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Psicologia e stalking: intervista alla vittima di uno stalker
L'articolo " Psicologia e stalking: intervista alla vittima di uno stalker" parla di:
- Il fenomeno dello stalking
I diversi tipi di stalker Intervista a V., vittima di stalking
Articolo: 'Psicologia e stalking: intervista alla vittima di uno stalker'
INDICE: Psicologia e stalking: intervista alla vittima di uno stalker
- Lo Stalking
- L'intervistata
- L'intervista
- Conclusioni
- Bibliografia
- Altre letture su HT
Lo stalking
Cosa s'intende esattamente con "stalking"?
Questo fenomeno rappresenta una "forma di aggressione psicologica, e spesso anche fisica, messa in atto da un persecutore che irrompe in
maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo con gravi conseguenze sia fisiche che psicologiche"
(Maran, 2012). Si intende, perciò, un insieme di comportamenti che mirano ad importunare una specifica vittima attraverso continue e
indesiderate intrusioni, le quali arrivano a farla vivere in un continuo stato di "allarme". Queste condotte sottintendono da una parte l'interesse
verso la persona, mentre dall'altra una pericolosa aggressività che passa attraverso la delusione, la frustrazione e la rabbia, sfociando
spesso nella violenza fisica, omicidio compreso.
Di solito lo stalker inizialmente cerca di "sedurre" la vittima o di catturarne l'attenzione facendo anche gesti romantici; quando si rende
conto che questi comportamenti non sortiscono gli effetti desiderati, il molestatore diventa minaccioso, mostrando il suo rancore attraverso
telefonate e/o il pedinamento nei vari luoghi frequentati dalla vittima. Queste insistenti strategie di intromissione non permettono alle
vittime di poter evitare in modo semplice il proprio molestatore, pertanto spesso alcune di esse si trovano costrette a cambiare residenza e
stile di vita pur di sottrarsi a questa tortura.
Nel corso degli studi su questa tipologia di reato, sono stati classificati diversi tipi di Stalker, come ad esempio quelli formulati dal
Prof. Mullen P. - docente presso la Monash dell'Università di Melbourne in Australia e l'Institute of Psychiatry di Londra -, dal Dott.
Pathè M. - psichiatra forense presso la Community Forensic Mental Health Service a Brisbane, in Australia - e dalla Dott.ssa Purcell R. -
psicologa forense e docente presso il Center for Youth Mental Health dell'Università di Melbourne - nel 1999:
- c'è lo Stalker rifiutato, che il più delle volte è un ex fidanzato che non riesce ad accettare l'abbandono del
partner e attua una vera e propria persecuzione nel tentativo di ristabilire il rapporto;
- c'è lo Stalker rancoroso, che agisce con l'intento di vendicarsi di un torto che ritiene di aver subito da parte della vittima;
- c'è lo Stalker predatore, che è un vero e proprio inseguitore che prepara con cura l'attacco nei confronti della persona
designata, che spesso si conclude con una violenza sessuale (spesso vi appartengono soggetti che possono mostrare disturbi compulsivi oltre a vere
e proprie forme di delirio);
- c'è lo Stalker inadeguato, che è rappresentato dal corteggiatore fallito in cerca di partner più che altro a
causa delle sue scarse abilità sociali;
- c'è lo Stalker in cerca di intimità, il quale, in preda ad una vera e propria erotomania, tormenta le sue vittime di cui
crede di essere innamorato al fine di instaurare una relazione (spesso soggetti psicotici maniacali e deliranti).
Purtroppo, nonostante siano state promulgate numerose leggi anti-stalking, tale fenomeno rimane ancora oggi un crimine sottovalutato e
difficilmente dimostrabile.
L'intervistata
La destinataria dell'intervista è V., ragazza di 35 anni intelligente e brillante, che ha deciso, forse anche per la percezione di
poter superare meglio una situazione traumatica, di conseguire la laurea in psicologia clinica, studiando mentre lavorava come commessa.
V., a parte contenuti episodi di bullismo subiti durante la scuola media, ha avuto un'infanzia felice. Fin da piccola si è sempre
dimostrata molto empatica e vicina alle persone meno fortunate (compresi compagni di classe con bisogni educativi speciali, motivo per il quale
spesso veniva presa di mira). Oltre ad essere molto bella, si pone in maniera molto gentile e garbata, ragione per cui si colpevolizzava a volte
di creare false illusioni. "Mi è capitato spesso che persone con cui ero semplicemente gentile si innamorassero di me perché,
non essendo abituate a ricevere attenzioni, credevano che ci fosse dell'interesse da parte mia, ma in realtà io sono fatta così...
mi comporto con tutte le persone allo stesso modo, senza fare alcuna differenza in base al loro aspetto fisico o al livello cognitivo. Essere
più o meno belli oppure più o meno intelligenti è solo una fortuna, il modo in cui ci si comporta è quello che fa
la differenza".
