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Studi sulla metacognizione: lo sviluppo dei modelli

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Studi sulla metacognizione: lo sviluppo dei modelli

L'articolo "Studi sulla metacognizione: lo sviluppo dei modelli" parla di:

  • Metamemoria
  • Modello di Borkowsky et al.
  • Conoscenza e controllo metacognitivo
Psico-Pratika:
Numero 55 Anno 2010

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Articolo: 'Studi sulla metacognizione: lo sviluppo dei modelli'

A cura di: Gianluca Lo Presti
    INDICE: Studi sulla metacognizione: lo sviluppo dei modelli
  • Sommario
  • Teoria della mente
  • Metamemoria
  • Modello metacognitivo di Borkowsky e Muthukrishna
  • Conoscenza e controllo metacognitivo
  • Bibliografia
Sommario

Lo scopo del lavoro è quello di compiere una sintesi chiara ed esaustiva dei modelli metacognitivi. Inizieremo con la "teoria della mente" di Premack e Woodruff. Relativamente la "metamemoria" vedremo il paradigma di Flaell e Wellman, in cui l'individuo può padroneggiare specifiche tipologie d'informazioni. Approfondiremo il modello di Brown, che propone degli step di controllo metacognitivo.

Di notevole rilevanza è il modello di Borkowsky e coll., il quale presuppone che alla base delle capacità metacognitive siano presenti relazioni funzionali fra motivazione, cognizione, stati personali e situazionali.
Negli ultimi anni, Cornoldi e coll. hanno proposto la distinzione fra conoscenza e controllo metacognitivo.

"Ma vano fu di salvare i compagni il desiderio
pur grande: ne fece rovina la propria follia;
insensati, che i buoi del Sole Iperone mangiarono,
e quello il giorno a loro negò il ritorno".
Omero, Odissea, Libro I, Invocazione alla Musa, vv. 6-9

Omero fa emergere in Ulisse la figura di un eroe con la sua ricca esperienza, la brama di conoscenza e la forza di resistenza alle fatiche. In più dedica un certo spessore anche alle colpe che ebbero i suoi compagni. Questo è un concetto molto importante durante tutto il percorso del Poema. Ed oggi non possiamo nascondere che in molte situazioni problematiche servirebbe, non solo, non commettere certi sbagli, ma prima di tutto porsi nelle condizioni tali da affrontare le difficoltà che si incontrano.

Chi ha letto con attenzione l'Omero dell'Odissea1 sarà d'accordo nel considerare che nell'Opera si trovano davvero molti versi in cui i personaggi riflettono sul loro stesso agire.
Ciò con razionalità, esperienza, conoscenza delle strategie e prudenza che funzionino bene, così come faceva Ulisse.

Nota 1
Questa specificazione è necessaria in quanto negli ultimi anni è stato possibile datare vasi e sculture che solitamente venivano realizzate subito dopo il compimento di Opere come l'Iliade e l'Odissea.
Ciò ha dato modo di costatare che le due opere sono state realizzate a più di 70 anni una dall'altra, forse anche 100 anni, senza considerare il tempo che è servito per poterle realizzare. In più, si è notato che la modalità, con cui sono scritte queste due Opere, è diversa.
Questo, ma non solo, ha confermato l'idea che le due Opere siano state scritte da due persone diverse. Dunque, nelle letture classiche, recentemente si può leggere o "l'Omero dell'Iliade" o "l'Omero dell'Odissea".

Oggi potremmo indicare tutte queste funzioni, ma non solo, con il termine: metacognizione. Essa ha un ruolo primario nei processi di apprendimento.
Infatti, le difficoltà che incontra un bambino nell'esecuzione e nella soluzione di compiti scolastici, nella maggior parte dei casi, potrebbero essere anche risolte mediante una didattica metacognitiva più efficace.

In tal senso sono stati molteplici i modelli che hanno cercato di delineare un quadro che raggruppasse tutti i processi relativi alla metacognizione. Questo termine ha assunto progressivamente un significato sempre più ampio, finendo per far riferimento sia alla consapevolezza del soggetto rispetto ai propri processi cognitivi (conoscenza metacognitiva) sia all'attività di controllo esercitata su questi processi (processi metacognitivi di controllo) (Cornoldi, 1995; Cottini, 2006).

