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Dalla Mitologia alla Cronaca confronto tra il mito di Medea e il caso di Matthias Schepp e le gemelline scomparse
L'articolo " Dalla Mitologia alla Cronaca" parla di:
- Ossessione vendicativa
- Difesa della propria identità
- Sindrome da Alienazione Parentale
Articolo: 'Dalla Mitologia alla Cronaca confronto tra il mito di Medea e il caso di Matthias Schepp e le gemelline scomparse'
INDICE: Dalla Mitologia alla Cronaca
- Premessa
- Medea e il vello d'oro
- Parole chiave: "Aiuta i tuoi amici e fai del male ai tuoi nemici"
- Difesa della propria identità
- Possiamo parlare di PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)?
- Bibliografia
Premessa
Come il mito di Edipo ci è stato di aiuto per comprendere le fantasie parricide dei figli, così il mito di Medea, credo,
potrebbe permetterci di trovare un senso alle fantasie infanticide da parte dei genitori.
Della storia di Medea esistono in epoca antica numerose versioni, come quella di Ovidio, di Draconzio o di Euripide: nella prima
Medea, divenuta una strega, non soffre più dell'infanticidio commesso né potrebbe soffrire di un'ipotetica punizione; nella
seconda, invece, Draconzio racconta che Medea offre a Diana i suoi figli, così che l'infanticidio non è condotto per vendetta,
ma come richiesta di perdono per aver tradito la dea Diana.
Tuttavia, la vicenda più nota, è quella fissata da Euripide, interamente "costruita" nella prospettiva del tragico infanticidio
che costituisce un punto di non-ritorno.
Anche in epoca moderna, la storia di Medea ha affascinato da sempre scrittori e artisti, tanto che la lista dei rifacimenti e delle
riscritture del mito sarebbe lunghissima, come la Lunga notte di Medea (tragedia teatrale di Corrado Alvaro del '49), il romanzo della
scrittrice tedesca Christa Wolf uscito nel 1996, Medea. Voci, o ancora il film Medea di Pier Paolo Pasolini, del 1969 e l'elenco
potrebbe continuare oltre.
A mio avviso, sia la tragedia di Euripide che il film di Pasolini costituiscono le versioni più adatte per comprendere alcune scelte
estreme che scaturiscono dallo strato più profondo della natura umana, come è il caso di Matthias Schepp e delle gemelline,
Alessia e Livia, fatte sparire dal papà.
Quello che vorrei porre in rilievo non sono i dettagli macabri della vicenda, sul "come" tutto ciò sia accaduto: per questo esistono
i media.
In realtà vorrei tentare di accedere alla dimensione simbolica dell'accaduto, sul "perché" l'essere umano, uomo o donna
che sia, possa mettere in atto comportamenti così estremi, risvegliando in tutti noi qualcosa di molto atavico, già raccontato
nell'arte, nelle favole, nei miti, ecc. fin dall'antichità.
A questo vorrei aggiungere, come credo sia opportuno, un taglio clinico, ossia una spiegazione dei fatti che discende da teorie di
riferimento psicologiche.
Per iniziare, propongo una breve sintesi del racconto mitologico, secondo la versione di Euripide, che ha per protagonisti Medea e Giasone,
il suo sposo.
Medea e il vello d'oro
A Giasone, figlio del re di Iolco, viene affidato il compito di impossessarsi del vello d'oro per riconquistare il trono
usurpato dallo zio Pelia.
Giasone arma una nave di nome di Argo, mentre i partecipanti della spedizione sono chiamati Argonauti.
Dopo numerose peripezie vengono finalmente ricevuti da Eete, re della Colchide, che si dimostra disponibile a consegnare il vello
d'oro in cambio di due prove molto difficili da superare, che in realtà si rivelano mortali.
Se non fosse intervenuta in suo aiuto la figlia del re, la maga Medea, tradendo, così, la lealtà del padre, sarebbe
stato impossibile per Giasone portare a compimento le imprese impostegli da Eete.
Così, Medea, che subito si innamora di Giasone appena lo vede, decide di offrire le sue arti magiche, a patto che l'eroe la
sposi e la conduca in Grecia con sé.
Scoperto l'accaduto, il re Eete si precipita immediatamente all'inseguimento dei due fuggiaschi, ma deve fermarsi lungo la strada per
raccogliere e ricomporre i resti del suo figlioletto Absirto, ancora fanciullo, che la sorella Medea ha ucciso e gettato i
pezzi in mare per evitare di essere raggiunta dal padre.
Consegnato il vello d'oro, Pelia, purtroppo viene meno alla sua promessa di restituire il trono a Giasone, trono che gli
spetterebbe di diritto come diretto successore del padre.
Allora Medea si vendica sottoponendolo ad una morte crudele: induce le figlie del vecchio re a sgozzarlo e a bollirne le membra, dicendo
che sarebbe risorto più giovane di prima.
