Un ponte tra Cooperazione internazionale e Psicologia L'esperienza presso Smile Train Italia Onlus
L'articolo " Un ponte tra Cooperazione internazionale e Psicologia" parla di:
- L'inclusione sociale e le relazioni di aiuto
- I bisogni al di là dell'urgenza: Piramide di Maslow
- Possibile contributo della Psicologia alla Cooperazione
Articolo: 'Un ponte tra Cooperazione internazionale e Psicologia L'esperienza presso Smile Train Italia Onlus'
INDICE: Un ponte tra Cooperazione internazionale e Psicologia
- Premessa
- Cooperazione allo sviluppo e la mission di Smile Train Italia Onlus
- Il fenomeno dell'esclusione sociale
- Labbro leporino e risvolti psico-socio-evolutivi
- Interventi a favore dell'inclusione sociale
- Il comportamento di aiuto
- Caratteristiche della relazione di aiuto
- Cooperazione internazionale e Psicologia
- Conclusioni
- Bibliografia
- Sitografia
Premessa
L'idea di questo articolo nasce all'interno di un corso, che ho seguito qualche tempo fa, dedicato alla formazione nell'ambito della
cooperazione internazionale.
Il corso si poneva l'obiettivo di fornire:
- conoscenze teoriche sul tema della cooperazione internazionale;
- strumenti di analisi delle situazioni locali nei paesi sottosviluppati;
- informazioni sui finanziamenti previsti nei programmi della Commissione Europea e sulle attività del Parlamento europeo in ambito
di cooperazione allo sviluppo;
- conoscenza e utilizzo del project management, strumento fondamentale per la redazione e la gestione di progetti europei, attraverso i quali
vengono attribuiti i fondi stanziati dall'Unione Europea alla cooperazione.
Il progetto formativo era costituito da due momenti: uno teorico e uno pratico, ossia un'esperienza di stage della durata di tre mesi.
Ho svolto lo stage presso "Smile Train Italia Onlus", che da gennaio 2013 ha cambiato denominazione sociale diventando "Emergenza
Sorrisi", organizzazione umanitaria che si occupa di missioni chirurgiche dedicate a bambini affetti da malformazioni del volto.
L'organizzazione si occupa inoltre di formare e aggiornare il personale sanitario locale.
All'interno dell'associazione sono stata inserita nel settore "Organizzazioni eventi e found raising", che si occupa del recupero di fondi
per finanziare le missioni.
Il mio compito era soprattutto quello di contattare le aziende e cercare partner che potessero aiutare l'associazione in qualità di
donatori.
La scelta di partecipare a questo corso è nata dal desiderio di scoprire un settore totalmente inesplorato e acquisire nuove competenze
e strumenti di lavoro. Durante il mio stage ho proposto all'associazione di poter scrivere un articolo, in modo da fermarmi a riflettere sui
possibili punti di contatto tra Cooperazione internazionale e Psicologia.
La scarsa conoscenza da parte degli Psicologi di questo ambito d'intervento riduce la possibilità di collaborazioni tra la Psicologia
e la Cooperazione internazionale e pregiudica la possibilità di utilizzo delle potenzialità e competenze dello Psicologo in questo
settore.
Lo Psicologo potrebbe, invece, svolgere il duplice ruolo di consulente rispetto alle dinamiche connesse al ricevere aiuto e
quello di sostegno e supporto per gli operatori che vanno in missione.
Alcuni operatori mi hanno riferito che il supporto psicologico sarebbe per loro molto importante, prima, durante e dopo lo svolgimento della
missione. Purtroppo non essendoci ancora una formazione specifica per gli Psicologi in questo settore, la richiesta non ha sempre una risposta
adeguata.
In qualità di Psicologa, il mio interesse per la Cooperazione nasce dalla volontà di allargare gli orizzonti, cercando uno
spazio di crescita professionale in un settore in cui il mercato non è ancora saturo.
Aumentare le conoscenze vuol dire creare le condizioni per operare in un nuovo ambito.
Gli attori della Cooperazione chiedono supporto psicologico e noi, come Psicologi e/o Psicoterapeuti, abbiamo il dovere di rispondere a questa
richiesta in modo competente.
L'intento dell'articolo è di presentare gli ambiti d'intervento della Cooperazione internazionale ed esplorare i possibili punti di
contatto teorico-pratici tra Psicologia e Cooperazione. Per comprendere meglio il lavoro in questo settore, presento la mission di Smile Train
Italia Onlus, che rappresenta il filo tematico dell'articolo.
Cooperazione allo sviluppo e la mission di Smile Train Italia Onlus
In politica estera per Cooperazione si intende un intervento congiunto realizzato attraverso progetti in favore dei paesi del "terzo
mondo".
La finalità della Cooperazione è quella di alleviare la povertà nel mondo e favorire la crescita economica dei paesi
svantaggiati.