In letteratura, fra i principali studi che hanno evidenziato quei processi che si pongono come funzionali alle acquisizioni cognitive troviamo:

  1. Le ricerche di Piaget (1974, 1975), a partire dall'epistemologia genetica, sulle modalità attraverso cui un soggetto affronta e risolve un compito utilizzando meccanismi cognitivi
  2. I modelli dell'elaborazione dell'informazione che sono alla base del funzionamento dei meccanismi e dei processi cognitivi (Richard, Bonnet e Ghiglione, 1990)

Le linee di ricerca appena citate rappresentano il principale background epistemologico con cui si sono aricchiti, ed in certi casi sviluppati, i modelli che prenderemo di seguito in esame.

Teoria della mente

Una spinta sperimentale certamente importante per lo studio della metacognizione è stata data da Premack e Woodruff (1978), con l'introduzione dell'espressione: "teoria della mente". Con questa terminologia, gli Autori si riferivano a tutto un insieme di abilità e di conoscenze che prima appartenevano alla così detta "psicologia intuitiva" o del senso comune.

Quando agli studenti viene spiegata la teoria della mente, spesso viene posto l'esempio denominato: Il compito di Maxi (Wimmer e Perner, 1983). Tale compito concerne nel racconto di una storia con l'ausilio di pupazzetti ed oggetti come scatole colorate.

La storiella raccontata è pressoché la seguente:

"Un bambino di nome Maxi, con la mamma, è in cucina. Maxi mette nell'armadio rosso la cioccolata, quindi esce a giocare in giardino. La mamma prende la cioccolata, ne usa un po' per preparare il dolce, poi la ripone nell'armadio giallo, invece che in quello rosso. Ora Maxi torna e vuole la cioccolata.
Dove andrà a cercarla? Nell'armadio rosso o in quello giallo?"
Vianello, 1998

Il bambino (ma d'altronde chiunque) per rispondere al quesito, deve vedere la situazione secondo la prospettiva di Maxi.
Dunque il compito risulta duplice. Non solo bisogna avere ben chiara la rappresentazione di ciò che è stato raccontato nella storia dal proprio punto di vista esterno, ma si deve tenere presente anche ciò che pensa Maxi, secondo la sua prospettiva.

In tal senso, dobbiamo inferire il pensiero di quel soggetto in quel dato momento a partire dalla rappresentazione dei pensieri che ci siamo costruiti nell'immaginare "cosa" stiano pensando i vari personaggi della vicenda, ovviamente sapendo discriminare il nostro pensiero dal loro pensiero.

Dopo il racconto della storia di Maxi, è stato rilevato come solo pochi bambini di 4 anni rispondevano correttamente (33%). Invece, i bambini di 6 anni, completano la prova praticamente senza problemi (92%) (Wimmer e Perner, 1983).

Come spesso accade in teorie così studiate, con l'affinarsi della metodologia utilizzata, variano anche le risultanze. In tal senso, alcuni autori (Lesile, 1987) arrivano a costatare che tali modalità di pensiero siano già presenti dai 18-24 mesi di vita.

Metamemoria

Nel ripercorrere le ricerche più importanti sull'attività metacognitiva, si nota che il settore che per primo è stato studiato ed ampliamente approfondito è quello della metamemoria.

