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Realta' o invenzione

scritto da:
Dott. Italo Conti

psicologo e psicoterapeuta
specializzato in terapia breve strategica - Roma

articolo tratto da psico-pratika - Numero 3 Anno 2003

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Articolo: 'Realta' o invenzione'


REALTA' O INVENZIONE

Nella notte, ci svegliamo col cuore che perde i battiti, sudati, ansimanti, a causa di un sogno nel quale entriamo, non si sa perche', in un tunnel, che diventa man mano sempre piu' stretto, fin quando non si chiude attorno a noi, e non ne vediamo la fine...
E' il panico, per fortuna la paura ci risveglia, e scopriamo che e' stato un incubo.

Ma poi, cerchiamo di capire, ed allora ci viene in aiuto la ragione: e' il ricordo ancestrale del passaggio nel canale del parto (interpretazione preferita del ginecologo); oppure, piu' pragmaticamente, "che ho mangiato ieri sera a cena? Saranno state le sardine fritte."

Qualunque spiegazione daremo, non potremo avere l'assoluta certezza; e non solo per queste materie.
Ormai da decenni, l'incertezza domina anche le scienze piu' esatte: Heisemberg ci ha dimostrato che non possiamo conoscere, se non probabilisticamente, dove si trova un elettrone.
Quindi, anche gli oggetti sono localizzati e definiti soltanto in maniera probabile, e figuriamoci i concetti, le idee, le opinioni, le relazioni.
Uno dei primi studiosi della cibernetica ha scritto " Il punto piu' alto della conoscenza e' aver dimostrato la falsita' di una ipotesi" (1).

Ad esempio, non di rado mi capita di sentire qualche cliente che mi dice "mia suocera - o moglie, marito, suocero, etc - mi rende la vita impossibile, ogni volta mi umilia, o mi fa arrabbiare, o mi deprime, o mi da' gioia, mi consola..."

Spesso, ribatto chiedendogli:
"questa persona ha con se' una siringa, contenente gioia, rabbia, umiliazione, consolazione, e di soppiatto le si avvicina, iniettandole questa emozione?"

"Certo che no, mi risponde il cliente; lo fa con le parole, il tono della voce, i gesti, e cosi' via"

"Quindi, lei e' passivo di fronte a questi comportamenti, semplicemente la sua emozione erompe senza che lei possa farci nulla? E succede sempre cosi', oppure ci sono delle volte in cui lei non collabora, e l'emozione e' diversa?"

Ovviamente, a volte non collabora, e lo stesso stimolo produce una reazione diversa.

In questo modo, e' dimostrata la falsita' dell'ipotesi, e cioe' che esista la possibilita' di essere influenzati nelle nostre reazioni emotive, nostro malgrado.
Questo ci potrebbe quindi indurre a pensare che non esiste una realta' oggettiva, ma che cio' che viviamo, vediamo, tocchiamo, sperimentiamo (la "realta'", in altri termini) puo' essere una costruzione/invenzione, che procede da convinzioni o certezze delle quali, se ci impegniamo, possiamo scoprire la erroneita'.

E allora?
Come fare per cambiare, ad esempio, come si fa per ottenere che il rapporto con la suocera invece di produrre emozioni negative non produca altro che indifferenza o addirittura possa essere divertente?

In teoria, non sembrerebbe cosi' difficile: se partiamo dal presupposto che le emozioni negative sono una nostra costruzione/invenzione, potremmo costruire/inventare una realta' diversa.

Esempi: poiche' il come vedo/interpreto mia suocera non e' una realta' oggettiva (cioe' non posso avere la certezza che lei sia "cosi'"), allora,
  • posso cercare di vederla da un'altra angolazione:

    e se lei fosse una persona insicura, timida ed aggressiva per reazione? ( Come uno di quei cani di piccola taglia, che sembrano sempre sul punto di mordere, senza nessun motivo, ma noi capiamo… Sono cosi' piccoli, che per loro la minaccia dell'attacco e' l'unica difesa preventiva…. Pero', in genere non fanno paura, fanno ridere)

  • posso provare a comportarmi "come se":

    come mi comporterei, cosa penserei o non penserei, farei o non farei, se delle opinioni di mia suocera non me ne importasse proprio nulla?

    In altre parole, posso tentare di costruire o inventare una realta' diversa, e vedere l'effetto che fa.

    La prassi del "come se" nasce dalle considerazioni del filosofo francese, di matrice cattolica, Rene' Descartes, che nei suoi "Pensieri" afferma, fra l'altro (cito a memoria): "Non avete piu' la fede in Dio, o non l'avete mai avuta, e vorreste averla o riaverla? Provate a comportarvi "come se" l'aveste: andate in chiesa tutte le mattine, confessatevi e comunicatevi, pregate tre volte al giorno… Siatene certi, prima o poi la fede arrivera'".

    Racconto un esempio di applicazione pratica del cambiamento indotto dal cercare di dubitare della realta' cosi' come ci appare.

    Anni fa venne da me una ragazza con imponenti problemi di relazione con gli altri (e quindi anche con se' stessa) che voleva dimettersi dal lavoro (rispondeva al 12) perche', da anni, tutti i suoi colleghi "la odiavano e le parlavano alle spalle" sol perche' lei era laureata e loro dei poveri ignoranti invidiosi.

    Dopo alcune sedute, ho cominciato a mettere dei dubbi sul fatto che "tutti" i suoi colleghi la odiassero; in effetti, erano una moltitudine, dei quali lei conosceva a malapena qualche decina.
    In seguito, ho argomentato che l'ambiente era invivibile forse proprio perche' lei non aveva ancora incontrato "quelli buoni", che indubbiamente dovevano esserci, in un cosi' gran numero.
    Lei fu d'accordo, e conseguentemente mi chiese: " ma come faccio ad accorgermi se sono buoni o cattivi?"

    Non e' difficile, le risposi: si tratta di provare con qualche faccia nuova- o, perche' no, con qualcuno che gia' conosci e ti sembra il meno peggio- e comportarti per 10 minuti "come se" tu fossi certa che e' una persona gentile, educata e disponibile.

    Non piu' di 10 minuti, perche' e' una finzione, quindi devi essere in grado di sostenerla.
    Le chiesi come si sarebbe comportata, cosa avrebbe fatto o non fatto, e mi rispose che avrebbe proposto una pausa caffe' a qualcuno dei "meno peggio", ed avrebbe tentato di fare conversazione durante i 10 minuti.

    Dopo una settimana, torno' e mi riferi' che aveva trovato due o tre colleghe con cui era andata a prendere il caffe' al bar, e che in quella settimana le era sembrato che i colleghi fossero meno critici, anzi, a volte proprio simpatici…

    Italo Conti

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