La Cooperazione internazionale si configura anche come un elemento essenziale della politica estera dei governi. In essa possiamo individuare
due macro-aree di intervento:
- Emergenza umanitaria;
- Cooperazione allo sviluppo.
L'area dell'Emergenza umanitaria consiste in un intervento immediato nei casi di calamità naturale, di conflitto e di guerra.
L'obiettivo di questa forma di Cooperazione è salvare vite umane attraverso diversi tipi di aiuto: l'acquisto di beni di prima
necessità, il sostegno economico per la ricostruzione di edifici e strutture danneggiate e, infine, l'assistenza ai rifugiati e agli
sfollati.
Nei casi di catastrofi naturali (terremoto, tsunami, uragani...), l'intervento dei soccorsi deve essere tempestivo e immediato.
Nell'area della Cooperazione allo sviluppo, invece, si opera attraverso interventi a medio e a lungo termine, con l'obiettivo
di migliorare la qualità della vita, favorendo la crescita economica e sociale dei paesi e delle loro istituzioni.
A tal fine sono finanziati, ad esempio, programmi di formazione rivolti alle donne su come gestire un terreno e coltivarlo, utilizzando le
risorse in loco.
Nell'ambito del lavoro svolto da Smile Train, la formazione dei Medici locali diventa un intervento a medio e a lungo termine, in
quanto vengono trasmesse conoscenze che successivamente possono essere utilizzate in favore della collettività.
Smile Train Italia Onlus opera nel campo della Cooperazione allo sviluppo.
L'associazione è stata fondata nel 2007 da un gruppo di Medici, al fine di poter operare autonomamente nelle missioni umanitarie
in paesi dell'Africa sub-sahariana e dell'Asia.
In questi paesi l'équipe di Medici volontari - composta da Medici specialisti in chirurgia plastica e ricostruttiva, anestesia,
pediatria e ortodonzia, e da infermieri - ha realizzato diverse missioni chirurgiche.
Dal 2000 a oggi più di 600.000 bambini con deformazioni del volto, quali labiopalatoschisi, esiti di ustioni e traumi
bellici, sono stati operati grazie all'intervento dell'Organizzazione e hanno recuperato il loro sorriso.
Durante queste missioni, si organizzano anche corsi di formazione rivolti al personale medico locale, in modo da aiutare questi professionisti
a operare in seguito in modo autonomo.
Il fenomeno dell'esclusione sociale
A livello sociologico per esclusione sociale si intende un processo, a diversi livelli (psicologico, sociale, affettivo,
relazionale...), di progressiva rottura dal contesto che causa il distacco di gruppi o di singoli individui, dalle relazioni sociali e dalle
istituzioni, impedendone la piena partecipazione alle attività dell'ambiente in cui vivono.
L'esclusione sociale è una condizione di deprivazione che si manifesta attraverso una situazione di svantaggio generalizzato,
dovuto all'inadeguatezza delle risorse e alla impossibilità di accesso alle diverse attività (scolastiche, lavorative, di
socializzazione).
L'esclusione si perpetua nel tempo e nega ai soggetti esclusi, gli standard essenziali di vita condivisi a livello sociale.
Perché parlare di esclusione sociale? L'intento è di mettere in evidenza un altro tema importante, che sta a cuore
all'Organizzazione, ossia il tema dell'esclusione dalla vita sociale e di comunità di questi bambini e delle loro famiglie.
La labiopalatoschisi è una malformazione del volto, nota in genere come "labbro leporino", che nei paesi in via di sviluppo
affligge milioni di bambini. Questi bambini hanno difficoltà a nutrirsi normalmente, non riescono a parlare bene e possono aver problemi
a svolgere le normali attività scolastiche e lavorative.
Queste difficoltà, direttamente collegate alla malattia, sono accentuate dalla visione sociale e culturale che considera questa
malattia come una maledizione.
In Uganda, ad esempio, i bambini nati con labiopalatoschisi sono denominati "Ajok", ovvero "Perseguitati da Dio". Molti
bambini nati con questa patologia vengono uccisi o abbandonati; mentre l'intera famiglia viene esclusa dalla vita sociale della comunità.
La famiglia viene considerata maledetta e la stessa malformazione viene vissuta come una punizione divina.
I bambini, esclusi dalle relazioni sociali e costretti a nascondersi, vivono la loro vita portandosi dietro un senso di
vergogna e di colpa per quello che sono o per la loro malformazione.
Anche l'intervento chirurgico per curare la malformazione viene vissuto da questi popoli come un patto con il diavolo; per
questo molte famiglie non vogliono operare il loro bambino. Il timore è di essere comunque esclusi dalla vita sociale, in quanto
l'operazione e la medicina "tradizionale" non sono accettate a livello culturale.
Il gruppo sociale non accetta il bambino con la malformazione e la sua famiglia, in quanto "marchiato dal demonio", ed è contrario
all'operazione, che rappresenta una sfida verso le forze demoniache. La famiglia si vede quindi tagliata fuori dall'ambiente sociale e da sola
deve decidere se far operare il proprio bambino.