Un primo paradigma rintracciabile è di Flavell e Wellmann (1977).
In questo modello l'individuo ha la necessità di padroneggiare le seguenti tipologie di informazioni per sviluppare una conoscenza metacognitiva:

  • Attribuzioni personali. Le quali si riferiscono all'autovalutazione delle proprie capacità personali, così da saper immediatamente discriminare fra situazioni che possono mettere l'individuo in difficoltà da situazioni potenzialmente favorevoli.
  • Caratteristiche del compito. Ciò significa essere in grado di visualizzare le informazioni subito disponibili e necessarie per risolvere ed affrontare le situazioni di apprendimento (come, ad esempio, uso dei sussidi didattici, delle figure, delle note, distinzione fra diverse tipologie di esercizi, uso di fonti di ricerca, etc).
  • Strategie impiegabili per affrontare il compito. Qui si parla delle conoscenze relative alle strategie ed alle modalità per affrontare nel modo più idoneo, concreto ed efficace i compiti richiesti.
    Un esempio può essere quello che riguarda le procedure che si eseguono per affrontare un problem solving matematico.
  • Condizioni di applicazione del compito. Qui ci si focalizza su tutte quelle informazioni contestuali che sono da considerare di fronte a situazioni di apprendimento, come il tempo a disposizione, il grado di apprendimento, la situazione ambientale, etc.

Se gli aspetti appena enunciati vengono considerati in maniera indipendente, allora questo modello potrebbe risultare notevolmente funzionale. Purtroppo una delle principali critiche al modello precedente è quello che non riesce a spiegare come facciano i soggetti a collegare le diverse conoscenze metacognitive. Ed è proprio in tal senso che si distingue il modello di Brown.

Brown (1987) ha proposto di intendere la metacognizione come un funzionale controllo dei processi. Così, si possono rilevare i seguenti step facenti parte del controllo metacognitivo:

  1. Capacità di leggere le situazioni nei termini di un problema da risolvere (ovviamente in maniera costruttiva). Cosicché da essere interessati nell'intervenire per trovare una soluzione.
  2. Capacità di riconoscere le caratteristiche dei propri limiti così da saper anticipare le possibili difficoltà.
  3. Capacità di pianificare le proprie azioni e strategie utilizzabili.
    Qui ritroviamo, soprattutto, i pensieri sulle previsioni del compito e del modo migliore di risolverlo. Così d'avere un quadro generale di come organizzare e pianificare tutto questo lavoro.
  4. Capacità di monitoraggio, di essere sensibili ai feedback, di adattare il proprio comportamento in base alle esigenze del momento.

Alla fine di questi passaggi, il controllo metacognitivo può considerarsi funzionale allo stimolo-problema. In tale modello, però, non appaiono chiare le modalità tramite cui si intercorrelano gli step non direttamente collegati. Per fare un solo esempio, oggi sappiamo che l'interesse di un soggetto verso un dato oggetto d'apprendimento è anche influenzato dal modo con cui un soggetto legge ed interpreta l'ambiente in cui si esplica l'apprendimento (ad esempio, dal rapporto che istaura con il docente).
Così il primo punto diventerebbe prossimo all'ultimo (interesse diretto per risolvere il problema e capacità di adattare il proprio comportamento in base alle esigenze della situazione). Cosa che invece non è esplicitamente prevista dal suddetto modello.

Modello metacognitivo di Borkowsky e Muthukrishna

La precedente problematica è, però, ampliamente superata dal modello di Borkowsky et al. (1986, 1988, 1992). Questo modello presuppone che alla base della capacità di conoscenza e di controllo metacognitivo siano presenti relazioni funzionali fra caratteristiche motivazionali, cognitive, stati personali e situazionali.
Vediamo un quadro più specifico concernente il modo di "funzionare" di codesto modello teorico:

  1. In primo luogo si presuppone la conoscenza di un buon numero di strategie da poter utilizzare;
  2. Si deve essere in grado di comprendere quando utilizzare tali strategie, in quali contesti e perché ne sono più idonee alcune e non altre;
  3. Dopo aver selezionato con cura le strategie più idonee, risulta necessario porre attenzione sul monitoraggio delle stesse;
  4. La presenza di convinzioni che supportino l'idea che le propri capacità mentali possano crescere (teoria entitaria vs incrementale, Dweck, 2000);
  5. Essere convinti che l'impegno debba essere unito all'attenzione verso il compito ed alla consapevolezza nello studio;
  6. La motivazione del soggetto, oltre che essere di tipo intrinseco (cioè che il soggetto voglia apprendere per un proprio piacere e/o interesse, e non per punizioni e/o rinforzi esterni), è idonea sia se orientata al compito e sia se ci si pone come obiettivo quello di padroneggiare l'oggetto d'apprendimento vs mirare alla prestazione (e, dunque, solo per far vedere "quanto si è bravi");
  7. Cercare di non avere paura di un eventuale fallimento, ma comprendere che fallire è necessario per avere successo;
  8. Possedere molteplici immagini concrete di Sé possibili (Marckus e Nurius, 1986; per una trattazione più completa cfr. Boca e Arcuri, 1990).
    Gli autori, Marckus e Nurius (ibidem), scrivono: "I Sé possibili rispecchiano le idee degli individui su cosa possono diventare e cosa temono di diventare e dunque forniscono un legame concettuale tra motivazione e cognizione. I Sé possibili sono, dunque, delle componenti cognitive della speranza, della paura, degli scopi, delle minacce, e danno una forma specifica e rilevante al Sé, ai pensieri, all'organizzazione ed alla direzione di queste dinamiche".
  9. Avere delle conoscenze approfondite di molti argomenti con la possibilità di accedere a queste ultime in maniera veloce. Il fatto di essere interessati a molti argomenti della conoscenza richiama fortemente Popper (1969) quando enuncia, secondo lui, quali devono essere i tre compiti più importanti di uno scienziato, egli scrive: "uno scienziato che non abbia un bruciante interesse per gli altri campi del sapere, si esclude dalla partecipazione e dall'autoliberazione attraverso la conoscenza che è il compito culturale della scienza". Gli altri due scopi sono: "compiere un buon lavoro nel proprio campo particolare" e "aiutare gli altri a comprendere il proprio campo ed il proprio lavoro riducendo al minimo il gergo scientifico".
    Potremmo aggiungere che la conoscenza non è solo il compito culturale della scienza, ma anche l'obiettivo delle istituzioni scolastiche e formative, obiettivo, questo, che in alcune situazioni viene tralasciato.

Chiaramente, questi punti, rappresentano una concettualizzazione solo ipotetica, nel senso che è impossibile trovare un bambino che usi del tutto queste nozioni, ma esse rappresentano un tipo di modello teorico in grado di adattarsi con certa flessibilità a quelle che sono le peculiarità di ogni soggetto. Infatti, queste sono caratteristiche che non basta che siano acquisite per essere funzionali, ma devono anche essere apprese all'interno di un contesto specifico, come la scuola o la famiglia.

Si può notare nello schema del modello Metacognitivo di Borkowsky e Muthukrishna (1992) (figura 1), come tutte le componenti siano in diretta interazione fra loro.
Così, chi apprende, è in grado di ampliare le proprie conoscenze metacognitive proprio attraverso i continui feedback che riceve dall'esterno.

Facciamo un esempio.
In un primo caso lo studente, avendo utilizzato una strategia poco funzionale, ottiene scarsi risultati (compito > strategia > prestazione > feedback) e dunque rifletterà sul "come mai" è andato male il compito.

Mettiamo caso che attribuisca l'insuccesso sia ad un suo scarso impegno che ad un uso inefficiente delle strategie, in tal caso potrà essere portato a sperimentare nuove strategie (feedback > convinzioni e attribuzioni > compito > etc.).

I percorsi più frequentemente utilizzati, sia in caso di successo che insuccesso, saranno quelli che inevitabilmente il soggetto tenderà ad automatizzare, così da indirizzarsi sempre verso gli stessi stili di pensiero, convinzioni, atteggiamenti, strategie, etc.

Il problema che resterà da capire sarà quello di sapere se: il soggetto si indirizzerà verso un senso di sicurezza nella sue possibilità o acquisterà sfiducia nelle proprie abilità?
Però è proprio attraverso questo processo circolare che lo studente impara gradualmente ad usare strategie adeguate ed idonee per la risoluzione del compito.