Si comprende subito lo spessore di questa ragazza (e collega) che ha deciso di raccontare quello che le è accaduto circa una quindicina
di anni fa.
L'intervista
- Quando hai conosciuto R.?
- L'ho conosciuto all'età di 19 anni all'autoscuola di zona alla quale eravamo entrambi iscritti, pochi giorni prima della prova orale.
Mi aveva detto che abitava proprio di fronte a casa mia e che già mi aveva vista più volte a spasso con il cagnolino, ma io,
invece, non lo avevo mai notato.
- Che impressione ti aveva fatto?
- Un'impressione normale... un ragazzo di 18 anni, molto estroverso (forse un po' troppo per i miei gusti, dato che io ero l'opposto), ma
gentile. Mi aveva anche aiutata con un paio di domande durante l'esame.
- Avete iniziato a vedervi anche al di fuori dell'autoscuola?
- In realtà, dopo qualche giorno, lo avevo incontrato sotto casa mia. Io tutte le sere scendevo con il cagnolino a fare il giro della
casa e una sera l'ho sentito chiamarmi. Mi aveva indicato la sua abitazione e detto che gli avrebbe fatto piacere accompagnarmi ogni sera a
fare l'usuale giretto del palazzo. Mi era sembrato un po' invadente, però non mi aveva infastidita.
- Quindi avete iniziato questo "rituale" ogni sera?
- Sì, e capitava di incrociarlo spesso anche durante il giorno. Una volta era addirittura "capitato" in fiera dove io lavoravo come
hostess.
- Da lì hai iniziato a pensare che ti stesse un po' perseguitando?
- No, sinceramente avevo solo capito di piacergli e pensavo che fosse un modo per dimostrarmi di essere sempre "presente" e disponibile,
ma niente di particolarmente strano.
- Le cose sono poi peggiorate?
- Non direi peggiorate... durante uno dei molteplici incontri "casuali" era insieme ad un suo amico, un certo C. Mi avevano accompagnata
verso casa e C. mi aveva fatto una buona impressione; era un ragazzo molto timido, gentile e avevamo scoperto che dopo pochi giorni saremmo
entrambi andati nella stessa località ligure con le nostre nonne, perciò ci eravamo scambiati il numero con il proposito di
sentirci una volta là. Questa cosa non era piaciuta affatto a R. che si era arrabbiato eccessivamente sia con C. che con me.
- Si era mostrato aggressivo?
- No, aggressivo no. Aveva smesso di parlare con quello che definiva il suo "migliore amico" e aveva detto a me che non era il modo di
comportarsi, che lo avevamo "scavalcato" quando era stato lui a conoscermi per primo. In sintesi, credeva che avremmo dovuto chiedere il suo
permesso per vederci o sentirci senza di lui e mi disse che se avessi visto C. al mare, lui non mi avrebbe più accompagnata in giro
con il cagnolino.
- Ti sei spaventata di questa reazione?
- No, lo avevo solo trovato un discorso molto infantile. Ovviamente gli risposi che era libero di non passeggiare più con me come io
ero libera di vedere chiunque volessi quando volessi e che il suo ricatto non mi tangeva affatto. Si allontanò urlando, ma poi effettivamente
dopo le vacanze estive non lo incontrai più per un po' di tempo.
- E poi cosa successe?
- Avendo trovato un lavoro stabile di commessa, dopo circa 6 mesi decisi di andare in affitto in un appartamento sempre nella stessa via
dei miei genitori. Durante il trasloco mi capitò di incrociarlo; lo trovai un po' provato, infatti mi disse che era dispiaciuto per
il suo comportamento e che aveva grossi problemi con i suoi vicini di casa. Mi raccontò che disturbavano molto con musica alta e grida
e da quando sua mamma si era lamentata, avevano iniziato a minacciare pesantemente sia lei che lui, arrivando a prometterle di ucciderli nel
sonno. Chiesi perché non procedessero a denunciarli, ma lui asseriva che era gente molto pericolosa e loro avevano paura che potesse
peggiorare la situazione. Comunque, mi disse anche che aveva iniziato a lavorare nel negozio di ferramenta di suo cugino e che quindi sarebbe
potuto venire a cambiarmi la serratura del nuovo appartamento.
- E tu hai acconsentito?