Eliminato così il re, Giasone e Medea si trovano costretti a fuggire da Iolco e a riparare a Corinto, per sfuggire alla vendetta
del figlio di Pelia, Acasto.
Dopo dieci anni Giasone si innamora di Glauce, la bella figlia del re Creonte, e ripudia Medea.
Costei, pazza di gelosia, per vendicarsi, manda in dono alla futura sposa una tunica ed un diadema che, essendo in realtà avvelenati,
provocano la morte di Glauce tra atroci spasmi.
Ma la vendetta più tragica è l'uccisione dei due figlioletti, Mermero e Fere, avuti con Giasone.
Il padre vorrebbe almeno i cadaveri dei bambini ma la madre, implacabile, afferma che sarà lei a occuparsi del rito funebre.
Infine, per sottrarsi alla vendetta del marito, la maga fugge ad Atene su un carro tirato da due draghi alati donatole dal Sole,
poi sposa il vecchio re Egeo.
Dopo aver avuto un figlio da Egeo, Medo, la maga tenta invano di uccidere Teseo, l'altro figlio del re Egeo, affinché suo figlio
succeda al trono di Atene.
Il re, compresa la sua malvagità, si sente comunque grato verso Medea, proprio perché Teseo era nato grazie alla sua magia,
dopo anni di vana attesa da parte delle precedenti mogli.
Per questo le fa dono di una scorta imponente e le dice di affrettarsi a fuggire prima che Teseo se ne accorga.
Medea, ricorrendo ancora una volta alla sua magia, si rende invisibile immergendosi in una nube fatata, prende suo figlio Medo per
mano e, seguita dalla scorta, si allontana.
Medea si reca nella Colchide, dove era nata, e di lei non si saprà più nulla.
Aveva portato con sé il figlioletto Medo, da cui discese il popolo dei Medi.
Parole chiave: "Aiuta i tuoi amici e fai del male ai tuoi nemici"
Nel caso in questione, ho pensato di far assumere alla Medea antica, il cui nome greco significa "astuzia, scaltrezza", le sembianze di
un uomo moderno, un ingegnere: Matthias.
Entrambi riflettono il tipico eroe tragico descritto spesso da Sofocle, come Aiace, Antigone, Elettra, Edipo che portano all'estremo
(fino all'autodistruzione) in un misto di eroismo e di ferocia, le scelte scaturite dalla loro physis, cioè dallo strato più
profondo della loro natura.
Sia Matthias che Medea risultano essere una combinazione tra la cieca violenza di Aiace e la fredda astuzia di Ulisse.
Infatti, come Ulisse, Matthias in modo astuto e scaltro riesce ad intavolare una sorta di gioco dell'oca o una caccia al tesoro macabra
(come la definisce la moglie) rendendo la ricerca delle bambine difficile e penosa, per poi metter fine alla propria vita, alla
maniera di Aiace.
Un altro aspetto che Euripide mette in risalto nel dramma è espresso chiaramente dalle parole di Medea:
"Nessuno deve considerarmi un'incapace o un debole o una persona mite. Altro è il mio carattere: violenta con i nemici e
con gli amici buona."
Potrei dire che sia Medea che Matthias si presentano al pubblico nell'inconfondibile linguaggio dell'eroe sofocleo, che vive e muore
secondo la semplice regola "aiuta i tuoi amici e fa del male ai tuoi nemici".
E' prevedibile che le vendette di questi personaggi, nel momento in cui si sentono trattati ingiustamente, disonorati, offesi, siano immense.
Infatti, come Medea si vendica dopo essere stata ripudiata da Giasone, suo marito, così Matthias mette in moto il suo "folle viaggio"
(come viene definito dai media) dopo che la moglie chiede la separazione.
Sia Matthias che Medea non accettano in alcun modo questa scelta, tantomeno un compromesso, anzi sono ossessionati da un sentimento
di vendetta.
Per quanto riguarda Matthias possiamo solo immaginarlo o dedurlo, quantomeno, dall'ultima lettera suicida che egli invia alla moglie:
"Sono già completamente pazzo, malato, allo stremo, distrutto! Aiuto!! Non ne posso più, non ce la faccio più!
Invece di un dialogo ragionevole, ho avuto come risposta questi avvocati di m... Tutti volevano aiutarmi, soltanto tu no! Mia moglie! Non hai
avuto tempo neanche una volta per parlare, per venire a Neuchatel, era uno sforzo troppo grande per te, ed è per questo che sono andato
fuori di testa! Ora non voglio più nessun aiuto, è troppo tardi. Ti ho sempre amata!!!! Tutto ciò che volevo era una
famiglia! Perdere te è stata già abbastanza dura, ma poi anche le bambine era troppo.