Figura 1

Componenti e funzionalità del modello Metacognitivo di Borkowsky e Muthukrishna (1992)

Componenti e funzionalità del modello Metacognitivo di Borkowsky e Muthukrishna (1992)

Gli Autori parlano del "buon utilizzatore di strategie".
In sintesi, è colui che conosce le strategie e ne comprende l'utilità, sa come e quando usarle, selezionarle e controllarne l'efficacia durante l'esecuzione.
Chi crede nell'impegno, chi è intrinsecamente motivato ed orientato al compito, non teme il fallimento poiché si pone obiettivi di padronanza e concepisce le prove di valutazione come opportunità di apprendimento.

Conoscenza e controllo metacognitivo

Seguendo ed integrando Borkowsky, il gruppo di ricerca MT (memoria - training), dell'Università di Padova, distingue ancor più nel dettaglio fra conoscenza e controllo metacognitivo.

La Conoscenza Metacognitiva. Tale terminologia si riferisce alle conoscenze che l'individuo ha sviluppato sul funzionamento dei propri processi mentali. Queste considerazioni implicano nozioni, impressioni, intuizioni, sentimenti, autopercezioni, etc.
In tal senso l'oggetto della conoscenza metacognitiva si riferisce a tutti gli aspetti cognitivi del funzionamento mentale.
Per tale motivo codesta conoscenza influenza attivamente l'acquisizione di altre conoscenze (Cornoldi, 1995). Alcune variabili che possono caratterizzare una conoscenza metacognitiva sono (Cornoldi e Caponi, 1991).