Per questo motivo alcune madri decidono di abbandonare i loro figli presso le strutture e i centri ospedalieri, nei i quali l'Organizzazione
umanitaria interviene, in modo che i loro bambini possano essere operati.
Queste madri sono costrette a questa scelta difficile, per dare ai loro figli un futuro diverso da quello che potrebbero avere
rimanendo nel villaggio. In alternativa, molti dei bambini affetti da labiopalatoschisi sono tenuti in casa e nascosti agli occhi della gente.
I genitori hanno paura dei pregiudizi del gruppo sociale sulla malattia del proprio bambino e sulla reputazione familiare. In altre
culture, invece, questa malformazione è considerata una benedizione. In Brasile, infatti, è come essere "nati con la
camicia", ed essere particolarmente fortunati. La benevolenza divina segna il volto del bambino e la malformazione è vista come
segnale di protezione.
Anche se la malformazione nella cultura brasiliana assume un'accezione positiva, la popolazione locale ha comunque difficoltà ad
accettare l'operazione perché questo potrebbe significare il rifiuto della protezione divina.
L'operazione rappresenta quindi una sfida della famiglia verso il gruppo sociale.
Anche nei paesi in cui questa malformazione è vissuta con un'accezione positiva, la famiglia deve decidere se operare il proprio bambino,
senza il consenso della collettività.
Labbro leporino e risvolti psico-socio-evolutivi
Mi preme ricordare che la labiopalatoschisi, al di là dall'accezione culturale, provoca una grande sofferenza per il bambino che
comporta conseguenze negative sia sul piano fisico, sia psicologico.
Il bambino con tale malformazione, considerato culturalmente "marchiato dal demonio" (come ad esempio in Uganda), baciato dalla fortuna
(nell'accezione brasiliana) o con una malformazione congenita (nella cultura occidentale), sarà sempre visto come "diverso".
A livello fisico può avere difficoltà respiratorie, di nutrizione e infezioni.
Sul piano psicologico, l'esclusione e la derisione possono essere vissuti dal bambino come tradimento da parte degli
adulti significativi, che dovrebbero prendersi cura di lui. Questi bambini si sentono spesso soli, infelici e incapaci; lo scarso livello
di autostima può influire sul loro benessere personale e nel rapporto con gli altri.
A questi bambini spesso è negato il normale scambio con i coetanei, e ciò comporta la compromissione dell'acquisizione di
abilità sociali importanti per la crescita e lo sviluppo dell'individuo e per la sua futura capacità di relazione con gli altri.
Nell'infanzia sono gli altri bambini ad allontanarli; con la crescita, invece, il ragazzo stesso si esclude dal gruppo dei pari,
normale punto di riferimento dell'adolescente.
In adolescenza il vissuto di diversità dovuto alla malformazione diventa più marcato e faticoso da sopportare. I ragazzi
con questa malformazione, per paura del confronto con i coetanei, tendono ad auto-isolarsi.
In qualsiasi contesto culturale, inoltre, i genitori possono trovarsi in difficoltà ad accettare che il loro figlio abbia una
deformazione fisica; il processo di accettazione da parte dei genitori può essere ostacolato da diversi fattori.
Primo tra tutti quando il bambino nasce, i genitori devono fare i conti con la perdita dell'immagine ideale, che avevano costruito
del loro bambino durante il periodo di gestazione.
Il padre e la madre possono provare anche senso di colpa e dolore, che condizioneranno profondamente la loro esperienza di genitori
e possono arrivare a domandarsi se vogliano veramente che il bambino continui a vivere.
Molto spesso la scoperta dell'handicap o della malformazione blocca il processo di conoscenza della personalità del bambino e
l'accettazione dello stesso.
La famiglia può arrivare a rifiutare completamente il bambino.
L'isolamento sociale, nel quale può venire a trovarsi il nucleo familiare, specie nelle culture in cui interviene l'Organizzazione
umanitaria, rafforza il senso di fallimento e di solitudine.
Sul testo "Nascita di una madre. Come l'esperienza della maternità cambia una donna" (Stern D.N., Bruschweiler-Stern N., 1999),
mi ha colpito la testimonianza di una madre, che dice:
«Mi sentivo messa al bando da Dio. Come potevo aver generato un bambino così? Sono forse cattiva?».
E un'altra: «mi chiedevo continuamente che cosa avessi fatto o tralasciato di fare per causare tutto questo. In qualche modo,
da qualche parte, qualcuno deve essere responsabile».
In un'altra testimonianza, una mamma racconta come ha vissuto con il partner l'handicap del figlio: «Non avevamo alcun tipo di
sostegno di fronte ad un problema che ci schiacciava da ogni parte. Eravamo sospinti l'uno verso l'altro e quello era tutto. C'eravamo noi due
soli, insieme ma soli, soli da morire e senza via d'uscita».
