giri intorno al venerdi alle ore 15.00. Qualunque cosa succeda (a meno di cose gravi successe a lui, parenti, amici), il venerdi alle 15.00 la voglio vedere di fronte a me, altrimenti non solo la seduta verrà saldata ugualmente, ma significa che sta succedendo qualcosa e proprio per questo la prossima seduta non la deve saltare neanche scoppi la 3 Guerra Mondiale perché è fondamentale discuterne in quanto sta emergendi, a suo modo, del materiale molto prezioso che non deve essere disperso.

13 Patrizia alle ore 08:21 del 23/03/2017

Buongiorno, ho un dubbio sulla dottoressa che ha iniziato a seguire mia nipote. La psicologa vive nella mia stessa città ed ha lo studio accanto a casa mia. So per certo che è sposata e frequenta in contemporanea due amanti. Lo so perché, dopo tanti anni, si tratta ormai di più di 8, ho perfettamente intuito la situazione. Ora mi chiedo se questa persona, dalla vita non propriamente limpida possa aiutare seriamente mia nipote che va da lei ormai da due mesi ed ha molto bisogno di aiuto per risolvere i suoi problemi. Grazie. Una zia preoccupata

14 Simona alle ore 23:06 del 29/03/2019

Ragazzi io sto molto male perché il mio terapeuta dopo solo 11 sedute compresa la fase di assestment ha deciso di non potermi aiutare premetto che io sono felicemente fidanzata innamorata del mio fidanzato. Però mi ero molto affezionata a lui come terapeuta lo vedevo forse come un amico. Però il fatto che lui mi abbia abbandonato come paziente anche se lui dice che lo ha  per il mio bene a me questa cosa mi sta facendo molto soffrire. Ero forse in pieno transfert. E lui ha detto che il mio non era un transfert normale ma un ossessione nei suoi confronti. Premetto che apparte mandargli tanti messaggi per ogni problema che avevo perche volevo consigli anche telefonicamente e via WhatsApp però apparte i tanti messaggi e chiamate non ho mai fatto nulla di male. Qualcuno sa dirmi perché mi ha abbandonato? E successo da due settimane e ancora sto molto male

15 Marco2 alle ore 15:55 del 17/04/2020

Se il tuo timore é quello di innamorarti della terapeuta hai due possibilità: 1) vai in terapia da un uomo; 2) vai in terapia da una donna di cui conosci già la situazione sentimentale (non é difficile di questi tempi saperlo a priori, basta dare un occhiata, nemmeno tanto approfondita, ai vari social network), possibilmente sposata, con figli e più anziana di te. Facile no? Problema risolto.

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