  • Generalità, livello gerarchico. Qui ci si riferisce alla concettualizzazione che: le idee sui ruoli del funzionamento mentale e sui limiti delle risorse cognitive disponibili, siano gerarchicamente sovraordinate.
    Ciò in confronto a idee riguardanti i limiti che ha la memoria a breve termine oppure le considerazioni sul numero limitato di operazioni che si possono fare in certo arco di tempo.
  • Gamma di applicazioni. Spesso idee più generali hanno una più vasta gamma d'applicazione.
    Ad esempio, quando il bambino osserva che nel memorizzare una poesia riesce meglio quando affronta il brano spezzettandolo in parti ancor più piccole, potrebbe utilizzare la strategia: "più sono piccole le parti, meglio ricordo".
    Altrimenti potrebbe optare nel costruirsi degli schemi di sintesi. Ad esempio, scrivendo la data e qualche parola riassuntiva di tutto un discorso (magari di storia o geografia) su di un foglio a parte, oppure, quando si studia da un testo, segnare di fianco al testo un concetto che sia riassuntivo di quella determinata parte.
    In tal maniera si potrà avere una visone globale dell'argomento. Anche se tale panoramica complessiva dovrà essere poi ovviamente accompagnata da una conoscenza analitica dell'argomentazione (cfr. Miller, 1987).
  • Facilità di accesso. La capacità a richiamare alla mente le informazioni che servono in quel dato momento.
  • Verbalizzabilità. Molte idee, pur esistenti, è spesso possibile che non siano mai state esplicitamente verbalizzate.
    Pertanto si tratta della capacità di trasformare un pensiero in linguaggio.
    Tale condizione richiama la famosa affermazione di Gauss: "Il risultato l'avevo già, ora dovevo solo scoprire le vie per le quali ero arrivato ad esso". (Per una trattazione più completa cfr. Watzlawick, 2005).
  • Livello di consapevolezza. Questo punto è legato al precedente in quanto molte idee, anche se si cerca di verbalizzarle, ciò fallisce a causa di una mancanza di termini.
    Basti pensare al fatto che non tutti hanno le stesse capacità verbali o conoscenza di vocabolario.
    Dunque si tratta della capacità di saper esprimere attraverso la giusta terminologia un dato concetto. Ovviamente, più è astratto il concetto più risulta difficile verbalizzare la propria concettualizzazione.
  • Modalità di acquisizione. Ogni individuo presenta stili cognitivi preferenziali per quanto concerne il proprio apprendimento, e si ha uno stile cognitivo ogni qual volta si manifesta una tendenza costante e stabile nel tempo a usare una determinata classe di strategie, questa rinforzata nell'ambito di una serie di strategie tutte applicabili per affrontare il compito specifico (Zamperlin e De Beni, 1997; Miller, 1987).
  • Propensione ad essere applicata al comportamento. In questo punto ci si focalizza nel mettere in atto ciò che si conosce in teoria. Si fa riferimento al saper trarre delle implicazioni pratiche da concettualizzazioni astratte o generali.
  • Pregnanza emotiva. Ogni cosa che presenti una connotazione a livello di attivazione emotiva ha una sua modalità di apprendimento.
    Generalizzando il discorso, le neuroscienze cognitive hanno ormai costatato come un fatto accaduto durante un momento, per noi, fortemente emotivo, fa si che quella situazione sia consolidata nella memoria a lungo termine (Ferry et al., 1999; Gazzanica et al., 2005). Questo, a grandi linee, vale anche per circostanze più semplici.
    Ciò perché l'individuo si trova costantemente a mediare con le proprie emozioni.
  • Ampiezza delle interconnessioni. Una determinata idea può essere intercorrelata ad altre, così da formare una sorta di costruzione della conoscenza.
    Più sono queste interconnessioni, più sarà forte la conoscenza metacognitiva (il concetto richiama fortemente il funzionamento cerebrale delle sinapsi).
  • Coerenza interna ed esterna. Scarsa coerenza oppure una manifesta contraddizione sono certamente delle caratteristiche preponderanti della metacognizione.
    Basti pensare alla teoria della dissonanza cognitiva (Festinger, 1973), la quale ipotizza che quando un individuo diviene consapevole di una dissonanza fra comportamento vs atteggiamento, il suo organismo produce uno stato di arousal negativo.
    cioè una sensazione indifferenziata di malessere.
    Ed è proprio questo stato ansioso che motiva il soggetto ad eliminare la dissonanza.
    Ciò però avviene cercando sia di ridurre al massimo l'uso di risorse cognitive e sia di non cerare una cattiva immagine di sé. In pratica, è esperienza comune di tutti coloro che hanno la possibilità di parlare con più persone dello stesso esame o di più esami, che se l'esame va male, è colpa del professore, se l'esame va bene allora è tutto merito proprio.
    Farebbe male alla propria immagine ammettere che, spesso, l'esame va male perché non ci si è impegnati, e che gli esami sono andati bene in quanto è stato il docente ad essere più "generoso"!
    Questo punto concernente l'attribuzione della coerenza, a parere di chi scrive, è un tipo di argomento che la ricerca dovrebbe approfondire. Ciò per studiare degli eventuali training metacognitivi molto pratici su come le attribuzioni siano guidate non dalla realtà dei fatti ma dalla modalità tramite la quale leggiamo questi fatti.
    Dunque in termini di autostima, personalità, etc.
  • Prerequisiti in informazioni, esperienze, strutture intellettive. Hanno certamente una notevole rilevanza anche le conoscenze scientifiche e/o tecniche e/o letterarie concernenti le attività mentali.
    Anche un interesse verso tali tematiche porta ad una maggiore consapevolezza e riflessibilità su certi processi cognitivi (vedi, ad esempio l'expertise, De Beni e Moè, 2000).

La metacognizione di conoscenza, come abbiamo visto, è capace di esercitare un ruolo fondamentale lungo tutto il continuum dell'apprendimento. Le prestazioni, i pensieri, le convinzioni, ciò che si pensa si sappia fare e non fare, le proprie idee, gli stati d'animo, e tutto ciò che concerne il nostro sapere come la nostra mente funziona possiamo farlo rientrare in quello che abbiamo definito metacognizione di conoscenza.

Il Controllo Metacognitivo. Lo studio sui processi di controllo in psicologia ha avuto probabilmente inizio con lo studio dell'intelligenza artificiale.
Un primo modello, semplice ma come tutte le cose semplici molto efficace, è stato il modello T.O.T.E. (Miller, Galanter e Pribran, 1960). L'acronimo completo è: Test - Operate - Test - Exit.

