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La solitudine, un argomento complesso

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La solitudine, un argomento complesso

scritto da:
Dott. Pasquale Romeo

Psichiatra - Reggio Calabria

- HT Page Pasquale Romeo

articolo tratto da psico-pratika - Numero 23 Anno 2006

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Articolo: 'La solitudine, un argomento complesso'


LA SOLITUDINE, UN ARGOMENTO COMPLESSO

L'argomento non e' di facile approccio, specie per il desiderio di renderlo accessibile a tutti, poiche' non e' solo un tecnicismo ma rappresenta una quotidianita'.
Pur essendo difficile da esemplificare, il concetto della solitudine, e' cosi' banale dal momento che attinge dall'ordinario, da quello che succede ogni giorno.

Come in terapia omeopatica ciascuno reagisce in maniera variegata, quando riceve piccole dosi, cosi' ognuno sente la solitudine in maniera diversa ed in base a questo sviluppa un'idea individuale, coerente con la propria cultura, con il tempo in cui si vive, con la propria personalita'.
Percio', c'e' chi evita la solitudine, chi si sente ammaliato e chi ne e' indifferente.

La solitudine, puo', quindi, essere considerata uno spettro di condizioni che vanno dalla noia, alla paura, al fascino, all'appartenenza ed a tante altre cose, e diventa cosi' come una cartina al tornasole per indicare cio' che noi siamo.

Qual e' l'atteggiamento piu' giusto per accostarsi a tale argomento?
Ammesso che ce ne sia uno giusto?
Forse con una smorfia, con interesse, con ammaliazione o con indifferenza, dinanzi ad argomenti cosi' psicologici ed a volte intimistici, che investono la sfera privata, ci imbattiamo nella reticenza nostra e degli altri.

Per capirci qualcosa in piu' e per vincere la naturale resistenza che a questo argomento cosi' intimo e' associata, si suggerisce la sospensione del giudizio, in modo tale che da questo limbo si possa considerare la solitudine al di fuori delle proprie problematiche esistenziali.
Per sospensione del giudizio noi intendiamo un particolare stato di coscienza, di ricezione e non di trasmissione, in cui l'ascolto e' massimo ed i valori, le regole, a cui siamo abituati, sono momentaneamente accantonate in attesa di una nuova sistematizzazione mentale.
Epoche': "sospensione dell'assenso": e' una stasi del pensiero discorsivo che conduce al silenzio del non asserire.
E' un concetto che troviamo gia' enunciato nella filosofia degli Scettici come principio che consente di raggiungere l'imperturbabilita', il distacco dalla paura e dal desiderio, l'atarassia
Edmund Husserl riprende il termine nel significato di "riduzione epochizzante" e quale strumento per raggiungere l'Ego in quanto centro funzionale ultimo di ogni costituzione.

Anche nella cultura orientale troviamo concezioni analoghe.
Nel buddhismo si hanno tecniche della "sospensione" attraverso la meditazione, in cui la concentrazione dell'attenzione realizza la trascendenza dell'ego e apre a una nuova forma di attenzione-consapevolezza.
Se qualcuno vi domanda se vi sentite soli, se vi interessate alla solitudine, se qualcuno si mostra esterefatto della vostra capacita' di stare soli, allora cosa vuol dire?
Sembra quasi che questo interesse forse non e' per voi ma per l'interrogante.
Nel senso che questi vuol capire qualcosa in piu' sulla solitudine e su se stesso.
Se vi dice "dovete essere molto soli" quando voi non percepite questa sua sofferenza, allora cosa significa?

Qualche tempo addietro un paziente vide sulla mia scrivania un libro sul tema della solitudine e mi chiese "Ma lei dottore perche' si interessa a questo problema? Deve essere molto solo!"
La sua reazione non si riferisce alla considerazione che egli aveva di me ma piuttosto a quella che aveva di se' stesso.
Nell'esprimere i suoi sentimenti sulla solitudine egli li ha proiettati su di me, considerando tale situazione, cioe' l'essere solo, una situazione difficile, tanto insostenibile che solo un terapeuta, almeno secondo lui, poteva accettarla; egli negava cosi' la solitudine che gli apparteneva.
Un altro paziente, mentre veniva somministrato un test sulla solitudine, ha detto "Ma che argomento inutile", negando con cio' ogni utilita' e difendendosi di fronte ad una condizione umana cosi' naturale.

Tutto cio' induce a pensare che la solitudine sia diversa, quanto differente l'universo di ognuno.
Ecco cosa intendevo per cartina al tornasole.
La solitudine e' intimistica, cioe' appartiene alla sfera del privatissimo, "non e' spesso condivisibile", suscitando dei sentimenti conflittuali di amore e di odio, come se sia un fatto imperante della nostra cultura rifiutare la solitudine ed accettare la confusione, il riso, la compagnia.

Qualche tempo fa, in un articolo dal titolo "La solitudine, argomento salottiero", volevo esprimere una provocazione: e' possibile parlare in un salotto, in compagnia, tra amici, di solitudine, di un argomento cosi' privato?
Forse no: perche' nella solitudine si svelano per noi le radici dell'essere; con la solitudine emerge cio' che c'e' di piu' vero e profondo.
Essa diviene un argomento salottiero sviscerandone la sua parte piu' estroversa vale a dire la riflessione di se', per stare meglio con gli altri.
Che senso ha infatti parlare di solitudine quando si banchetta tra amici?

Il senso e' recondito ed e' implicito nella solitudine piu' estroversa; in quel tipo di solitudine che ti aiuta, tramite i meccanismi ad essa sottesi a godere dell'altro, a vivere in un salotto con serenita', con il proprio mondo interiore anche insieme agli altri, consentendoti di stare bene anche quando si e' soli.

Se e' possibile fare quello che dice Tibullo "Sii una folla per te stesso", allora e' possibile anche stare con gli altri, essendo soli.
Certo, vi e' la tendenza abituale a demonizzare la condizione dell'essere solo.
In questi anni di inizio secolo fatti di discoteche, pub con musiche ad alto volume, televisioni e di tutto cio' che la tecnologia ci ha donato per non essere soli, la solitudine e' come un'arpia di cui non vogliamo sentire il suono.
Se andate in una sala giochi, l'atmosfera trovata non e' forse quella di una grande solitudine che pero' viene vinta con l'ausilio dei giochi elettronici?
In fin dei conti stare in compagnia di un videogioco e' l'estrema ratio della solitudine, una solitudine non compresa, non accettata, non consapevolizzata, contro un'apparente compagnia fatta di gnomi, di macchine, di mondi virtuali a cui sottostiamo passivamente.
Chi getta i sassi dal cavalcavia gioca per vincere la solitudine, la noia, in un gioco tribale; e' forse la stessa persona che quando non ha in mano il joystick preferisce i sassi?

All'arpia, quindi, bisogna restituire le sembianze della ninfa, consentendo cosi' alla solitudine di far nuovamente il suo ingresso nella nostra cultura, stavolta dalla porta principale.

Pasquale Romeo

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