Ho riportato questi commenti perché mi sembrava significativo che il vissuto emotivo di solitudine, vuoto e
impotenza dei genitori di fronte a un handicap o a una malformazione del figlio è presente in ogni contesto culturale. Dalle
parole di queste madri emerge il senso di esclusione sociale, il vuoto, la solitudine e il sentirsi vittima impotente di una punizione divina.
Nei bambini, invece, il rifiuto percepito può portare a sviluppare un senso di disadattamento che perdura anche in età
adulta.
In età evolutiva la comprensione e il vissuto della malattia da parte del bambino, è subordinata a diversi aspetti; gli
adulti significativi dovranno tener conto della possibilità o meno del bambino di comprendere il proprio stato di salute, in base a:
- il tipo di malattia e di malformazione;
- gli aspetti cognitivi e culturali che determinano per il bambino la comprensione della malattia stessa;
- la rappresentazione mentale che il bambino e i suoi familiari si creano della malattia, oltre che il processo di comprensione che il contesto
sociale ha della patologia;
- la possibilità di raccontare il proprio vissuto emotivo, all'interno di un sistema culturale, psicologico, evolutivo e relazionale
accogliente;
- le attribuzioni di significato che l'adulto, il genitore o il contesto sociale forniscono al bambino della sua patologia.
Nei paesi dove opera Smile Train, la comprensione della malattia per il bambino è spesso limitata alle consuetudini e alle "leggende"
locali sulla sua malformazione e il vissuto del bambino è molto negativo in funzione delle attribuzioni di significato che gli adulti
hanno della sua patologia.
Il bambino può sperimentare, inoltre, un senso di responsabilità rispetto alla propria condizione; sentendosi direttamente
colpevole. Il senso di colpa conferisce al soggetto una possibilità di controllo sulla propria condizione e serve a difendersi
dalla responsabilità diffusa che si ha di solito di fronte a eventi esterni ingovernabili.
Interventi a favore dell'inclusione sociale
Per i bambini affetti da palatoschisi, l'operazione precoce è fondamentale, in quanto con il passare degli anni la malformazione
può aggravarsi e richiedere un maggior numero di interventi.
Le malformazioni di cui stiamo parlando non sono incurabili; è necessaria un'operazione, per ridare al bambino una vita normale,
aiutare le famiglie, attenuare il vissuto di estraneità ed emarginazione, il senso di diversità e la paura di essere considerati
differenti.
Il progetto di Cooperazione, proposto da Smile Train, prevede un'azione di sensibilizzazione della comunità. Gli attori
coinvolti (Medici e volontari) devono avvicinare il capo tribù e i Medici locali, in maniera tale che possano trasmettere e far capire
il valore dell'operazione.
Al fine di sfatare l'idea dell'intervento come maleficio o patto demoniaco, si deve coinvolgere la popolazione a livello del singolo, della
famiglia e della comunità.
Nella mission dell'Organizzazione rientra anche la formazione dei Medici locali.
La trasmissione della conoscenza a persone del posto è fondamentale, per aiutare queste popolazioni a non sentire il senso di distacco
rispetto a un modo di pensare completamente diverso dal loro.
Questo, insieme al coinvolgimento del capo villaggio, facilita la comprensione che la menomazione fisica non è una colpa, un maleficio
o una benedizione, ma una condizione corporea del bambino, che può essere operato per risolvere completamente o in parte la sua condizione.
Indirettamente si cerca di raggiungere l'obiettivo di agevolare l'inclusione sociale di questi bambini e delle loro famiglie.
A livello socio-economico, con il termine inclusione sociale (Wolleb E., Wolleb G., 1993) si intende:
- un concetto-soglia, che indica la capacità della società di garantire a tutti gli individui di raggiungere uno standard
qualitativo di vita;
- un fenomeno relazionale, in quanto implica la riduzione delle disuguaglianze tra gli individui;
- un fenomeno multidimensionale, che considera il benessere totale di una persona e le condizioni in cui si trovano gli individui;
- un processo decisionale partecipativo per la definizione delle condizioni necessarie al raggiungimento di uno standard di qualità.
Gli interventi di Cooperazione allo sviluppo hanno lo scopo di rimuovere le cause della povertà e della vulnerabilità
socio-economica del paese. L'inclusione sociale, attraverso la quale si potrebbe migliorare la qualità della vita di queste persone,
può considerarsi un fattore di protezione rispetto alla vulnerabilità individuale.
In funzione della vulnerabilità personale l'obiettivo è di promuovere una cultura nella quale la vita di questi bambini
sia vista e considerata molto più sfaccettata, ricca e complessa di una riduzione dicotomica dell'esperienza ai concetti di
normalità-patologia o malato-sano.
