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Psicologia criminale: l'imitazione

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Psicologia criminale: l'imitazione

scritto da:

Dott. Gennaro Iasevoli

- Psicologo

Parla di:
- Imitazione in eta' evolutiva
- Il gruppo e il desiderio di sopravvivenza
- Educazione e paure

articolo tratto da psico-pratika - Guarda tutti gli articoli

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Psicologia criminale: l'imitazione

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PSICOLOGIA CRIMINALE: L'IMITAZIONE


Imitare significa comunemente: contraffare, copiare, duplicare, eguagliare, falsificare, parodiare, plagiare, rifare, riprodurre, scopiazzare, somigliare.

Nelle arti, (pittoriche, architettoniche, ginniche, canore, letterarie), nei mestieri e nelle professioni, l'imitazione e' un modo per far sopravvivere una moda, un genere artistico o un procedimento sperimentato, ritenuti validi e sicuri, anche se nel linguaggio comune e spiritoso significa fare il "pappagallo" (il pappagallo ed il merlo indiano sono uccelli capaci di emettere cinguettii che riproducono sorprendentemente i suoni delle parole ascoltate ed imitano la voce umana), seguire come le pecore, intrupparsi nel gruppo, copiare, scimmiottare (le scimmie imitano i movimenti umani), seguire i comportamenti degli altri.

Se ci riferiamo al mondo animale il concetto di imitazione riporta quindi alla nostra mente il comportamento delle pecore (gregge) o degli asini e dei lupi (branco).

Secondo la visione della psicologia giuridica l'imitazione umana spesso causa comportamenti a schiera, a stuolo, a folla, ed in qualche caso deprecabile a branco.

Alcuni ragazzi ipo-dotati imitano continuamente gli altri, con un meccanismo psicologico complesso, collegato alle patologie del comportamento.

Approfondendo la genesi e le manifestazioni dell'imitazione durante l'eta' evolutiva si arriva all'osservazione diretta dei comportamenti degli individui gregari, che preferiscono stare fuori di casa ed andare in branco a commettere crimini di gruppo;
essi presentano un comportamento imitativo (per la strada lanciano pietre, schiamazzano, poi distruggono la segnaletica, poi si danno alla predazione di oggetti ai danni dei passanti, infine creano danni durante le gare, spettacoli, manifestazioni), ma non si sentono autonomi e sono assillati giorno e notte dalla paura della solitudine e della morte;
non hanno legami affettivi parentali, per cui non frequentano nessun familiare a meno che non sia partecipe del gruppo-branco di riferimento.

Chi e' portato - parossisticamente - ad imitare non si sforza di pensare o di creare e non riesce a sopportare la vita scolastica, perche' gli insegnanti invitano ogni alunno ad essere autonomo ed a dare contributi personali rispetto al gruppo classe;
(il gruppo classe non propone l'imitazione reciproca, ma chiede il contributo personale e la rielaborazione autonoma dei contenuti studiati).

Il gruppo criminale invece presenta una grande omogeneita' imitativa e coltiva i rituali tribali.

I gruppi criminali costituiti da "paurosi" imitano anche i reati contro la persona.

Dopo anni, circa 30 anni di osservazioni dirette sui comportamenti infantili, adolescenziali e giovanili, ho raggiunto una chiara convinzione sulle cause e sulle modalita' del fenomeno dell'imitazione degli altri, che nascerebbe dal desiderio di sopravvivenza.

A volte imitare il gruppo, la piazza, la folla comporta anche dei rischi enormi che vengono accettati in piena coscienza e senza preoccupazione.

Vediamo perche' gli esseri umani decidono, gia' da piccoli di imitare i propri simili.
Il meccanismo di causa effetto che provoca "l'imitazione degli altri" trae origine dalle seguenti paure che i genitori trasmettono al bambino:

  1. la paura di rimanere soli;
  2. la paura di rimanere senza mangiare;
  3. la paura di rimanere al freddo;
  4. la paura di rimanere al buio;
  5. la paura di restare lontani dai familiari;
  6. la paura di subire un incidente, una punizione o un'aggressione.

Pertanto, proprio il bambino piu' debole, per superare tali paure, invece di aggrapparsi alla madre o alla persona che lo ha in custodia, osserva velocemente il comportamento degli altri e agisce secondo questi passaggi:

  1. inquadra ed osserva un altro suo simile percependolo come un suo pari (quindi degno di fiducia);
  2. osserva il comportamento ed i movimenti del suo simile, ma non riesce a capirne le ragioni;
  3. appena il suo simile prende un'iniziativa qualsiasi o prende una direzione, principalmente se scatta con decisione o corre verso qualche cosa, tralascia quello che stava facendo e quello che stava pensando e imita il suo pari.

Col risultato di un senso di appagamento, di sicurezza immediata, di soddisfazione per aver superato la paura di un pericolo imminente (che in effetti non esisteva).

Ci si chiedera' allora, se il pericolo non esiste, da che cosa nasce il senso di paura?

La risposta piu' sconcertante, e scientificamente veritiera, e' la seguente: la paura nel bambino nasce gia' dall'educazione messa in atto nei suoi confronti in maniera errata, perche':

  1. i grandi educano, invece i piccoli coetanei, fanno compagnia e giocano;
  2. i genitori fanno pressioni (pedanteria e assillo creano la paura di punizioni);
  3. gli educatori usano le pause e le interruzioni "selvagge" (le interruzioni "selvagge" creano la paura di un ritmo di affaticamento insostenibile).

Per superare l'abitudine all'imitazione bisogna eliminare il piu' possibile le paure del soggetto, cominciando da quelle che gli adulti trasmettono ai bambini.



Dott. Gennaro Iasevoli

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