Presumibilmente sono malato, ma non so di che cosa. Ciao per sempre! Non ne posso più! Mi dispiace enormemente, ma non c'è
più nulla da fare."
In un monologo del dramma di Euripide, si legge che Medea prima vacilla, poi però conferma la sentenza di morte nei confronti dei
propri figli ("bisogna osare questo", verso 1051) per non essere derisa lasciando impuniti i nemici.
Quando Giasone le domanda: "hai ritenuto giusto ucciderli per il letto?" (v. 1367), la madre oltraggiata risponde: "pensi
che questa sia una sciagura piccola per una donna?" (v. 1368).
Ancora, quando Giasone in uno degli ultimi versi (1396) li invoca: "o figli carissimi", Medea replica: "alla madre sì,
a te no"; allora il padre domanda: "e poi li hai uccisi?", e l'infanticida risponde: "Per tormentare te"
(v. 1398).
Nelle parole di Medea come in quelle di Matthias sembrerebbe emergere una difesa disperata della propria identità, che trova
nell'annientamento, e non solo nella resa incondizionata, dell'Altro (il nemico) una ragione d'essere.
Difesa della propria identità
"Medea cambia nell'istante in cui vede Giasone, innamorandosene perdutamente. Tuttavia non è un incontro positivo: quello
che Medea registra e patisce con drammatico disorientamento è piuttosto la perdita della sua identità originaria, la perdita del
contatto con il sacro, con la Terra e con il Sole.
Poi accade che la perdita dell'"antica" identità si compensa nell'acquisto dell'amore: l'oggetto sacro viene sostituito da quello erotico:
Medea si perde come "donna antica" ma si ritrova nell'amore fisico per Giasone, abbandonandosi ad esso con la stessa totalità con cui
prima aveva vissuto il rapporto con il sacro. Per amore di lui tradisce i suoi, ruba il vello, uccide il fratello per agevolare la fuga degli
Argonauti, si lascia portare lontano dalla terra che è sua per arrivare ad un'altra che le è nuova e ostile, si lascia spogliare
dei suoi abiti sacerdotali e regali e rivestire di vesti greche".
Commento di Francesca Ricci, la "Medea" di Pasolini
Nel momento in cui il marito la ripudia per un'altra donna, Glauce, Medea si trasforma da vittima passiva in un soggetto attivo,
qualcosa dentro di lei si risveglia, cerca il ritorno a quella dimensione sacra ed ancestrale da cui si era separata.
Sia Matthias che la moglie Irina lavoravano nella stessa azienda, Philip Morris: lui ingegnere, dirigente della società di Bologna,
da dove tutti i fine settimana rientrava in Svizzera, aveva un ruolo più defilato.
Lei, al contrario, avvocato della stessa multinazionale a Losanna, la cui carriera progrediva velocemente.
Quando la moglie chiede la separazione, Matthias inizia la sua metamorfosi: da uomo "defilato" diventa l'uomo "in primo piano", unico
e assoluto protagonista della vicenda, inizia a viaggiare e a fuggire, ma lo fa con astuzia e lucidità, trasformando, così, l'ascesa
professionale della moglie in una discesa versa la disperazione.
Come prima cosa Medea prepara una tunica e un diadema avvelenati da far indossare a Glauce.
Notiamo, a questo proposito, che anche Matthias ha pensato ai veleni: sulle pagine web del suo computer emerge una ricerca che l'uomo ha fatto
sui veleni e sugli avvelenamenti prima di partire per la Corsica.
Medea finisce il suo lungo viaggio nella regione selvaggia dove è nata, la Colchide, dopo essersi resa invisibile, e di lei non si
saprà più nulla, quasi come a "cancellare" sia la Medea antica, ancestrale che quella moderna, pratica.
Matthias termina il suo viaggio a Cerignola, in Puglia, in un luogo con il quale, egli, pare, non abbia nessun legame, come a cercare,
simbolicamente, l'inizio di una nuova vita dopo aver reso "invisibili" le figlie, facendole sparire, e dopo aver fatto a "pezzi" la vecchia
vita, gettandosi sotto un treno.
Due modi diversi di annullare il passato, di sparire agli occhi degli altri, lasciando le vittime sopravvissute dei loro crimini con
la sensazione che non troveranno mai pace, poiché non c'è più nessuno su cui scaricare la rabbia e il dolore per la perdita
dei figli.
E' già devastante perdere i figli per mano di estranei, ma almeno rimane la speranza di rivendicare la loro morte appellandosi alla
giustizia.
Ma perdere i figli per mano dell'altro genitore che si suicida, è un atto di punizione estrema, che non permette alcuna
via d'uscita.
A proposito di suicidio e dei suoi significati, lo stesso Sigmund Freud nel suo lavoro Lutto e Melanconia dubita addirittura
che sia possibile il suicidio senza il pregresso desiderio represso di uccidere qualcun altro.