La Cooperazione allo sviluppo, a livello generale, potrebbe porsi l'ambizioso obiettivo di favorire l'inclusione sociale. Questo tipo
d'intervento potrebbe essere fatto a più livelli, con l'aiuto di esperti:
- a livello psicologico, favorendo l'inclusione sociale delle persone con il loro vissuto
(ad es. aiutare il bambino con la malformazione a inserirsi nel contesto scolastico e nelle attività della collettività);
- a livello sociale (ad es. insegnare ai Medici locali tecniche più avanzate per operare);
- a livello socio-economico, favorendo la "rinascita" dei paesi in via di sviluppo
(ad es. utilizzare le risorse in loco, per sviluppare possibilità di crescita lavorativa e professionale).
Il discorso a questo punto diventa molto ampio e rischioso tanto che gli operatori, nel formulare i progetti di Cooperazione, devono
proseguire cautamente per non rompere degli equilibri a livello locale.
L'ambizioso obiettivo potrebbe essere rischioso se non si tiene conto del contesto antropologico e sociale in cui si interviene.
Per non rompere delicati equilibri, la Cooperazione internazionale solitamente non si occupa di questi temi, come l'inclusione sociale e la
vulnerabilità personale, di interesse soprattutto della Psicologia.
Secondo me, seppur indirettamente, l'intervento di Cooperazione allo sviluppo può agire anche su questi aspetti.
Questo significherebbe adoperarsi anche a livello culturale (ad es. smantellando convinzioni culturali che ostacolano l'inclusione sociale),
psicologico (ad es. lavorando sul vissuto del singolo) e collaborare con professionisti provenienti da diverse formazioni: Psicologi,
Psicoterapeuti, Economisti, Medici, Antropologi, Esperti in Cooperazione.
Il comportamento di aiuto
A livello sociale i termini di comportamento di aiuto, comportamento prosociale e altruismo descrivono le interazioni tra chi presta aiuto
e chi lo riceve (Bierhoff H.W., "Il comportamento prosociale", 2002).
Il comportamento prosociale include quelle azioni attuate con l'obiettivo di migliorare la situazione di chi riceve aiuto. Nello
specifico, il donatore non è motivato da obblighi professionali, e il ricevente è una persona e non un'organizzazione.
La definizione di comportamento altruistico è più ristretta e legata al concetto di empatia di chi dona aiuto verso chi
lo riceve. L'individuo altruista si mette nei panni dell'altro e cerca di capire di cosa l'altra persona può avere bisogno.
Il soggetto che aiuta immagina di trovarsi in quella condizione e di aver bisogno di sostegno. In quest'accezione il benefattore ha
un contatto diretto con la persona che ha bisogno di assistenza. Aiutare l'altro può comportare un costo personale.
Il termine comportamento di aiuto comprende tutte quelle attività e azioni messe in atto da un individuo al fine di dare aiuto
agli altri; comprende in sé il comportamento prosociale e l'altruismo.
Nel campo della Cooperazione internazionale gli operatori agiscono in virtù del comportamento di aiuto e del comportamento prosociale.
Il significato della relazione tra chi dà aiuto e chi lo riceve è il risultato di un processo di trattativa.
Il rapporto può essere interpretato come uno scambio reciproco; in tal caso anche il processo di dipendenza di una persona dall'altra
comporta un'alternanza dinamica dei ruoli. Per fare un esempio, nelle relazioni affettive il processo di aiuto assume carattere di
reciprocità.
Nella Cooperazione ovviamente non è presente questo scambio di posizione.
La relazione si presenta asimmetrica e i ruoli dei protagonisti sono fissi; la relazione incarna le caratteristiche del rapporto madre e bambino,
in cui i compiti sono complementari e non reciproci.
Nel caso in cui il processo di aiuto venga letto come uno scambio asimmetrico, in cui le parti in gioco non si scambiano i ruoli di
benefattore e beneficiario, la persona che riceve aiuto può sentirsi passiva, debole e debitrice rispetto a chi dona.
La persona che riceve aiuto cercherà in diversi modi di compensare la sua debolezza con quello che ha. Questo comportamento rientra
nell'esigenza di non essere interlocutore passivo nel rapporto di aiuto, ma cercare di sopperire alla propria condizione di svantaggio.
Le popolazioni del posto, una volta compresa l'importanza dell'intervento e superata l'ambivalenza rispetto alla Medicina tradizionale
occidentale, ricambiano con dimostrazioni di gratitudine e ringraziano i Medici per il loro intervento.
Per il beneficiario, ricambiare in qualche modo l'aiuto ricevuto può avere una valenza positiva, mentre nel caso in cui non
riesca a dimostrare la sua gratitudine, può sentirsi inadeguato nella relazione con il benefattore.
In quanto al benefattore/donatore, non di rado sente che i propri sforzi ottengono ricompense, in grado di superare i costi economici,
di tempo ed energia, spesi nell'aiutare l'altro.
I Medici volontari di Smile Train, ad esempio, si sentono fortunati a poter svolgere il loro lavoro con il solo scopo di aiutare l'altro,
al di fuori del rigido schema burocratico, che condiziona solitamente la professione in Italia.
