SUICIDIO: INTERVENTI PSICOTERAPEUTICI PER GESTI AUTOLESIVI
La centralita' del paziente e del suo contesto, nelle teorizzazioni che esaminano i gesti autolesivi e il tentato suicidio,
dovrebbe trovare un corrispettivo pratico all'interno dell'agire terapeutico.
Se realizzare un percorso dedicato a ciascun paziente passa attraverso la costruzione di un rapporto terapeutico complesso, quali possono
essere le proposte terapeutiche per quei soggetti che hanno tentato il suicidio?
L'esperienza acquisita con la quotidiana pratica consulenziale psicologico - clinica in ambito ambulatoriale ed ospedaliero mostra quanto
sia essenziale la capacita' del clinico di riuscire a strutturare interventi terapeutici specifici e insieme flessibili, che riescano a
cogliere la specificita' del gesto autolesivo nella particolarita' della persona.
In questo breve articolo saranno prese concisamente in esame qui di seguito alcuni dei trattamenti d'elezione nella pratica psicologico -
clinica e psicoterapeutica per i comportamenti autolesivi e suicidari che stanno riscuotendo significativi consensi nella comunita' scientifica
internazionale.
Negli ultimi venti anni l'attenzione per il suicidio si e' estesa dalle due aree psicopatologiche storicamente esaminate nei vari studi
(schizofrenia e depressione) ad altre aree d'interesse, in particolare ai disturbi di personalita'.
Gli studi epidemiologici indicano nel funzionamento borderline della personalita' la seconda causa di suicidio dopo i disturbi depressivi;
inoltre, la combinazione di depressione e disturbo borderline di personalita', con la presenza di alcune caratteristiche di entrambi -
rispettivamente mancanza di speranza e cattivo controllo degli impulsi - determina maggiore intenzionalita' e spesso maggior danno riportato.
I modelli d'intervento terapeutico attualmente piu' diffusi, mutuati dagli interventi sui disturbi di personalita', sono la terapia
comportamentale dialettica di Marsha Linehan (TCD), la psicoterapia focalizzata sul transfert di Otto Kernberg (PFT),
la psicoterapia basata sulla mentalizzazione di Peter Fonagy e Anthony Bateman (PBM).
Qui ci occuperemo concisamente solo delle prime due, piu' utilizzate e conosciute a livello internazionale.
D. De Leo e K. Spathonis (2006) affermano che solo una piccola parte di individui con psicopatologia maggiore si tolgono la
vita e che il disturbo psichiatrico da solo non e' un marker sufficiente per predire il suicidio, mentre l'area sicuramente piu' ampia
e sfumata dei disturbi di personalita' presenta un alto rischio suicidario (almeno il 30% dei soggetti suicidi).
Gia' una ricerca del 2003 del National Institute of Mental Health (NIMH - U S.A.) evidenziava come, insieme all'auto-mutilazione,
i comportamenti parasuicidari ricorrenti siano spesso associabili all'area dei disturbi di personalita', soprattutto al disturbo borderline.
Infatti il disturbo borderline e' l'unica diagnosi che prevede il comportamento suicidario - parasuicidario come specifico criterio diagnostico
(vedi il DSM IV TR), specificandosi quale pattern pervasivo caratterizzato da disperati sforzi per evitare abbandoni e sentimenti cronici di
vuoto.
Per Otto Kernberg
... in tutti i casi di disturbi gravi della personalita' e' buona prassi indagare la presenza di ideazioni suicidarie,
intenzioni suicidarie, la storia di queste ideazioni e intenzioni e, naturalmente, la natura e la gravita' di qualsiasi atto suicidario sia
stato effettivamente compiuto dal paziente".
Secondo il modello della PFT (Psicoterapia Focalizzata sul Transfert) sviluppata dallo stesso Kernberg e collaboratori presso il
Personality Disorder Institute (presso la Cornell University di Worchester - New York), il comportamento suicidario fa parte
di un pattern piu' ampio di comportamenti auto-frustranti gravi che richiedono la stipula di un contratto terapeutico iniziale
particolarmente preciso e la strutturazione attenta del setting terapeutico.
Kernberg afferma che i soggetti che pianificano un suicidio senza un disturbo depressivo maggiore puro rappresentano casi di suicidio come
modo di vivere.
Il comportamento autolesivo sarebbe espressione di attacchi rabbiosi o scoppi di collera come reazione ad una frustrazione nel contesto di
una relazione interpersonale emotivamente intensa.
La Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (PFT) e' un approccio rigoroso ma duttile, sviluppato nell'ambito della teoria psicoanalitica
delle relazioni oggettuali e indicato per soggetti con comportamento suicidario cronico che rientrano nell'organizzazione di personalita'
borderline (disturbo di personalita' borderline, istrionico, schizoide, paranoide, narcisistico, ossessivo-compulsivo, depressivo -
masochistico).
La sua strategia consiste nell'attivazione nel transfert delle relazioni oggettuali interiorizzate primitive, patogene e scisse
(persecuzione vs. idealizzazione) e gli obiettivi sono il graduale aumento della capacita' di tollerare e comprenderne le implicazioni
e di risolverle integrandole.
Un trattamento alternativo alla PFT ma ugualmente utile, validato e molto diffuso e' la Terapia Comportamentale Dialettica (TCD)
di Marsha Linehan (1993), psicoterapia cognitivo - comportamentale specifica per pazienti borderline con agiti suicidari e parasuicidari,
che utilizza una combinazione di tecniche di validazione emotiva e training delle abilita' (vedi i lavori presso personality disorders unit
del Bellevue Hospital di New York effettuati da Sneed, Balestri e Belfi, 2003).
Il focus centrale e' l'analisi dei processi cognitivi e comportamentali disadattivi antecedenti e delle loro conseguenze sulla vita del
paziente: e' una terapia cognitiva nel focalizzarsi sugli stili disadattivi di pensiero e sui loro automatismi, comportamentale nel centrarsi
sulla gestione delle contingenze ed emergenze, soprattutto quelle che interferiscono sullo svolgimento della terapia stessa e che possono
attentare alla vita del paziente.
Secondo questo modello, la disregolazione emotiva di questi soggetti nasce nell'interazione tra biologia ed ambiente e porta ad
un'insufficiente capacita' nel riconoscere, denominare e modulare le emozioni, ad una scarsa tolleranza emotiva e inibizione nel considerare
come valide le esperienze intime.
Parte di quest'articolo è stata pubblicata su Toscana Medica N°7, Settembre 2007
Dario Iozzelli
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