Tale modello presuppone che un'informazione viene prima vagliata in entrata (Test), all'interno del sistema avviene l'attività principale, come un apprendimento specifico, (Operate), quanto elaborato, appreso o prodotto viene valutato ancora una volta (Test) prima di passare all'uscita dal sistema (Exit).

C'è da dire che in un essere umano le variabili intervenenti in un processo di tale genere sono certamente innumerevoli. Comunque questo modello ha dato una sorta di linea guida a tutti gli studi successivi.
Ciò soprattutto è accaduto negli studi dello Human Information Processing (HIP).
In tal senso Brown (1975) attribuisce al sistema di controllo le seguenti funzioni chiave:

  1. Predire le limitazioni nella capacità del sistema;
  2. Conoscere l'ambito appropriato di impiego delle procedure euristiche.
    Queste sono scorciatoie di pensiero basate sull'utilizzo di strategie già convalidate dalla personale esperienza.
    Sottolineiamo che in psicologia sociale le euristiche sono principalmente chiamate in causa anche nel campo degli stereotipi (cfr. Trentin, 1991);
  3. Isolare e identificare correttamente il problema;
  4. Pianificare strategie che siano adeguate al compito;
  5. Verificare l'efficacia delle procedure adottate;
  6. Valutare l'adattamento di tutte queste operazioni mentali rispetto alla possibilità di successo dell'attività cognitiva;
  7. Stabilire con certezza quando l'attività si può considerare completata.

Questi meccanismi si devono ritenere in iterazione fra di loro.
Gli studenti indirizzati verso l'utilizzo di meccanismi metacognitivi di controllo sembrerebbero essere in grado di: rendersi conto dell'esistenza di un problema, ad esempio, lo studio può essere interpretato come un problema verso cui occorre adottare strategie risolutive; essere in grado di predire le propria prestazione; pianificare l'attività cognitiva conoscendo l'efficacia delle azioni programmate; controllare e guidare l'attività cognitiva in relazione all'obiettivo posto (Mazzoni, 2003).

I meccanismi di controllo costituiscono l'ingrediente essenziale del funzionamento psicologico quindi hanno una valenza adattiva positiva (Cornoldi, 1995).
Un classico esempio di controllo è rappresentato dal chiedersi, a fine pagina o paragrafo, se veramente si è capito ciò che si è letto. Oppure, nel mentre che si sta esponendo un'argomentazione di fronte ad una o più persone, se si cerca di capire se è chiaro ciò che si sta esponendo (ad esempio attraverso i feedback non verbali delle altre persone, o se la linea che stiamo seguendo in quel momento è realmente chiara come vorremmo, oppure se non sto dimenticando punti che avrei avuto intenzione di enunciare, etc.).


Tabella 1

Principali funzioni metacognitive di controllo (Cornoldi, 1990).
- Orientamento generale
- Collegamento del compito ad altri compiti simili
- Generazione delle alternative per la formulazione del problema
- Definizione del livello di performance attesa
- Implementazione del piano strategico scelto
- Raccogliere e valutare i feedback
- Stabilire quando e' necessari sospendere l'esecuzione
- Spiegare un eventuale insuccesso
- Problematizzazione
- Attivazione di conoscenze implicate
- Automonitoraggio, tenere sotto controllo i processi
- Previsione
- Inibizione delle alternative
- Valutare la distanza della soluzione
- Valutare i risultati finali
- Decidere di riprovare, o decidere un piano strategico alternativo
- Comprensione e definizione del problema compito
- Integrazione delle informazioni provenienti da fonti diverse
- Valutazione delle difficoltà del compito
- Esame delle alternative e decisione
- Coordinazione dei processi
- Aggiustamenti del piano implementato
- Auto valutarsi ed auto rinforzarsi

Nella tabella 1 vengono esposti alcuni fra i fondamentali processi metacognitivi di controllo (Cornoldi, 1990).
Come si può notare dai punti esposti, essi rappresentano parti fondamentali del processo di problem-solving.
In tal senso, appare chiaro come durante qualsiasi attività di semplice vita quotidiana, ci si venga posti di fronte a degli "stimoli-problema" in cui risulta necessario l'esecuzione di più step affinché si possa giungere ad una soluzione.