In alcuni contesti infatti fare, agire, aiutare l'altro sono azioni spesso subordinate a:
- il ruolo che si ricopre;
- l'istituzione per la quale si lavora;
- i vantaggi e i riconoscimenti che si possono ottenere a livello professionale ed economico.
Alcuni Medici raccontano che, durante le missioni, si sentono più utili nello svolgere il loro lavoro. Possono mettere la loro
professionalità al servizio degli altri ricevendo in cambio la gratitudine delle persone che hanno aiutato e il sorriso dei bambini
operati.
La scelta di partire in missione sembra guidata da una motivazione intrinseca: sentirsi una persona migliore.
Caratteristiche della relazione di aiuto
La relazione di aiuto comprende quattro elementi fondamentali (Bierhoff H.W., "Il comportamento prosociale", 2002):
- le caratteristiche del "soccorritore" (qualità psicologiche, aspetti caratteriali, posizione sociale, come si comporta chi fornisce
aiuto? Come si presenta?);
- le caratteristiche del beneficiario (qualità psicologiche, aspetti caratteriali, posizione sociale, come si presenta chi riceve aiuto?
Ringrazia? Reagisce in maniera aggressiva?);
- le caratteristiche dell'aiuto (è disinteressato? Richiesto? Da quali ragioni è motivato?
Che rapporto c'è tra chi dà aiuto e chi lo riceve?);
- le caratteristiche del contesto (cultura e ambiente di appartenenza di entrambi: il contesto è svantaggiato? Chi dà aiuto e
chi lo riceve appartengono alla stessa classe sociale?).
Questi quattro elementi del "contratto di aiuto" influenzano:
- il vissuto del beneficiario, che può sentirsi minacciato o grato dell'aiuto ricevuto;
- l'autostima del soccorritore, che può percepirsi utile o inutile rispetto all'aiuto offerto.
Nel caso in cui nel beneficiario prevalgano risposte negative all'aiuto fornito dal donatore, probabilmente si sentirà
minacciato nella propria posizione sociale e vedrà vacillare la propria autostima.
Questo potrebbe portare il soggetto a rifiutare l'aiuto, anche se ne ha bisogno, o accettarlo compromettendo completamente o in parte
l'immagine che ha di se stesso (come il soggetto valuta una persona che ha bisogno di aiuto: debole? Bisognosa?
Come il soggetto valuta l'aiuto: necessario? Indispensabile?).
La discriminazione prolungata nei confronti di chi ha minori privilegi, tipico delle popolazioni nei paesi svantaggiati, potrebbe far sentire
questi soggetti in una posizione d'inferiorità. Nel caso di Smile Train, l'attenzione a questi aspetti è garantita da una
formazione specifica ai Medici locali, a cui viene fornita l'attrezzatura medica adeguata.
In questo modo è possibile per la popolazione locale crescere e acquisire nuove conoscenze e con il tempo operare in modo autonomo.
Spesso l'accoglienza delle missioni umanitarie da parte delle persone del posto dipende molto dalla cultura del paese.
Le persone hanno bisogno di tempo per comprendere l'effettivo beneficio dell'aiuto che gli viene offerto e per fidarsi dell'altro.
Coloro che già conoscono l'associazione e si fidano, si fanno giorni di cammino per far operare il loro bambino.
Cooperazione internazionale e Psicologia
All'inizio del corso mi sono sentita estranea al lavoro della Cooperazione, in quanto le priorità e le esigenze erano
essenzialmente legate ai bisogni primari dell'individuo, e ben lontani dall'occuparsi direttamente dei fattori di rischio psicologici,
sociali e di prevenzione, tanto cari a noi Psicologi.
Molte delle attività di Cooperazione, soprattutto quelle svolte nel settore dell'emergenza, concernono il fornire generi di prima
necessità e cure mediche primarie, mentre non sono direttamente considerati, ad esempio in ambito pediatrico e/o educativo, i temi
dell'attaccamento, il bisogno del bambino di stare con la madre e la dinamica della relazione diadica.
Durante il percorso formativo è stato riportato un intervento svolto nell'ambito della Cooperazione in Africa. L'obiettivo era
risolvere il problema di bambini che, a partire dai cinque anni, venivano mandati a raccogliere cotone nelle piantagioni.
I bambini, grazie alle loro dita sottili, sono facilitati in questo compito e le famiglie li spingono a fare questo lavoro per motivi
economici. L'intervento era volto a reinserire i bambini a scuola e ridurre questa forma di lavoro minorile. Gli operatori dovevano tener
conto dell'esigenza di fornire un supporto economico alternativo alle famiglie.
Il progetto di Cooperazione prevedeva, quindi, di dare ai genitori dei soldi ogni qualvolta il bambino frequentasse la scuola. Questo
incentivo economico incoraggiava i genitori a mandare i bambini a scuola, senza perdere quel contributo economico che ricavavano dal lavoro
dei loro figli nei campi.