Elaborando i concetti di Freud, Karl Menninger in Uomo contro se stesso considera il suicidio un omicidio invertito conseguente
alla rabbia del paziente verso un'altra persona, che viene utilizzata come scusa per una punizione.
Gli studiosi contemporanei non sono convinti che esista una struttura di personalità associata al suicidio.
Tuttavia è stato scritto che molto può essere appreso sulla dinamica dei soggetti suicidi dalle loro fantasie riguardo a
ciò che accadrebbe e a quali conseguenze avrebbe il loro suicidio.
Tali fantasie includono spesso desideri di vendetta, potere, controllo o punizione, riconciliazione, sacrificio o restituzione, fuga o sonno,
salvezza, rinascita, riunione con una persona defunta o nuova vita.
Mentre Medea confessa apertamente a Giasone di aver ucciso i loro figli per tormentarlo, Matthias, probabilmente, ha trovato nel suicidio
la concretizzazione della sua fantasia di vendetta e di punizione nei confronti della moglie, e forse anche la fantasia di una nuova vita.
Medea inizia una nuova discendenza, a partire dal figlio Medo, custode dell'antica identità materna.
Matthias termina la sua vita, oltre che la sua discendenza, e di lui nessuno vuole sapere più niente, tanto che neanche i familiari
reclamano la sua salma.
Dell'identità di Matthias, credo, rimanga il suo registratore dal quale egli "non si separava mai" (come riferiscono
i media), come unico custode della sua memoria, anche questo disperso come molti altri pezzi della sua vita.
Possiamo parlare di PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)?
Oggi potremmo parlare di un caso estremo di PAS ("Parental Alienation Syndrome"), in cui i bambini vengono strumentalizzati da un
genitore (genitore alienatore) per distruggere la figura dell'altro (genitore alienato o bersaglio).
Darnall (1998) propone una tipologia di alienatore ossessivo (alienatore con causa), che tende a percepire se stesso come
tradito e ad attribuire all'altro genitore il fallimento del matrimonio, la sua ragione di vita diventa la vendetta per tutti i "torti" subiti,
di cui il divorzio rappresenta l'espressione massima.
Tale descrizione, a mio avviso, riflette piuttosto bene il ritratto che finora è emerso sia dall'analisi di Medea che da quella di
Matthias.
Un altro aspetto è la determinazione della propria volontà, fino all'ossessione.
Ricordo che durante un'intervista del programma "Chi l'ha visto" Irina descriveva il marito come una persona che "quando decideva
di fare una cosa sicuramente la faceva, caratteristica che lo rendeva affidabile agli occhi della moglie, come Medea sembrava
affidabile agli occhi di Giasone, quando lo ha aiutato nell'impresa del vello d'oro.
In realtà è una frase che fa venire i brividi, poiché di fronte ad una volontà di vendetta, sia Matthias che
Medea hanno dato prova di una tragica "affidabilità", soffocando i rispettivi sentimenti paterni e materni.
Nella tragedia di Euripide, il padre vorrebbe almeno i cadaveri dei bambini ma la madre, implacabile, afferma che sarà lei a occuparsi
del rito funebre.
Giasone la maledice ancora e il Coro chiude la tragedia affermando l'imprevedibilità dei casi della vita umana.
Matthias, invece, invia una lettera alla moglie dove dice: "Le bambine riposano in pace, non hanno sofferto".
Sia Medea che Matthias decidono di sottrarre non solo i bambini ma anche i loro corpi ai rispettivi coniugi (anche se nel caso di
Matthias la speranza rimane sempre quella che le bimbe siano state consegnate a qualche altra persona), come a cancellare definitivamente il
passato.
Entrambi trasmettono il messaggio all'altro genitore che adesso non devono più preoccuparsi dei figli.
Sia quel che sia, è evidente tanto nella cronaca quanto nella mitologia, che i figli sono stati strumentalizzati in modo feroce
per punire l'altro genitore, nel modo più estremo e inimmaginabile.
Bibliografia
- Andreani S., Traversetti B., "I miti degli dei e degli eroi (Miti e leggende del mondo)", Gherardo Casini Editore, Roma, 1976
- Euripide, "Medea", 431 a.C.
- Gardner R.A., Recommendations for Dealing with Parents Who Induce a Parental Alienation Syndrome in Their Children. "Issues in Child
Abuse Accusations", 8(3): 174-178, 1997
- Kaplan H.I., Sadock B.J., Grebb J.A., "Psichiatria: manuale di scienze del comportamento e psichiatria clinica", volume 2, settima
edizione, Centro Scientifico Internazionale, 1996
- Pasolini P., "Medea", 1969 (film)
- Trasmissioni televisive: Chi l'ha visto, Quarto Grado, Studio Aperto
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