Le teorizzazioni fatte a proposito della metacognizione di controllo sono certamente quelle più prossime ad un tipo di problem-solving efficace.
I processi di controllo metacognitivo, insieme alla memoria di lavoro, sono le concettualizzazioni che meglio posso spiegare un modello di funzionamento cognitivo generale. Infatti le attività di controllo metacognitivo possono essere considerate come un ulteriore controllo delle altre operazioni mentali.

Da questo breve excursus sui principali studi dedicati alla metacognizione abbiamo potuto notare come si sia partiti da concettualizzazioni più generiche e molto ampie sino ad arrivare all'individuazione di modelli molto articolati e funzioni altamente specifiche.
Infatti, sono proprio le funzioni metacognitive di controllo che possono essere considerate come quelle componenti cognitivamente più "raffinate" del pensiero umano.
E proprio tramite queste funzioni così specifiche che riusciamo, giorno dopo giorno, a mettere insieme tutti quegli schemi mentali che sono necessari non solo alla risoluzione di stimoli-problema, dai più semplici ai più complessi, ma anche di costruire strategie, integrare esperienze e potenziare le nostre conoscenze ed abilità.

Bibliografia
  • Boca, S., Arcuri, L., La memoria autobiografica: problemi e prospettive. "Giornale Italiano di Psicologia", vol.13, n.3, pp. 413-434, 1990
  • Borkowsky, J.C., Weyhing, R.S., Turner, L.A., Attributional Retraining and the teaching of strategies. "Exceptional children", vol.53, n.2, pp. 130-138, 1986
  • Borkowsky, J.C., Metacognizione e acquisizione di forza ("empowerment"): implicazione di alunni con handicap o difficoltà di apprendimento. In: Cornoldi C., Vianello R., (a cura di) "Handicap, comunicazione e linguaggio", Juvenilia, Bergamo, 1988
  • Borkowsky, J.C., Muthukrishna N., Lo sviluppo della metacognizione nel bambino: un modello utile per introdurre l'insegnamento metacognitivo in classe. "Insegnare all'handicappato", n.3, pp. 229-251, 1992
  • Brown A.L., The development of memory: Knowing, knowing about knowing and knowing how to know. In: W. Reese "Advances in child development and behaviour", (a cura di) Academic Press, New York, 1975
  • Brown A.L., Knowing when, where and how to remember: a problem of metacognition. In: Glaser R. "Advances in instructional psychology", vol.1, Hillsdale, New Jersey, 1987
  • Cornoldi C., Autocontrollo, metacognizione e psicopatologia dello sviluppo. "Orientamenti Pedagogici", n.3, pp. 492-511, 1990
  • Cornoldi C., "Metacognizione ed Apprendimento", Il mulino, Bologna, 1995 Cornoldi C., Caponi B., "Memoria e metacognizione", Rickson, Trento, 1991
  • Cottini L., "Didattica Speciale e integrazione scolastica" (seconda edizione) Carocci, Roma, 2006
  • De Beni R., Moè A., "Motivazione ed Apprendimento", Il Mulino, Bologna, 2000
  • Dweck C. S., "Teorie del Sé. Intelligenza, motivazione personalità e sviluppo", Erickson, Trento, 2000
  • Ferry B., Roozendaal B., McGaugh J. L., Bassolateral amygdale noradrenergic influences on memory storage are mediated by an interaction between beta- and alpha1-adrenoceptors "Journal of Neuroscience", n.19. pp. 5119-5123, 1999
  • Festinger L., "La teoria della dissonanza cognitiva", Franco Angeli, Milano, 1973
  • Flavell J. H., Wellmann H. M., Metamemory. In: Kail R. V., Hagen W. J. "Perspectives on the Development of Memory and Cognition", Erlbaum, Hillsdale, 1977
  • Gazzanica M. S., Ivry R. B., Mangun G. R., Le emozioni. In: "Neuroscienze Cognitive", Zanichelli, Bologna, 2005
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HT Psicologia - Studi sulla metacognizione: lo sviluppo dei modelli

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