Tra gli obiettivi del progetto non erano assolutamente considerati ulteriori fattori di rischio, sui quali uno Psicologo avrebbe
subito posto l'attenzione:
- l'esigenza del bambino di stare in famiglia, in particolare con la madre;
- l'importanza della scuola per potenziare le capacità cognitive del bambino;
- il ruolo fondamentale del gioco e dell'interazione con i coetanei per lo sviluppo sano del minore.
La Cooperazione non sembra considerare direttamente questi fattori.
Durante le prime lezioni del corso, mi è venuta in mente la Piramide di Abraham Harold Maslow, per rappresentare le
attività svolte dalla Cooperazione. Per chiarire questa mia considerazione, riporto un'immagine esemplificativa della Piramide di
Maslow e accenno alla sua Teoria dei bisogni.
La teoria dei bisogni di Maslow propone una gerarchia tra i bisogni e le necessità del soggetto.
Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari, necessari alla sopravvivenza dell'individuo,
ai più complessi, di carattere sociale, psicologico e di realizzazione personale.
I livelli di bisogno, partendo dalla base della piramide, sono:
- bisogni fisiologici (fame, sete...);
- bisogni di sicurezza e protezione;
- bisogni di affetto, appartenenza e identificazione;
- bisogni di stima e di successo;
- bisogni di realizzazione di sé (della propria identità e delle proprie aspettative rispetto alla posizione assunta nel gruppo
sociale).
Il principio di questa teoria è che l'uomo non può realizzarsi completamente se non sono corrisposti i suoi bisogni ai
più bassi livelli della scala. Rispondere ai bisogni fisiologici alla base della piramide implica un'influenza positiva anche sugli
altri livelli.
Sebbene la scala sia formulata rispetto ai bisogni di tipo psicofisiologico, più che psicologico in senso stretto, ci fornisce un'idea
generale di quelli che sono i bisogni per la sopravvivenza dell'essere umano.
Questa teoria, sebbene semplifichi in maniera drastica i reali bisogni dell'uomo, ci aiuta a distinguere il campo di azione della
Cooperazione rispetto a quello della Psicologia.
A livello esemplificativo la Psicologia si occupa in particolare dei temi connessi all'autorealizzazione dell'individuo e ai bisogni di stima,
affetto e sicurezza.
La Cooperazione internazionale, invece, risponde in primis ai bisogni fisiologici (ad es. fornisce generi alimentari), con un intervento
diretto e immediato.
In Psicologia la soddisfazione dei bisogni fisiologici è mediata dal tipo di relazione del bambino con la figura di attaccamento.
Un bambino sazio non sempre si sente amato e felice, se nella relazione di accudimento non passa la volontà della madre di prendersi cura
di lui.
Gli Psicologi valutano la qualità del rapporto madre-bambino e come la madre si prende cura del suo piccolo. Oltre all'accudimento
fisico e alla risposta ai bisogni fisiologici, il modo in cui la madre nutre il bambino e lo fa sentire protetto e accolto nella relazione, rende
unico il momento dell'allattamento.
In Psicologia la valutazione del benessere del bambino considera la risposta effettiva ai suoi bisogni fisiologici e il "tempo" e il
"modo" di rispondere del genitore (subito, differendo il bisogno, saltuariamente, mai).
Anche lo sguardo attento della madre verso il bambino, assume un valore importante nella valutazione delle qualità della relazione,
soprattutto nel momento del nutrimento.
Questi fattori non sono considerati nei progetti della Cooperazione come fattori di rischio per lo sviluppo sano della personalità
del bambino e difficilmente appartengono alla cultura del paese in cui la Cooperazione opera. La Psicologia può fornire alla Cooperazione
una lente supplementare attraverso la quale leggere il suo intervento.
Il modo in cui la madre nutre il bambino, è sensibile e responsiva ai bisogni del figlio, è "sufficientemente buona"
per dirla nei termini dello Psicoanalista Donald Woods Winnicott, ci fornisce dei parametri per valutare la qualità della
relazione nel rapporto tra madre e bambino.
Il legame di attaccamento che spinge il bambino verso la persona che si prende cura di lui (di solito la madre) aumenta il suo senso di
sicurezza e di autostima, attraverso la risposta adeguata e tempestiva ai suoi bisogni.
L'intervento di Cooperazione agisce quindi a questo livello.
In alcuni casi, entrando in contatto con culture differenti, sembra che alcuni concetti siano estranei al loro modello di benessere.
In molte culture, la sopravvivenza (intesa come soddisfazione dei bisogni fisiologici) è l'obiettivo primario e tutte le considerazioni
psicologiche sono spesso incomprensibili, non rientrando nella cultura di appartenenza.
Conclusioni
In questo viaggio tra gli interventi della Cooperazione, sono stati messi in risalto i punti salienti delle missioni che solitamente vengono
svolte a favore dei paesi svantaggiati.