- Sì, avevo intenzione di cambiare solo una delle due serrature e lui mi era sembrato un po' insistente nel voler cambiarle entrambe,
però pensavo che fosse un discorso economico; comunque fece il lavoro e mi disse che gli sarebbe piaciuto riallacciare un po' i rapporti. Io
gli spiegai che con il lavoro ero molto impegnata e che lo avrei salutato volentieri quando lo avessi incrociato per strada, ma nulla di più.
- E R. accettò questa risposta?
- Al momento sembrava non averci dato molto peso, però quasi tutte le sere lo trovavo fuori dal negozio in cui lavoravo che mi voleva
accompagnare fino a casa. La cosa iniziò ad infastidirmi, e nel contempo C. mi disse che, tramite amici, aveva saputo che si erano
allontanati da lui in quanto aveva manie di persecuzione e che in realtà era lui a minacciare e a mettere le mani addosso ai vicini.
- Avevi paura?
- Iniziai a preoccuparmi e a pensare che vivesse una realtà distorta. Gli dissi, mentendo, che avevo un ragazzo il quale non era felice
di sapere che stava sempre fuori dal lavoro ad aspettarmi, ma non gli interessava. Spiegai la situazione al mio datore di lavoro, il quale una
sera uscì dal negozio intimandogli di andare via. R. se ne andò ma si arrabbiò molto e iniziò a mandarmi decine
di sms in cui diceva che non gli piaceva essere trattato così, che ci eravamo messi tutti d'accordo per maltrattarlo e umiliarlo.
Iniziò a chiamarmi tutte le notti fino alle 3 o alle 4 di mattina, lasciando messaggi in segreteria in cui gridava di rispondergli.
Oltretutto, nell'ultimo periodo, ogni volta che tornavo a casa c'era una delle due serrature aperta. Inizialmente, pensavo di scordarmi io di
chiuderle entrambe ma in realtà doveva aver conservato una copia per entrare quando ero fuori.
- Iniziasti a temere per la tua incolumità?
- Sì, ero in ansia ogni volta che rientravo a casa. Tra l'altro non avevo detto nulla ai miei genitori per non preoccuparli, ma lo
confidai a mio fratello maggiore quando una sera lo vidi nel cortile condominiale davanti al portone del mio palazzo. Avevo paura di affrontarlo
e paura che mi seguisse fino in casa, perciò chiamai mio fratello per andare da lui e gli raccontai la situazione. Lui mi consigliò
di fare un esposto, io temevo che ciò potesse peggiorare ulteriormente le cose, ma alla fine effettivamente stavo cambiando le mie abitudini
quotidiane a causa sua e così andai in Questura, dove il Questore mi spiegò che lo avrebbero convocato e invitato ad avere un
comportamento conforme alla legge. È vero che non mi aveva mai minacciata, però mi aveva indotta a cambiare numero di telefono
e ad avere paura a fare il tragitto dal lavoro a casa.
- E dopo la convocazione le cose migliorarono?
- No, come temevo si arrabbiò ancora di più. Mi aspettava quando uscivo dal negozio, nascosto dietro agli angoli, e mi seguiva
a distanza. Io dovevo cercare, sfruttando camion o autobus, di infilarmi in altri negozi senza essere vista e poi controllare attraverso la
vetrina dove andasse... era un incubo! Qualche volta chiamavo mio fratello perché avevo paura di uscire da lì e trovarlo dietro
al prossimo angolo. Mio fratello voleva affrontarlo, ma io non volevo che lo facesse. A questo punto non sapevo cosa fosse capace di fare e mio
fratello aveva un bambino piccolo.
- Ti rivolgesti nuovamente alle forze dell'ordine?
- Lo feci quando la situazione divenne insostenibile. Una sera mi aspettò sul pianerottolo nascosto dietro al muro dove c'erano le
scale. Io ero giunta al pianerottolo con l'ascensore e, quando stavo armeggiando con le chiavi per aprire la porta, sbucò dietro di me,
spingendomi per entrare anche lui in casa. Io urlai di andare via, lui disse che non potevo rifiutarmi di farlo entrare, spinse con forza la
porta e mi spinse per terra. Io presi il cellulare per chiamare la polizia, ma lui lo afferrò e lo gettò per terra. Cominciai
a gridare il nome della mia vicina, mentre lui mi metteva le mani davanti alla bocca e mi diceva che non avrei dovuto fare "quelle cose".
- Quali cose esattamente?
- Non rispondergli, cambiare numero e soprattutto andare in Questura.
- Cosa voleva farti secondo te?
