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La Psicologia al Cinema Italia. La rappresentazione cinematografia della Psicologia può rivelare ciò che la gente pensa dello Psicologo
L'articolo " La Psicologia al Cinema" parla di:
- Eventi mondani con lo Psicologo: dal cinema all'aperitivo
- Emersione di timori, pregiudizi e stereotipi sulla Psicologia
- Iniziativa per una riflessione e promozione della professione
A cura di: Redazione - Pubblicato il 3 luglio 2013 La Psicologia al Cinema Italia. La rappresentazione cinematografia della Psicologia può rivelare ciò che la gente pensa dello Psicologo
In sempre più città fioriscono rassegne cinematografiche sulla Psicologia, in cui il pubblico può dibattere insieme ai
professionisti del settore dopo la visione della pellicola, evidenziando il reciproco interesse fra Psicologia, cinema e pubblico.
Da queste esperienze nasce il libro "Ciak si gira. Psicoanalisi al cinema", curato da Lucia Carboni, Andrea Giovannoni e
Andrea Marzi, presentato lo scorso 12 giugno a Siena.
Il volume delle Edizioni Effigi raccoglie le testimonianze di professionisti che hanno partecipato a queste rassegne e al dibattito pubblico
e alcuni approfondimenti sul linguaggio del cinema e le analogie con la clinica fra elementi iconici e onirici.
Al successo di queste iniziative, in molte città di Italia si aggiunge quello dell'aperitivo con l'esperto, come ad esempio
"l'Aperitologo" con lo Psicologo. Sempre legato al mondo della celluloide, quello proposto dagli Psicologi e Psicoterapeuti
Sergio Stagnitta e Marco Tramonte, al Bar à Book di San Lorenzo a Roma, sabato 6 luglio.
Il cine-aperitivo "Lo psicologo al cinema" propone la visione di alcuni stralci di film, in cui sono rappresentate diverse forme di
relazione terapeutica, da analizzare col pubblico in un vero e proprio laboratorio, aperto a professionisti, studenti, ma anche alle persone
interessate (ingresso 8€).
Fra i temi oggetto di dibattito anche «le fantasie sociali sulla figura dello psicologo viste attraverso il cinema»,
nei diversi momenti della sua storia. E più che fantasie in Italia si può parlare di pre-giudizi e luoghi comuni che, spesso,
vanno a discapito della professione.
Fra i più diffusi c'è «Chi va dallo Psicologo è matto» o soffre di un serio disturbo tanto
che, digitando su Google "Chi va dallo Psicologo", fra le ricerche correlate la prima voce che compare è: "ho paura di andare dallo
psicologo". E ancora:
«Andare dallo Psicologo è inutile». «Costa troppo».
«Se ho un problema posso parlare con un amico o prendere dei farmaci».
«La terapia dura anni e anni».
«Gli Psicologi sono più pazzi di noi».
Molti nostri connazionali infatti provano pudore nell'ammettere di andare in terapia o, peggio, non ci vanno per timore dello
stigma o di ammettere a se stessi la propria vulnerabilità, quando chiedere aiuto in particolari momenti della vita è invece
un segno di forza e un primo passo per migliorare la propria vita.
«Il modo attraverso il quale il cinema vede lo psicologo/psicoterapeuta rispecchia il modo in cui la società nei
diversi periodi storici ha visto e vede queste figure»
(*).
Al cine-aperitivo romano "Lo psicologo al cinema" questa visione è esplorata attraverso il "gruppo esperienziale",
condotto dagli stessi Stagnitta e Tramonte, per riflettere insieme su emozioni, esperienze e vissuti dei partecipanti.
Conoscere in vivo cosa la gente pensa e cosa si attende dalla terapia o dal terapeuta fornisce sicuramente un momento di dialogo
interessante e forse un modo per iniziare a decostruire il vecchio stereotipo della professione, che fa sì che spesso molte
persone cerchino aiuto in professioni limitrofe o si affidino a persone senza specifica formazione per affrontare disagi anche più seri.
Nelle intenzioni degli organizzatori, questo dibattito sarà ripreso in successivi incontri.
«Potrebbero nascere riflessioni su come i media raccontano il mondo della psicologia – scrivono sul loro blog - con
l'obiettivo di ampliare la riflessione ed eventualmente orientare e suggerire alle nostre istituzioni nuove idee da mettere in campo nell'ambito
della promozione della nostra professione»
(*).
Cosa suggerireste? Quali pregiudizi sentite su di voi?
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