I temi affrontati sono stati quelli dell'esclusione sociale e del vissuto emotivo rispetto al fornire e ricevere aiuto.
Il filo conduttore è stato il lavoro realizzato dall'associazione umanitaria presso la quale ho svolto il mio stage formativo. Ritengo,
come ho mostrato in questo articolo, che un lavoro di congiunzione tra Cooperazione intenzionale e Psicologia sia possibile, in quanto per diversi
aspetti la Cooperazione internazionale può arricchirsi del contributo della Psicologia.
La Psicologia può fornire agli interventi di Cooperazione una cornice teorica e pratica di riferimento. Ad esempio, nella valutazione
della riuscita dei progetti di Smile Train, potrebbero essere considerati i seguenti parametri, rigorosamente declinati nel contesto culturale
di riferimento:
- La qualità della relazione genitore-bambino.
- La dinamica della relazione duale di coppia.
- Il vissuto dei genitori di fronte a una malformazione.
- Il vissuto di esclusione del bambino per non sentirsi accettato.
Questi termini non rientrano nel linguaggio della Cooperazione internazionale. L'obiettivo dell'articolo è anche quello di palesare
la possibilità di un terreno comune di lavoro e una collaborazione tra gli operatori della Cooperazione e gli
Psicologi/Psicoterapeuti.
Grazie a questa esperienza ho consolidato la mia formazione in un campo di lavoro non sempre conosciuto dagli Psicologi, che permette di
sperimentarsi in un contesto flessibile e aperto alle differenze. In qualsiasi ambiente di lavoro sarà sempre più facile l'incontro
con l'Altro "diverso" culturalmente.
È fondamentale essere pronti a tendere la mano verso chi è lontano da noi come cultura e modo di pensare. In fondo la
Cooperazione internazionale è un tassello nel mare degli interventi attuabili a livello transculturale.
Voglio qui richiamare una citazione del filoso Martin Buber, per il quale l'Io, la persona, si costituisce unicamente
rapportandosi con altre persone. L'Io «si fa Io solo nel Tu» e la realtà umana si presenta "in relazione",
nella profonda e intima dimensione del dialogo tra due persone (Io-Tu) e dell'essere (Buber M., "Il principio dialogico e altri saggi",
2004).
Lavorare in ambito transculturale richiede impegno e formazione, teorica e pratica, lavoro di équipe, apertura al nuovo, accettazione
dei limiti e accoglienza della realtà culturale dell'altro.
Concludo con con una domanda: noi come professionisti (Psicologi e/o Psicoterapeuti) siamo pronti a un progetto di "cooperazione"
di tale portata?
Bibliografia
- Attili G., "Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente", Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007
- Berger K.S., "Lo sviluppo della persona: periodo prenatale, infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia", Zanichelli, Bologna,
1996
- Bierhoff H.W., Il comportamento prosociale, in M. Hewstone, W. Stroebe, "Introduzione alla psicologia sociale", Il Mulino, Bologna,
2002
- Bowlby J., L'attaccamento alla madre, in "Attaccamento e perdita", Vol. 1, Bollati Boringhieri, Torino, 1976
- Bowlby J., La separazione dalla madre, in "Attaccamento e perdita", Vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino, 1978
- Bowlby J., La perdita della madre, in "Attaccamento e perdita", Vol. 3, Bollati Boringhieri, Torino, 1983
- Buber M., "Il principio dialogico e altri saggi", San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo, 2004
- Gambini P. "Introduzione alla psicologia. Vol. I. I processi dinamici", Franco Angeli, Milano, 2004
- Gambini P. "Introduzione alla psicologia. Vol. II. I processi cognitivi", Franco Angeli, Milano, 2006
- Marcoli A., "Il bambino lasciato solo. Favole per momenti difficili", Oscar Mondadori, Milano, 2007
- Stern D.N., Bruschweiler-Stern N., "Nascita di una madre. Come l'esperienza della maternità cambia una donna", Oscar Mondadori,
Milano,
1999
- Juul J., "Il bambino è competente. Valori e conoscenze in famiglia", Feltrinelli, Milano, 1995
- Wolleb E., Wolleb G., "Sviluppo economico e squilibri territoriali nel sud Europa", Il Mulino, Bologna, 1993
Nota: per la stesura dell'articolo, oltre ai testi elencati in bibliografia, ho utilizzato le dispense del corso "Formare per lo
sviluppo", in formato cartaceo e digitale.
Sitografia
- Per maggiori informazioni su Emergenza Sorrisi (Smile Train Italia Onlus), consultare il sito
www.emergenzasorrisi.it
- Cirps Consortium (Consorzio universitario della Sapienza Università di Roma) e CIRPS (Centro Interunivesitario di Ricerca per lo
Sviluppo sostenibile), Corso di formazione "Formare per lo Sviluppo", settembre 2011, Roma
www.cirpsconsortium.net
- AA.VV., Maslow A., Biografia
it.wikipedia.org/wiki/Abraham_Maslow
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