- Non lo so con esattezza, continuava a ripetere che mi sarei pentita di tutto, mi trascinava per i capelli e urlava ma non so se avesse in
mente qualcosa di preciso. Per fortuna non aveva chiuso a chiave la porta di casa e il marito della vicina era riuscito ad entrare dicendo che
aveva chiamato la polizia. In men che non si dica riuscì a sgattaiolare via.
- Riuscirono a prenderlo poi?
- Sì, alla fine seppi da C. che era stato internato in una Comunità per tossicodipendenti, in quanto era risultato avere una
grave dipendenza da cocaina. Era stato licenziato da suo cugino perché aveva rubato più volte l'incasso per andare a comprarsi
le dosi e aveva compiuto atti di violenza contro sua mamma e contro la vicina (ferendola con il vetro di una bottiglia di birra); spero che
ovviamente non curino solo la sua dipendenza, ma anche i suoi problemi comportamentali, perché sono sicura che, oltre l'uso di sostanze
stupefacenti, ci siano comunque gravi disordini di personalità piuttosto che disturbi psicotici.
- Lo hai visto ancora?
- No, sinceramente non so nemmeno che fine abbia fatto. Ho cambiato residenza e iniziato ad andare in terapia per il disordine da stress
post-traumatico; poco prima di andarmene di lì incontrai sua madre che mi accusò, appunto, di avere illuso suo figlio e di averlo
poi fatto rinchiudere. Le risposi che suo figlio era pericoloso e che aveva fatto del male anche a lei, ma alla fine era suo figlio quindi
posso anche capire che fosse il modo per sfogare il suo dolore.
Conclusioni
Purtroppo, a causa della complessità del fenomeno e della totale assenza di volontà da parte degli stalker, un eventuale
trattamento risulta estremamente difficile e con una altissima percentuale di esito negativo, dal momento che sarebbe necessaria una minima
collaborazione per raccogliere informazioni sulla loro storia evolutiva e tracciare il profilo Psico-comportamentale attraverso colloqui,
interviste e test. Comunque, date le difficoltà del trattamento psicoterapico e farmacologico, sarebbe opportuno promuovere strategie di
prevenzione primaria, tenuto conto che la maggior parte dei casi di stalking presentano precedenti storie di violenze domestiche (Kurt J.L., 1995).
Le vittime, oltre a dover essere risarcite legalmente per i danni subiti, necessitano di aiuto e sostegno psicologico per superare questa
esperienza gravemente angosciante.
Oltretutto, nel corso di questo incubo, spesso le persone oggetto di molestie non sanno con chi parlarne per il timore di ritorsioni da parte
dello stalker o per il terrore di mettere in pericolo amici e familiari, e tutto ciò non fa che aumentare il loro senso di solitudine.
Queste forme di violenza possono provocare forti disturbi d'ansia, disturbi dell'umore e spesso possono evolvere nel disordine postraumatico,
in alterazioni dello sviluppo psico-affettivo, in patologie psicosomatiche o in disturbi relazionali.
Per quanto riguarda il disturbo post traumatico da stress, è risultato molto efficace il trattamento cognitivo-comportamentale, che
ha il fine di instillare un senso di sicurezza, di fiducia, di controllo su se stesse e di autostima; ovviamente, l'elaborazione emotiva del
trauma è possibile solo quando la vittima si sente tranquilla e protetta, cioè quando sono state messe in atto le misure di
sicurezza nei confronti del suo molestatore.
Sarebbe, inoltre, opportuno affiancare alla terapia cognitivo-comportamentale individuale, la terapia di gruppo, in modo che le vittime si
sentano comprese profondamente da chi ha subito gli stessi atti persecutori; il terapeuta, intanto, mirerà alla costruzione di abilità
cognitive e comportamentali per superare gli eventi traumatici vissuti e gestirli in modo differente in un prossimo futuro, oltre a suggerire
alcune strategie di comportamento utili per provare a prevenire o intuire subito una situazione potenzialmente pericolosa.
Bibliografia
- Kurt J. L., (1995), Stalking as a variant of domestic violence, Bulletin of the American Academy of Psychiatry and The Law, 23 pp. 219-30
- Maran D.A., (2012), Il fenomeno stalking, Utet Università
- Meloy J.R., (2001), Stalkers and their victims, Journal of Forensic Psychiatry, 12: pp. 477-80
- Mullen P., Pathè M., (1994), Stalking and pathologies of love, Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, 28: pp. 469-77
- Mullen P., Pathè M., Purcell R., (1999), Study of stalkers, American Journal of Psychiatry, 156: pp. 1244-9
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